Con queste poche righe non mi rivolgo, ovviamente, né ai guerrafondai del Cremlino (Putin in testa) né ai guerrafondai europei o nordamericani. E neppure ai nazionalisti di Kiev e tantomeno di Leopoli. Mi rivolgo ai pochi che rifiutano di arruolarsi in un “campo” o nell’altro. Anche tra di noi c’è, a mio avviso, una certa confusione sul problema russo-ucraino. Il fatto è che lo sciovinismo grande russo ha, in un certo senso, delegittimato il sacrosanto diritto dei russi di Crimea, di Donetsk e di Lugansk (maggioranza assoluta nelle rispettive aree) ad uscire da un paese che li discriminava fin dal 1991 per “riunirsi” alla Russia. Come ho già scritto in altri articoli precedenti, dopo il 1991 le minoranze russe nelle ex repubbliche non russe dell’URSS sono state spesso discriminate. La loro lingua, fino al 1991 co-ufficiale con l’ucraino, l’estone o il lettone, è stata “spinta in un angolo”. So benissimo che in queste zone dell’ex impero zarista e nell’URSS di Stalin i “grandi russi” l’hanno fatta da padroni, discriminando (soprattutto ai tempi degli zar) gli “autoctoni”. Ma non mi sembra una buona ragione per far pagare alle minoranze russe le colpe dei governi succedutisi a S. Pietroburgo o a Mosca negli ultimi secoli. Quando sento compagni, sinceri internazionalisti, rivendicare il diritto ad una presunta “autodifesa” degli ucraini di fronte all’aggressione imperialista di Putin, sento un certo disagio. L’Ucraina di oggi non è né quella del 1917-1991 né quella (politicamente inesistente) del 1654-1917. Si tratta di un paese indipendente e sovrano che, nonostante quasi il 30% della sua popolazione parlasse russo come lingua materna, ha imposto l’ucraino come UNICA lingua ufficiale. Se è stupido e politicamente miope considerare tutti gli ucraini come “banderovcy” (cioè filo-nazisti), non si può negare che il grosso della popolazione (soprattutto nella Vandea dell’Ucraina occidentale) nutra sentimenti anti-russi che sconfinano nel razzismo (e che, per una stolida ignoranza contadina, si coniugano con un anti-comunismo privo di sfumature). Posso capire l’origine di questi atteggiamenti in persone che identificano comunismo e stalinismo, i cui genitori o nonni hanno sofferto le politiche di russificazione più o meno soft staliniane e brezhneviane. Ma non posso giustificare i rigurgiti anti-russi, anti-semiti e apertamente reazionari così diffusi nell’Ucraina occidentale (e, in minor misura, in tutto il paese). Il nazionalismo giallo-blu di oggi NON è il nazionalismo difensivo di un popolo oppresso (com’era ancora ai tempi di Petljura), ma quello aggressivo ed escludente di uno stato reazionario e capitalista-oligarchico, che usa il suo essere anti-russo per i soliti sporchi interessi di classe. E Putin (come già Hitler negli anni ’30 per i Sudeti o per Danzica) cavalca un sentimento diffuso tra i russi di Russia, d’Ucraina o del Baltico. Negare i diritti a questi milioni di russi (o comunque sottovalutarli) non indebolisce Putin, ma lo rafforza. Come internazionalista e rivoluzionario, rivendico il diritto per TUTTI i popoli (che siano ucraini, russi, lettoni, estoni, ecc.) alla libera autodeterminazione. Senza tricolori zaristi né bicolori ucraini. Con la bandiera rossa dell’internazionalismo e della fraternità tra i popoli.
Flavio Guidi