Pomeriggio di “impegno elettorale”, oggi. Per prima cosa ho accompagnato Giulia, mia madre, di 97 anni, a votare per l’ennesima volta. Non l’ho vista, ovviamente, il giorno del suo primo voto, quel 2 giugno 1946 quando, militante dell’UDI* e del PCI, esercitava, insieme a milioni di donne, l’appena conquistato diritto di voto femminile per “votare comunista” e per “votare per la Repubblica”. D’allora in poi ha sempre votato, come dice lei, per “l’estrema sinistra”: prima il PCI (fino al 1975), poi DP (fino al 1990), poi Rifondazione Comunista (fino al 2006). In seguito ha sempre più o meno seguito le indicazioni di “suo figlio”, seguendo i tortuosi percorsi di un’estrema sinistra che a lei (e non solo a lei) devono essere apparsi piuttosto confusi. Lamentandosi di non trovare più sulla scheda la sua amata “falce e martello”, ma continuando a ripetermi “Io non ho studiato, ho fatto la quarta elementare. Ma ho sempre pensato che noi operai dobbiamo votare per il partito degli operai, contro i padroni”. E quindi, come si diceva un tempo, votava “comunista” (con o senza riferimenti ad un partito specifico). Oggi pomeriggio, mentre, appoggiandosi al bastone, avanzava sulle sue gambe malferme verso il seggio elettorale, mi faceva un po’ di tenerezza (e anche di tristezza): non c’era la falce e il martello sul simbolo che avrebbe votato, quello di Unione Popolare. E, un po’ dubbiosa, prima di entrare nella cabina, mi ha chiesto di nuovo: “Sei sicuro che sono bravi compagni, questi qui?”. Forse le mie rassicurazioni non le sono sembrate troppo convincenti, perché mi è parso che scuotesse la testa.
Dopo averla riaccompagnata a casa, sono andato da un amico d’origine saharoui, la cui madre ha avuto, due settimane fa, la cittadinanza italiana. Anche lei avrebbe voluto esercitare il suo diritto di voto (cosa impensabile sotto il regime franchista e poco credibile sotto quello della monarchia marocchina), ma le è stato impossibile. Secondo la burocrazia, i certificati elettorali dei neo-cittadini sono pronti solo fino all’8 agosto. Per cui le è stato negato un diritto costituzionale teoricamente intoccabile, alla faccia dell’uguaglianza dei cittadini prevista dall’art. 3. Notevolmente innervosito, sono andato a mia volta a deporre la scheda nell’urna di queste improbabili elezioni, non senza aver protestato formalmente per iscritto contro l’antidemocraticità di questa (come di tutte le leggi elettorali dal 1994 in poi) legge-truffa, aggravata dai tempi strettissimi, dall’impari condicio televisiva e giornalistica, e dai favoritismi verso gli pseudo “partiti” che fanno comodo a lor signori, che non hanno dovuto nemmeno raccogliere le firme, come invece ha dovuto fare Unione Popolare. Ho poi protestato, pretendendo che la mia protesta fosse messa a verbale, contro la presenza, nel seggio elettorale, di un simbolo religioso discriminante ed escludente: un uomo torturato, appeso ad una croce latina, chiaramente moribondo, che rappresenterebbe l’ideologia religiosa di un gruppo di cittadini (pare si autodefiniscano “cristiani”, dal nome greco del povero assassinato, che significa “l’unto”, senza riferimento ovviamente agli aspetti igienici della parola). Ed ora in attesa (non proprio spasmodica) dei risultati di questo grande maxi-sondaggio.
Flavio Guidi