di Christian Mahieux, ferroviere in pensione, sindacalista SUD-Rail [Union syndicale Solidaires], attivo nella Rete sindacale internazionale di solidarietà e lotta, membro delle redazioni di Cerises la coopérativeLa Révolution prolétarienne, Les utopiques, collaboratore della casa editrice Syllepse, da alencontre.org

Le riflessioni seguenti integrano quelle dei precedenti articoli

Un movimento che dura da due mesi

Il primo giorno di scioperi e manifestazioni è stato il 19 gennaio. Più di due mesi. Vincere il più rapidamente possibile è ovviamente l’obiettivo di tutti coloro che entrano in confronto diretto con i difensori dell’ordine capitalistico: governo, datori di lavoro, direzione aziendale, ecc. Ma tutti erano anche consapevoli del calendario specifico di questa legge e di ciò che la circondava: il suo esame all’Assemblea Nazionale e al Senato, le vacanze scolastiche e universitarie di febbraio, la necessità di costruire un movimento di opposizione su larga scala.

L’intersindacale CFDT / CGT / FO / CGC / CFTC / UNSA / Solidaires /FSU ha fissato la scadenza del 7 marzo, con l’invito a “bloccare la Francia”. La sera dello stesso giorno, il messaggio delle stesse organizzazioni nazionali intersindacali era molto chiaro: “l’intersindacale sostiene e incoraggia tutti i settori professionali a proseguire e ampliare il movimento”. Contrariamente a quanto accaduto durante movimenti simili nell’ultimo quarto di secolo, questa volta l’intersindacale non è affatto un freno; nonostante alcuni commentatori “radicali” ma non scioperanti o alcuni “rivoluzionari” il cui settore non brilla per numero di scioperanti. 

Al contrario, la sua resistenza a lungo termine è un elemento determinante per il livello di mobilitazione. Lo si vede nelle manifestazioni, certo, ma anche negli scioperi, come nel caso della SNCF dove, dal 7 marzo, i ferrovieri hanno prolungato il loro sciopero, su appello delle quattro federazioni CGT, UNSA, SUD-Rail [Solidaires], CFDT. Con le differenze legate alle sedi sindacali, la situazione è più o meno la stessa nelle altre professioni dove ci sono scioperi di massa su scala nazionale. 

L’unità è molto visibile anche nelle diverse azioni decise localmente in tutto il paese: distribuzione di volantini alle porte delle aziende o in luoghi pubblici, blocco di pedaggi, rotatorie o strade, sostegno alle occupazioni di siti produttivi, ecc. Esiste un rapporto dialettico tra il mantenimento dell’intersindacale nazionale nel tempo e gli slogan proposti da ciascuna forza sindacale. L’effetto sulla realtà – ed è questo che conta – si riflette nell’alto livello di mobilitazione sociale.

Mobilitazione sociale

È al tempo stesso eccezionale e insufficiente. Eccezionale per il numero di manifestanti, per la durata, per la rivolta popolare rilanciata dalla scelta del “passage en force” all’Assemblea nazionale e anche per il fatto che da due mesi gli scioperi interessano numerose aziende private in vari settori professionali. Insufficiente, perché, come abbiamo detto fin dall’inizio, “le manifestazioni non bastano”; eppure, questa rimane la modalità di azione preferita da molti. Bloccare l’economia, fermare i mezzi di produzione, cioè scioperare, rimane difficile da generalizzare, sia a lungo termine, naturalmente, ma anche durante le “giornate nazionali”. 

Le ragioni sono note, in primo luogo le insufficienze sindacali in termini di organizzazione interprofessionale locale. Ciò è dovuto all’antisindacalismo militante del padronato (assenza di diritti nelle aziende più piccole, messa in discussione dei diritti nelle altre, deviazione attraverso “istituzioni” di rappresentanza del personale sempre più istituzionali e sempre meno rappresentative, repressione antisindacale ovunque). Ma deriva anche dalle scelte dei sindacati stessi: quando si vuole cambiare radicalmente la società e si pensa che lo sciopero generale sia il modo per farlo, allora non si può emarginare la dimensione intersettoriale del sindacalismo nell’attività quotidiana.

