Questa volta sono molte le cose che condivido della relazione introduttiva di questo direttivo. Comincio da queste.
Condivido la ferma condanna all’invasione russa. È un atto di aggressione feroce, come ogni guerra è un crimine intollerabile. E mette pericolosamente in crisi gli equilibri geopolitici internazionali, riaprendo lo scontro tra superpotenze nel cuore dell’Europa. Come è stato detto, il rischio è la terza guerra mondiale.
Condivido fermamente anche il nostro NO all’invio di armi a Kiev. Neanche io sono contraria in assoluto alla resistenza armata di un popolo. Certo che no. Ma questo argomento oggi è una sciocchezza. Il punto è che, in questa situazione, armare il governo nazionalista di Kiev significa apertamente gettare benzina sul fuoco, con il rischio di innescare una guerra civile, come nella ex Jugoslavia, che sappiamo quando inizia ma non quando finisce.
Condivido anche la nostra partecipazione alla manifestazione di sabato scorso, il 5 marzo, insieme al movimento pacifista. Il fatto che la Cisl, dopo aver provato a boicottare la manifestazione, inquinandone la piattaforma, si sia sfilata poco ore prima lo considero un atto grave, ma che, per fortuna, ha fatto chiarezza. Sui contenuti della manifestazione, ma anche su quello che ogni tanto ci sentiamo dire dal segretario generale (l’ultima volta alla Conferenza organizzativa), ossia che non esistendo più i partiti degli anni 50 sarebbero venute meno le ragioni della divisione tra Cgil Cisl e Uil. Non è vero, palesemente. Non è vero per l’idea stessa che noi abbiamo del sindacato (sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici, non degli iscritti), per le scelte politiche, sindacali e contrattuali (basta vedere lo sciopero del 16 dicembre) e, come questa circostanza dimostra, non è vero nemmeno sulle scelte di fondo. Sono certa che molti iscritti e iscritte alla Cisl hanno una posizione migliore sulla pace, ma i loro vertici ne hanno una – grave e irresponsabile – che è radicalmente diversa dalla nostra.
Se questo è quello che condivido, altrettanto dico che noi dobbiamo avere il coraggio di dire che l’altra parte del problema si chiama NATO e riguarda le sue mire espansionistiche verso l’Europa dell’est e l’Ucraina, la sudditanza, anche di risorse economiche, che da sempre il nostro paese ha nei suoi confronti e, non ultimo, la presenza in Italia di basi militari NATO e americane, costosissime e pericolissime. Una è a 30 chilometri da casa mia, a Ghedi (Bs), nella quale sono custodite, lo sappiamo tutti, armi atomiche. Una base che, da un momento all’altro, può diventare il punto di partenza di un attacco militare o, viceversa, l’obiettivo sensibile di una reazione russa contro il nostro paese.
Non possiamo permetterci di tacere il ruolo della NATO in questa vicenda. Abbiamo invitato a Rimini alla nostra conferenza organizzativa il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, il quale su questo aspetto è stato chiarissimo. L’abbiamo ascoltato tutti, immagino. Però mi pare che non ne facciamo tesoro. Non citare la NATO non è soltanto una “leggerezza”, come per esempio dire che l’ONU deve intervenire, quando sanno anche i bambini che non può farlo per il veto della Russia. Non citare la NATO è proprio una scelta politica, sbagliata.
Penso anche che noi abbiamo un’altra responsabilità: essere un antidoto a quel clima di odio che si sta creando nel paese, quello che ha portato anche solo a pensare di sospendere il corso su Dostoevskji alla Bicocca. Noi dobbiamo dire esplicitamente che la nostra solidarietà va al popolo ucraino, ma anche ai lavoratori e alle lavoratrici, tanto ucraine quanto russe, al sindacato russo e soprattutto a quelli che oggi sono in sciopero contro la guerra e ai dissidenti al governo di Putin, molti dei quali sono in carcere.
Dobbiamo anche dire che i profughi e le profughe sono tutti uguali, quelli che provengono dall’Ucraina tanto quanto quelli che attraversano il mediterraneo o i siriani e gli afgani che quest’inverno l’Europa ha lasciato al gelo ai confini di Bielorussia e Polonia, chiudendo entrambi gli occhi mentre il governo polacco usava gli idranti per respingerli. Abbiamo la responsabilità di andare a dire queste cose nei posti di lavoro e lanciare una grande campagna di assemblee su questo. Non è facile, ma noi possiamo essere un antidoto all’odio che altri, irresponsabilmente, diffondono nel paese.
Un’altra cosa che dobbiamo ricordare è che tutti i dittatori sono dittatori. C’è una cosa che proprio non mi va giù in queste settimane: mentre ora siamo tutti concordi a additare Putin come un dittatore autoritario, nazionalista, omofobo e sessista, accettiamo che l’Europa stia in silenzio al cospetto di Erdogan, facendo finta di non vedere cosa accade in Turchia, con la repressione feroce di ogni dissenso e l’aggressione violenta al popolo curdo, sia dentro i confini turchi, sia fuori con l’invasione del nord della Siria.
Nostro compito è anche rispondere ai lavoratori e alle lavoratrici italiane per l’aumento spropositato del costo dell’energia. Dobbiamo pretendere misure correttive dal governo, a partire dalla riduzione delle accise sulla benzina.
C’è una cosa dell’introduzione di questo direttivo su cui invece non sono proprio d’accordo. La nostra partecipazione, che di fatto suona come una adesione, alla manifestazione di sabato prossimo, 12 marzo, a Firenze, indetta dalla rete europea dei sindaci, su proposta di Nardella. Quella manifestazione viene esplicitamente vissuta come la risposta alla nostra piazza di sabato scorso. Basta vedere chi l’ha sta sponsorizzando e spingendo. Le ragioni di quella piazza sono diverse dalle nostre. A Bergamo ho già visto una manifestazione simile, promossa dal sindaco Gori, oggi in prima fila per quella di Firenze. È stata una manifestazione apertamente interventista, dove l’unica donna che è intervenuta con posizioni simili alle nostre, cioè sostenendo il cessate il fuoco e il no all’invio delle armi, è stata contestata apertamente al grido di “dateci le armi”.
Lo capisco che tanti e tante di noi vogliano comunque partecipare a una piazza che si dice “per la pace”. Non metto in discussione la buona fede di nessuno. Non ho problemi se ci va lo stesso Landini, come ha già dichiarato, con i nostri contenuti e le nostre parole d’ordine. Ma chiedo esplicitamente che non venga coinvolta l’intera organizzazione. Perché la piazza di Firenze non ha la stessa natura di quella di sabato scorso a Roma.
Piuttosto che la Cgil aderisca allo sciopero del 25 marzo di Fridays For Future, come ha proposto il segretario della FLC. Facciamo diventare quella la nostra giornata di mobilitazione e di sciopero per la pace. Perché chi costruisce davvero la pace, deve anche chiedersi che modello di sviluppo vuole, a partire dallo sfruttamento dell’ambiente e delle risorse energetiche, che è uno dei temi di questa guerra.
Per andare a Firenze a manifestare, abbiamo un’altra occasione: il 26 marzo al corteo nazionale contro le delocalizzazioni indetto dai nostri compagni di GKN.
Eliana Como – portavoce nazionale di #RiconquistiamoTutto