Ci sono date che esprimono politicamente e materialmente lo scontro delle classi sociali dentro il sistema capitalista dominante, le vittorie e le sconfitte delle une o delle altre. 

Il 25 aprile è simbolo ed espressione della vittoria della Resistenza contro il ventennale regime fascista e borghese, una vittoria portatrice di libertà e di un progetto di giustizia sociale, 

Il Primo Maggio è simbolo dell’unità e della lotta della classe lavoratrice contro la classe padronale per un progetto di trasformazione socialista della realtà esistente, segnata oggi non solo dallo sfruttamento, ma anche dall’involuzione delle forme della democrazia conquistate nel passato, dalla rimessa in discussione di diritti sociali e civili fondamentali; tutto questo dentro un orizzonte internazionale segnato dal contrasto tra le potenze capitaliste, dalle loro oppressioni imperialiste e da una nuova allucinante corsa al riarmo e dallo spettro brutale delle guerre. 

La lotta della Resistenza sconfisse la dittatura e restituì le libertà e i diritti democratici alle cittadine e ai cittadini garantendo la riorganizzazione delle organizzazioni sindacali, politiche e sociali delle classi lavoratrici, strumenti indispensabili della trasformazione democratica e sociale del paese.

Il desiderio e le speranze di giustizia sociale e della costruzione di una società socialista liberata dallo sfruttamento capitalista che avevano attraversato la Resistenza, non si realizzarono e lo stato capitalista fu ricostruito nel secondo dopoguerra con il potere borghese mantenuto anche se trasformato in una nuova forma democratica. La Costituzione del 48, frutto della vittoria della Resistenza, garantiva tuttavia forti diritti democratici e rimandava a diritti sociali di grande ampiezza. Questi furono conquistati 20 anni dopo grazie alle straordinarie lotte operaie e popolari della fine degli anni ’60 e degli inizi degli anni ’70. Quelle conquiste, tuttavia, nei decenni successivi, sono state via via smantellate con le politiche liberiste dell’austerità che hanno restaurato appieno lo sfruttamento capitalista sui luoghi di lavoro, un rilancio senza precedenti dei profitti e delle rendite finanziarie, frutto delle dure sconfitte subite dal movimento dei lavoratori. Le politiche liberiste sono state portate avanti indifferentemente sia dai partiti della destra, che da quelli del centro sinistra, o anche tutti insieme come è stato il caso con il governo di Draghi; così abbiamo assistito al crollo dei salari e degli stipendi, alla disoccupazione e alla precarietà del lavoro, con un aumento della miseria, delle diseguaglianze e dalle ingiustizie sociali pur in presenza di nuovi grandi ricchezze andate a vantaggio della sola classe padronale. In questo sfacelo sociale e nell’inazione e subalternità delle grandi organizzazioni sindacali, è cresciuta la demoralizzazione, la rabbia impotente di larghi settori popolari, un terreno fertile per l’azione delle diverse organizzazioni dell’estrema destra, da Salvini a FdI.

Un governo eguale e diverso

Il governo della Meloni non è un governo capitalista qualsiasi, è un governo capitalista che fa gli interessi della grande borghesia italiana ed europea in piena continuità con l’opera del precedente governo Draghi, ma ha in se qualcosa di più, di ancor più pericoloso, un progetto politico ed ideologico mortale di restaurazione di una società segnata pienamente dal razzismo, dal sessismo, dal conformismo dei luoghi comuni reazionari del piccolo borghese rancoroso che fatica a reggere la concorrenza capitalista e che sfrutta violentemente il precario e il migrante, dal nazionalismo, dalla colpevolizzazione dei settori più deboli della società, a partire dai lavoratori migranti, dalla divisione delle classi lavoratrici, dal pieno rilancio dell’imperialismo italiano,  anche se subordinato a quello USA e quindi della guerra e della tragica corsa al riarmo a scapito di scuola e sanità. Dobbiamo essere coscienti che al governo ci sono gli eredi di coloro che la lotta partigiana aveva cacciato nelle fogne. E dobbiamo essere coscienti che su scala internazionale le contraddizioni del sistema capitalista stanno producendo lo sviluppo delle organizzazioni dell’estrema destra e la credibilità delle loro ideologie nauseabonde in ampi settori popolari.    

L’obiettivo di fascisti vecchi e nuovi, di un governo che per natura è nemico giurato dei lavoratori, è chiaro: dividere il fronte degli sfruttati, approfittando del malessere crescente per indirizzarlo dalla parte sbagliata. Il nemico diventa quello che sta più in basso, come le nostre sorelle e i nostri fratelli migranti, le lavoratrici e i lavoratori di un altro settore o un’altra regione, e non i padroni.

