Sono esausto: da mesi (con un’accelerazione ovvia nell’ultimo mese) tra sondaggi (chissà quanto affidabili?), interviste continue a TV e giornali che ripetono ossessivamente lo stesso messaggio, diluvio social e le discussioni da capannello post-manifestazione (con strascichi al bar) non ce la faccio più! Non che non mi preoccupi l’eventuale (probabile, purtroppo) vittoria della destra “dura” alle prossime elezioni. E un sovrappiù di preoccupazione è dato dal fatto che, probabilmente, sarà il partito (post?) fascista della Giorgina ad essere il primo tra i 7 o 8 alleati della destra, con (secondo i sondaggi) un 22/23% dei voti. Con la concreta possibilità che diventi addirittura il primo partito italiano, visto che il probabile secondo, il PD, è dato di solito a qualche decimo di distanza. Detto questo, trovo veramente stucchevole quel continuo “al lupo, al lupo” che si ripete da 28 anni (con lupi intercambiabili, ovvio). Ripeto, non perché ritenga non pericolosa la situazione, ma perché, tra l’altro, si tratta di una novità molto relativa. O meglio, se analizziamo gli “umori” popolar-elettorali degli ultimi anni, non potevamo che aspettarcelo. Se sommiamo i voti ottenuti dai due principali partiti dell’estrema destra italiana (Lega e FdI) che, pur non essendo esattamente sovrapponibili, pescano, diciamo così, più o meno negli stessi ambienti, ci accorgiamo che, se i sondaggi si riveleranno attendibili, l’insieme del blocco della destra “pura e dura” (pura come certa droga e dura come certo comprendonio) è addirittura in calo, rispetto alle elezioni europee del 2019 (le prime che hanno visto lo “sgonfiarsi” del M5S, col ritorno a destra di metà dei suoi elettori dell’anno precedente). Allora la Lega salvinian-lepenista ottenne il 34,5%, mentre i Fratellini meloniani ottennero il 6,5%. Quindi un 41% netto, un dato allarmante (come scrissi in un articolo all’epoca). Ora, la media dei sondaggi dà a FdI un 23%, e un 13% alla Lega salviniana. Vuol dire, se la matematica non è un’opinione, circa 5 punti in meno rispetto a 3 anni fa. Considerando che il terzo socio è messo piuttosto male dopo la svolta a destra con annessa subordinazione agli “estremisti”, difficilmente la destra otterrà il grosso risultato (intorno al 50%) del 2019. E se torniamo ancor più indietro (tralasciando i risultati del 2013/14 e 2018, dove l’irruzione grillina scombussolò tutto), vediamo che la somma tra Lega (allora in parte più “moderata” nella gestione Bossi e partiti d’estrema destra (AN in testa) si è quasi sempre aggirata intorno al 30%. La crisi di Forza Italia, lo pseudo-partito aziendale troppo legato al suo padre-padrone, ormai in pieno declino psicofisico, non poteva che premiare, almeno in parte, i suoi due principali alleati. Insomma, se quello che ci sta a cuore è l’analisi di come si muovono le grandi masse, dobbiamo riconoscere che di novità ce ne sono poche. Anche se è innegabile che l’eventuale passaggio della leadership della destra in mano a personaggi sempre più estremisti non ci può lasciare indifferenti. Sintomo di una radicalizzazione che dovrebbe essere imitata anche verso sinistra, se si vuol salvare la pelle (in senso figurato, si spera). Resta un ulteriore elemento di “incazzatura”, per il sottoscritto. Se i “centro-sinistri” avessero davvero a cuore la difesa degli spazi democratici (loro preferiscono parlare di “difesa della Costituzione”) avrebbero potuto tranquillamente, non dico mettersi a lottare (questo è totalmente impensabile, visti i personaggi) ma adempiere alla promessa, fatta 4 anni fa (fatta anche dal M5S) di tornare ad un sistema realmente democratico (seppur in senso liberal-borghese) di elezione. Cioè il ritorno al proporzionale. In tal caso il lupo meloniano si sarebbe dovuto accontentare del suo 23%, che unito al 13 leghista e persino al 6 o 7 berlusconide non le avrebbe permesso di governare. Perché non l’hanno fatto, né i Conte né i Letta? Per quanto riguarda quest’ultimo, ci posso scommettere, è l’eterna paura di veder emergere, in caso di affossamento del soffocante, antidemocratico bipolarismo (tanto caro anche alla Meloni, guarda caso), un’alternativa a sinistra del PD, che non potrebbe più godere della rendita di posizione di essere il più grande partito non apertamente di destra. Quanti smetterebbero di turarsi naso, occhi e bocca, votando l’invotabile “pur di fermare prima Berlusconi, poi Salvini e ora Meloni?”. Ma nel PD, per quanto ormai liberal-democristiano, ci dev’essere ancora qualcuno che ricorda Togliatti e il suo “nessuna concorrenza a sinistra”.
Flavio Guidi