Se c’è una cosa che il comportamento di Trump, il bullo da bar di periferia e presidente del paese imperialista più potente del pianeta, ha reso palese agli occhi persino dei più accecati dalle ideologie, è che la guerra, ogni guerra, è soprattutto questione di business. Tutti i rivestimenti ideologici (nel senso marxiano di “falsa coscienza”) servono solo a imbellettare, per i poveracci che poi andranno a morire in prima linea e per quelli che dovranno sostenerli nelle retrovie, questo fatto inconfutabile, brutale nella sua ovvietà. La Russia ha invaso l’Ucraina? Certamente. I nazionalisti ucraini hanno iniziato, soprattutto a partire dal 2014, una politica contro la minoranza russa sfociata in una guerra di “bassa” intensità costata 14 mila morti da entrambe le parti in 8 anni? Verissimo. L’Ucraina è stata per secoli russificata a forza (al tempo degli zar) o in modo meno esplicito (all’epoca di Stalin), negando o disprezzando il suo diritto all’autodeterminazione? Vero. L’Ucraina non è una nazione omogenea, ma un territorio con una maggioranza ucraina, ma in cui più di un terzo della popolazione appartiene ad altri gruppi etno-linguistici che rifiutano di farsi “ucrainizzare” (russi, tatari, polacchi, rumeni, ungheresi, ecc.)? Altrettanto vero. Il regime di Putin è un regime reazionario, autoritario, di destra? Sicuramente. Il regime di Kiev è un regime reazionario, antidemocratico, di destra? Altrettanto sicuro. Le bombe russe colpiscono anche i civili ucraini, uccidendo anche donne e bambini? Certissimo! Le bombe ucraine (anche se in minor misura per scarsità relativa di armamenti) colpiscono anche i civili russi, uccidendo anche donne e bambini? Certissimo pure questo. Potrei andare avanti per pagine e pagine a scrivere frasi delle opposte propagande di guerra, in buona parte basate su fatti reali, seppur spesso ingigantiti, appunto perché propaganda di guerra. Come in tutte le guerre, le “scintille” (o scuse) abbondano: dall’assassinio di Sarajevo alla liberazione delle “terre irredente”, dalla difesa delle minoranze tedesche oppresse da cecoslovacchi e polacchi alla guerra per difendere la libertà contro il nazifascismo. Ma, checché ne pensino i milioni di giovani ucraini e russi arruolati per scannarsi a vicenda (e i fan di entrambi, spalmati quasi equamente a destra, al centro e persino a “sinistra”), né questa, né le altre guerre sono scoppiate per motivi ideologici, più o meno nobili. Quello che fa scoppiare le guerre, soprattutto nell’epoca del capitalismo, è semplicemente la sete di profitto. La nuova borghesia russa (che molti chiamano “oligarchia”), con l’appoggio (più o meno discreto) del settore della borghesia ucraina storicamente legato alla Russia, vuole riprendersi le ricchezze che erano sue ai tempi degli zar (e di cui pure la burocrazia stalinista e post stalinista ha goduto), rivuole la sua zona d’influenza. Le borghesie occidentali, con la collaborazione del settore a lei più vicino della borghesia-oligarchia ucraina, vuole la sua fetta di torta, approfittando del fatto che, dopo il 1991, la capacità di Mosca di controllare la sua estinta (o quasi) area d’influenza era diventata praticamente nulla, almeno fino a quando le classi dominanti russe e il Cremlino non hanno deciso che era ora di finirla di rinculare, sapendo che, almeno dal punto di vista militare, la Russia era ancora la seconda potenza del mondo. E chi raccontava la favola dell’Italia (o dell’Europa) colonia USA, costretta ad appoggiare la guerra “amerikana” in Ucraina, dovrebbe avere il coraggio di riconoscere di aver preso un’enorme cantonata. I due litiganti sono almeno tre: gli imperialisti russi, quelli amerikani e quelli europei (a loro volta divisi all’interno, con britannici, francesi e tedeschi in prima fila nella corsa ad accaparrarsi l’affare). E l’Ucraina? Fa la figura del classico vaso di coccio tra i vasi di ferro, simbolicamente rappresentato dall’umiliato Zelensky di fronte a Trump e Vance. In 34 anni di “indipendenza” la classe dominante ucraina ha oscillato tra i vari campi imperialisti, dando vita ad “alternanze di governo” tra l’oligarchia filo-russa e quella filo-occidentale. La tragedia è che i popoli ucraino e russo, almeno nella