La Russa e gli altri esponenti governativi non sono personaggi “esagerati e folkloristici” che ogni tanto vanno fuori dalle righe con le loro dichiarazioni, sono proprio così per natura, sono “seri”, lavorano coscientemente ogni giorno per costruire la credibilità di una nuova narrazione della storia del paese, per affermare una egemonia nella società delle loro ideologie, per sdoganare appieno il peggio della storia e della eredità delle classi borghesi italiane (che sono quelle che hanno inventato il fascismo per prime in Europa) con alcuni loro frange che, 50 anni fa, non hanno esitato a mettere in atto le stragi fasciste e di stato per fermare il grande movimento dell’autunno caldo.

E’ un po’ imbecille chiedere, come fa qualcuno, che costoro riconoscano la Resistenza e l’antifascismo, loro che ne sono chiaramente nemici. Costoro vanno semplicemente combattuti, creando le condizioni politiche e sociali per cacciarli il più in fretta possibile.  

Dentro questo progetto politico reazionario abbiamo più volte scritto che le misure economiche governative hanno tre segni inconfondibili:

  • piena gestione delle scelte economiche e finanziarie e fiscali della grande borghesia europea e italiana;
  • una serie di atti economici volti a salvaguardare la loro base sociale elettorale piccolo borghese dell’imprenditoria commerciale, turistica, della ristorazione, industriale che attraversa tutti i pori del sistema economico italiano;
  • il reperimento delle risorse necessarie per questa operazione colpendo il welfare sociale a tutti i livelli, dalla sanità alla scuola, dalla casa alla garanzia del reddito per i poveri, ecc.

Il Consiglio dei ministri si riunirà di nuovo il I maggio per tagliare i sostegni alla povertà e per allargare ancora le maglie dei contratti a tempo determinato, cioè favorire la precarietà. E’ uno sfregio al movimento dei lavoratori nella giornata simbolica del primo maggio, volto a colpire ancor più la loro forza contrattuale e a mostrare da quale parte della barricata stanno (ben lo sapevamo già), cioè la loro “devozione” al potere dei padroni.

Un cambio di passo 

Abbiamo affermato fin dal primo giorno dopo le elezioni che di fronte al governo Meloni, i sindacati e tutte le organizzazioni sociali di classe avrebbero dovuto suonare le campane a martello per indicare il grave pericolo, che bisognava combattere l’esecutivo fin da subito. Le direzioni delle tre Confederazioni sindacali hanno scelto invece la strada dell’attesa passiva, quasi dando credito al nuovo governo ed ancora oggi, di fronte all’evidenza dei fatti, non hanno voluto costruire il necessario percorso di sciopero. 

Il 25 aprile e il I maggio devono segnare un cambio di passo di tutte le forze politiche, sociali e sindacali della classe lavoratrice, anche perché è impossibile combattere con speranza di successo l’azione delle estreme destre sul piano ideologico e materiale, senza la forza e la lotta della classe lavoratrice. A maggio si gioca una partita decisiva. Dalle assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori, dalle manifestazioni, ma anche dalle scelte delle direzioni sindacali deve emergere la volontà di una lotta seria, senza sconti, tentennamenti e subalternità a partire dalla difesa del lavoro e del salari, dalla solidarietà e dall’indispensabile unità delle classi lavoratrici native e migranti.

Il 25 aprile ricordiamo quelle e quelli che hanno lottato per liberarci dal nazifascismo, ma vogliamo oggi anche contrastare tutte le forme di ingiustizia e di prevaricazione dei potenti per rivendicare una politica di solidarietà e di giustizia sociale. 

Né dobbiamo dimenticare che la caduta del fascismo è cominciata con lo sciopero del marzo 1943 alla Fiat e si è realizzata appieno con lo sciopero totale della classe operaia nelle grandi città del Nord, tra cui Torino, messo in atto intorno al 22-23 aprile del ‘45, sciopero totale su cui sono confluite le colonne partigiane discese dalle montagne e dalle colline per garantire la piena liberazione dai fascisti e dalle truppe naziste. 

La questione centrale è questa: costruire il ritorno del protagonismo delle classi lavoratrici sia sul piano sindacale/rivendicativo per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, sia sul piano politico e ideale contro la guerra, per i diritti dei popoli, per l’unità internazionalista delle lavoratrici e dei lavoratori contro i capitalisti e il loro sistema economico, che produce le guerre e ogni sorta di ingiustizia, per una alternativa ecosocialista e la salvaguardia stessa del pianeta in cui viviamo; ricostruire la speranza e la prospettiva di conquistare un futuro diverso dalla barbarie in cui le classi dominanti ci stanno portando. Per questo il 25 aprile è ancora molto vicino, anzi presente. 

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