Chiesto il coprifuoco a New Delhi dove più di 20 persone sono morte negli scontri tra ultranazionalisti indù e musulmani che protestano contro la nuova legge sulla cittadinanza. Violenze rimaste sullo sfondo, mentre nel paese era in corso la prima visita ufficiale del presidente statunitense Donald Trump.
Terzo giorno di scontri violenti a New Delhi tra ultranazionalisti indù e musulmani che protestano contro una controversa legge sulla cittadinanza. Il governatore ha invocato il coprifuoco e l’intervento dell’esercito per sedare le violenze che finora hanno provocato 23 morti e oltre 200 feriti. Per cercare di prevenire nuovi incidenti le autorità hanno invocato il coprifuoco in tutto il settore nordorientale di Delhi con droni e con un massiccio impiego di videocamere, vietando gli assembramenti di quattro o più persone. L’esplosione di violenze – le peggiori nella capitale indiana da anni – è motivo di imbarazzo per il governo centrale e per il primo ministro Narendra Modi, impegnato in queste ore ad accogliere il presidente americano Donald Trump, in India per la sua prima, storica, visita ufficiale nel paese.
Chi protesta e perché?
Il Citizenship Amendment Act (CAA), approvato a dicembre, emenda una legge di 64 anni fa secondo cui un immigrato irregolare non può diventare cittadino indiano. In particolare, la nuova legge stabilisce delle eccezioni per Indù, Sikh e Cristiani provenienti dai paesi limitrofi a maggioranza musulmana (Bangladesh, Pakistan e Afghanistan). Ma non per gli immigrati musulmani: un’ingiustizia, secondo i musulmani indiani, una comunità che conta 200 milioni di fedeli, pari al 14% della popolazione indiana, e che dall’avvento al potere di Modi temono di diventare cittadini di serie B.
Come sono esplose le violenze?
Le proteste contro la legge proseguivano da mesi, ma domenica scorsa la situazione è precipitata: gruppi di induisti radicali sono intervenuti contro una manifestazione di musulmani e per rimuovere i blocchi stradali lungo un’arteria della capitale, bloccata per protesta. La polizia non è intervenuta ed è cominciata una fitta sassaiola tra i due schieramenti. Presto le violenze si sono propagate, per sfociare in uno scontro aperto tra musulmani e ultranazionalisti indù. Le violenze più gravi si sono verificate nei quartieri a maggioranza islamica nel nord est di Delhi: Maujpur, Mustafabad, Jaffrabad e Shiv Vihar. Ieri, nel quartiere di Ashok Nagar un gruppo di centinaia di induisti ha attaccato una moschea, sfondando la porta e arrampicandosi sul minareto per esporre la bandiera rossa simbolo dell’induismo.
Musulmani, cittadini di serie B?
A spaventare i musulmani, è soprattutto il collegamento del CAA con un altro documento controverso: il Registro Nazionale dei Cittadini dell’India (NRC). Il registro – originariamente creato nel 1951 – è stato aggiornato nel contesto della campagna intrapresa dal governo per identificare le famiglie di immigranti irregolari originari del Bangladesh, insediatisi da anni nello stato nord-orientale dell’Assam. Ad Agosto, quando il nuovo NRC è stato pubblicato, circa 2 milioni di persone – molti dei quali musulmani – hanno scoperto che i loro nomi non erano presenti. Il governo ha comunicato loro che hanno un tempo limitato per presentare ricorso e dimostrare di essere a tutti gli effetti cittadini indiani. Altrimenti, rischiano di essere espulsi o di finire in campi di detenzione. Finora, la misura riguarda dunque potenzialmente due milioni di persone. Ma il BJP al potere vuole estendere il censimento a tutto il paese entro il 2024.
Cosa fanno le autorità?
La polizia di New Delhi, spesso accusata di proteggere i militanti induisti, è stata anche criticata per la scarsa preparazione e per il numero insufficiente di personale. In tre giorni, più di 50 poliziotti sono stati feriti e almeno uno è stato ucciso. Il ministro degli interni Amit Shah, responsabile delle forze di polizia della città e personaggio chiave del governo Modi, ha condotto un incontro martedì sera con funzionari e poliziotti e invocato l’intervento dell’esercito. La leader dell’opposizione Sonia Gandhi, ha chiesto le dimissioni di Shah, definendolo “il primo responsabile” degli incidenti.

Modi e Trump, nazionalismi a confronto?
L’India di Modi, “è una democrazia stabile e prospera”, “un paese tollerante, il cui premier vuole e lavora sodo per mantenere la libertà religiosa”: Donald Trump ha restituito la cortesia al premier Modi che lo ha accolto in India in pompa magna. Oltre 110.000 persone sono intervenute allo stadio Motera di Ahmedabad, il più grande stadio di cricket al mondo, per assistere all’abbraccio tra i due leader nazionalisti. Ma se sul fronte delle relazioni bilaterali la visita è stata un successo, per superare le distanze nel settore del commercio ci vorrà ancora tempo: i due leader, teorici l’uno dell’America first e l’altro dell’India first, non sono riusciti a risolvere tutti i nodi al pettine. L’India è il fulcro della strategia americana in Asia. Il paese è un importante partner diplomatico e militare per Washington. Ma non solo. È anche il terzo prodotto interno lordo più grande del mondo e un mercato invitante per le multinazionali americane in cerca di nuovi sbocchi. Solo che ad oggi, con un deficit di 25 miliardi di dollari, la bilancia commerciale è chiaramente sfavorevole agli interessi americani. Un primo passo però è stato fatto: Modi e Trump hanno stretto accordi sulla difesa per 3 miliardi di dollari, relativi soprattutto alla fornitura di elicotteri made in Usa. Non è l’intesa definitiva, “Modi è un negoziatore duro” ha osservato Trump, ma neanche un fatto da sottovalutare: Delhi modernizza la sua difesa in chiave strategica per ridurre il divario dalla Cina e Washington, c’è da scommetterci, è pronta a fare la sua parte.
Il commento
di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor – India Desk
“Ormai da tempo per Delhi gli Stati Uniti sono un partner privilegiato. E la necessità di amicizia e collaborazione fra le due più popolose democrazie del mondo è un fatto ribadito da entrambi. Oggi, con la Cina competitor comune e un’ideologia politica simile che lega i due leader, Modi e Trump, le due potenze sono ancora più vicine. Eppure il presidente americano ha toccato con mano quanto l’India sia radicata nel suo ‘India first’, che per un leader populista e dal forte mandato popolare come Modi, non è solo uno slogan”.
Da ispionline.it