loro maggioranza, sono stati trascinati al reciproco massacro senza (quasi) resistenza, intossicati dalle opposte ideologie nazionaliste e grazie alla profonda spoliticizzazione dovuta a 60 anni di stalinismo e post-stalinismo e a 30 anni di esaltazione neo-capitalistica ultra-nazionalista. Anche se, come sempre nella storia (il 1917 insegna) i fatti hanno la testa dura ed alla fine squarciano il velo delle ideologie, e l’enorme incremento delle diserzioni (e di “incidenti”) negli ultimi mesi testimoniano che il bagno di sangue sta cominciando a far trapelare qualche luce in fondo al tunnel del nazionalismo, neozarista o bandero-petliurista. Il merito di Trump è che, con la sua abituale rozzezza, ha detto chiaro e tondo che tutte le stronzate sulla cosiddetta difesa dei diritti e della democrazia erano, appunto, stronzate. Quel che conta è il poter fare profitti, con le terre rare o con il ferro, coi prodotti agricoli o industriali, con la “ricostruzione” dopo aver seminato morte e distruzione. I governi europei (e in parte quello russo), forse perché formati da persone più “colte” di Trump o forse perché devono affrontare un’opinione pubblica più ideologizzata e meno pragmatica della sua, tentano disperatamente di stendere un velo pietoso sulle reali radici materiali di questa guerra, ma sono sempre più in affanno. La cosa che stupisce (e che intristisce) è vedere che anche a sinistra (in quella cosiddetta “radicale”, perché quella istituzional-governativa non merita neppure di essere chiamata tale) si continua testardamente a riproporre le due favole contrapposte: per i “campisti” la guerra di Putin sarebbe contro il nazifascismo incarnato da Zelensky (da che pulpito viene la predica!); per gli “altercampisti” la guerra di Zelensky è di autodifesa e per l’autodeterminazione del “popolo ucraino”. Scomparsa da entrambi gli orizzonti, al di là di qualche concessione verbale (soprattutto tra i secondi, un po’ meno succubi della geopolitica e delle idiozie da “campo antimperialista”) la lotta tra le classi, il faticoso tentativo di costruire un’indipendenza di classe tra i lavoratori russi ed ucraini. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Per me la solidarietà di classe, la fratellanza tra gli sfruttati, l’appoggio incondizionato ai disertori di entrambi i fronti, l’invito a riconoscere che “il nemico marcia alla tua testa” e a rivolgere le armi contro questo nemico e non contro il povero cristo che ha un’altra divisa sono l’unica àncora di salvezza in questi tempi bui. “Proletari di tutti i paesi unitevi” (e non “scannatevi”) non è una bella frase da “socialismo della domenica”: è un programma di lotta e di coerenza. Difficile a farsi, come il comunismo di cui parlava Bertolt Brecht. Altre vie, dal punto di vista degli oppressi e sfruttati, non se ne vedono.
Flavio Guidi
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d’accordo su tutta l’analisi, sostanzialmente, ma assolutamente no sul giudizio iniziale: l’unico bullo di periferia in quel dibattito è stato Zelenskij, a cominciare dalla ridicola tenuta da parata con la quale si è presentato all’incontro. ma comunque, aldilà dei giudizi folkloristici sui quali vorrebbe trascinarci l’impero mediatico, la sostanza della questione p che Zelenskij non vuole assolutamente la pace, e lo ha dimostrato in tutto l’incontro, con smorfie, occhiate e sospiri, che hanno accompagnato gli interventi di Trump, rozzi ma tutto sommato sensati.
che poi Trump voglia la pace con Putin per interessi geopolitici, che sono anche economici, in questo contesto diventa sicuramente un aspetto minore: la sostaza è che vuole la pace in Ucraina, ci ha messo la faccia e sta giocando la sua credibilità di presidente. mi pare impossibile che un bulletto ucraino possa impedirgli di arrivare, anche se sistenuto dalle suicide élite europee.
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Beh, di sicuro non è stato un dibattito politico di alto livello. Piuttosto un litigio in un’osteria da quattro soldi tra tre canaglie arroganti. Mancava solo il quarto, Putin. Con Macron, Von der Layen, Starmer, Meloni, ecc. a fare da coro greco alla tragicommedia.
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