Giorgia Meloni alla riunione dell’UE ha denunciato il rischio del crollo del regime tunisino del presidente golpista Saied, che aprirebbe la strada ad un’emigrazione di massa, e ha chiesto un sostegno europeo economico consistente al governo. Cosa sta succedendo in Tunisia

di Gilbert Achcar

Nei giorni scorsi la Tunisia ha assistito a diverse manifestazioni: dopo aver protestato contro il discorso osceno e razzista pronunciato dal presidente tunisino Kais Saied, in cui cerca di fare dei neri un capro espiatorio per compensare i suoi innumerevoli fallimenti, i manifestanti hanno contestato – su invito della Unione Generale Tunisina del Lavoro, il principale sindacato – il suo approccio politicamente escludente ed economicamente neoliberista. I manifestanti si sono mobilitati anche contro il suo approccio golpista volto a riprodurre un governo simile a quello di Zine El Abidine Ben Ali, coerentemente con il famoso detto di Marx che quando la storia si ripete, la seconda volta è una farsa rispetto alla prima volta.
Infatti tra i manifestanti degli ultimi giorni c’erano quelli che hanno accolto calorosamente il colpo di stato di Saied del “25 luglio” del 2021, applaudendolo, o quantomeno esprimendo un atteggiamento positivo nei suoi confronti, come nel caso della UGTT. Hanno aspettato oltre un anno prima di svegliarsi dal loro torpore e rendersi conto che l’uomo che hanno aiutato a vestirsi da eroico salvatore non è, in realtà, altro che uno spaventapasseri fatto di paglia e vestiti consunti, dietro il quale si celano le forze armate e altre forze simili a quelle su cui si basano tutti i regimi dittatoriali arabi. E come dice la saggezza popolare: “È meglio arrivarci tardi che mai”, ed è un detto che tutti coloro che si sono schierati contro il colpo di Stato di Saied dal primo momento possono dire a coloro che sono saliti solo ora sul treno delle forze sociali e politiche che si oppongono al nuovo progetto dittatoriale tunisino.
Qui, vorremmo fermarci a due lezioni che si possono trarre dalla difficile situazione della Tunisia. La prima è che il golpe di Saied ha definitivamente eliminato i miti (che non sono privi di disprezzo verso tutti gli altri arabi) che interpretavano la democrazia tunisina realizzata con la cacciata di Ben Ali fino al fatidico giorno del golpe del“25 luglio”, come prodotto di una caratteristica culturale peculiare tunisina simboleggiata dal gelsomino. È un’interpretazione “culturale” che ci ricorda coloro che glorificavano la cultura libanese per la tolleranza e la convivenza, prima che scoppiasse in quel Paese martire il flagello di una guerra civile brutale.

La garanzia fondamentale della democrazia, in Tunisia come in ogni altro Paese, è l’organizzazione e la forza della “società civile”, a cominciare dalla classe operaia rappresentata dai sindacati. La ragione per cui dalla Tunisia è scoppiata l’ondata rivoluzionaria della “Primavera Araba”, e che è stato il primo Paese il cui movimento popolare è riuscito a rovesciare il suo tirannico sovrano, è chiaramente l’esistenza di un forte movimento operaio indipendente dal regime, rappresentato dall’Unione Generale, che ha svolto il ruolo più importante nel raggiungimento del cambiamento rivoluzionario. È un caso veramente unico nella regione araba, e non per presunte caratteristiche culturali, ma per l’esistenza di un vero movimento sindacale, non una finzione di sindacato in realtà sottomesso al sistema esistente, allo stesso tempo forte e con una base ampia per condurre una vera lotta.
Allo stesso modo, il segreto del prevalere di un effettivo stato di democrazia da dieci anni in Tunisia non è affatto legato all’odore di gelsomino o altri simili immaginari, ma piuttosto all’esistenza di una società civile indipendente e forte. Al contrario, se Kais Saied è riuscito a portare a termine il suo colpo di Stato, la principale responsabilità ricade sui leader della società civile, guidati dalla direzione dell’Unione Generale, che nutrivano illusioni sul futuro presidente e credevano alle sue pretese populiste, avendo avuto anche un ruolo determinante nel dargli credibilità. In questa prospettiva, non c’è dubbio che il risveglio della leadership dell’Unione Generale costituisca una svolta positiva, anche se tardiva.
La seconda lezione che vorremmo sottolineare, è che il successo della democrazia non si ottiene rovesciando quella fallita. La convinzione che un uomo, chiunque egli sia, possa, attraverso il suo potere individuale e dittatoriale, riformare il Paese e rimetterlo sui binari di una sana democrazia e della giustizia sociale, dopo che è sprofondato nel pantano della democrazia malata e della corruzione dilagante, è simile alla convinzione che i mali politici si curano nel modo in cui il poeta Abu Nawas ha risposto a chi gli consigliava di smettere di dipendere dall’alcol: “la malattia è la mia cura”. La democrazia non si ottiene con metodi tirannici attraverso l’affidamento da parte del popolo della propria salvezza a un individuo, chiunque esso sia, ma piuttosto attraverso la creazione di una democrazia più profonda ed efficace che consenta di esercitare un controllo permanente su coloro che assumono il potere.
Da questa prospettiva, tutti coloro che si sono indignati per la corruzione della democrazia in Tunisia dopo la cacciata di Ben Ali avrebbero dovuto lottare per cambiare la Costituzione tunisina in modo da garantire agli elettori di ogni distretto la possibilità di cacciare i loro rappresentanti o deputati attraverso un voto popolare, petizioni o altri metodi democratici consolidati. Anche modificare la Costituzione in modo da cancellare i grandi poteri che offre il presidenzialismo al capo di Stato eletto direttamente con voto universale, soluzione che porta sempre alla glorificazione dell’autorità presidenziale, cioè il vertice della gerarchia statale, in contraddizione con la vera democrazia che si basa sul potenziamento della base dell’organizzazione statale. Ultimo, ma non meno importante, coloro che erano insoddisfatti delle attività dei membri dell’”Assemblea dei Rappresentanti” tunisina dovevano entrare essi stessi nell’agone elettorale per portare avanti la lotta al fine di migliorare la democrazia e difendere gli interessi dei lavoratori e lavoratrici.

07/03/2023

Traduzione dall’arabo a cura della Redazione di Rproject utilizzando traduttori automatici.

Qui il testo originale tratto da http://www.alquds.co.uk

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