Se questa constatazione è necessaria per andare avanti, è anche necessario ribadire il carattere potente di questo movimento di massa. Senza ripercorrere le grandi manifestazioni in tutti i territori, dobbiamo notare i blocchi, i raduni, che continuano dal 7 marzo. Non sostituiscono lo sciopero, perché hanno un effetto più debole sull’economia, sulla produzione e quindi sui profitti dei capitalisti. Ma mettono in azione, insieme, CGT, Solidaires, FSU, persino FO o CFDT, squadre sindacali delle stesse città, degli stessi quartieri delle grandi città; sono iniziative sindacali che riuniscono centinaia, a volte migliaia di partecipanti. A breve termine, questo rafforza la fiducia popolare nel movimento e nelle organizzazioni sindacali che lo organizzano; a lungo termine, crea una dinamica positiva per il movimento sindacale.

La crisi della loro “democrazia” borghese

Riassumiamo l’episodio precedente con una breve frase: “Per qualche settimana, i ‘rappresentanti della nazione’ hanno fatto… rappresentanza, teatro; non c’è da sorprendersi. L’opposizione ha agito per ritardare l’adozione del testo, il governo ha fatto lo stesso per accelerarne la convalida. Ciascun gruppo si è finto offeso per i mezzi usati dall’altra parte: moltiplicazione degli emendamenti da una parte, voto bloccato dall’altra. È solo una questione di normale gioco istituzionale, come previsto dalla Costituzione della Quinta Repubblica francese; questa repubblica al servizio della borghesia, costruita sul massacro dei Comunardi del 1871”

È in questa logica che, piuttosto che sottoporre la sua proposta di legge al voto dei deputati, rischiando così di vederla respinta, il presidente della Repubblica ha fatto ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione. Ciò significa che il testo in questione è considerato adottato di default, a meno che nei giorni successivi non venga votata una mozione di censura da parte della maggioranza dei deputati. 

Alla base di questa scelta c’è, ovviamente, un nuovo trucco aritmetico e democratico: mentre l’approvazione o la bocciatura di una legge è determinata da una maggioranza relativa (le astensioni e le assenze abbassano la soglia, basta avere più voti “favorevoli” che “contrari”), la mozione di censura che segue l’applicazione dell’articolo 49-3 richiede la maggioranza assoluta del numero dei deputati; in questo caso 287. 

Questo inverte, di fatto, la necessità di una maggioranza sul testo: non potendo raccogliere i voti necessari per farlo convalidare, il governo ha richiesto all’opposizione parlamentare di raccogliere 287 voti per poterlo respingere attraverso la mozione di censura. Come previsto, questo risultato non è stato raggiunto, con 278 voti (più del numero di voti che il governo avrebbe ricevuto nel caso di una votazione ordinaria il 16 marzo).

Vale la pena ricordare che da quando esiste l’articolo 49-3, sia i governi cosiddetti di sinistra che quelli di destra lo hanno utilizzato a profusione: prima di questa centesima edizione, dal 1962 c’erano stati 56 “49-3 di sinistra” e 33 “49-3 di destra”. Dal 1962, anzi dal 1981, nessun governo che comprende le forze di sinistra, in preda al panico dopo la decisione di Macron/Borne del 16 marzo, ha abbozzato una riforma volta ad abolire questa possibilità costituzionale. 

Resta il fatto che la decisione del presidente della Repubblica di utilizzare questo metodo ha contribuito a ravvivare la rivolta nel paese. Il 49-3 è stato infatti il coronamento dell’intero processo: tempi brevi per l’esame del testo, voto bloccato sull’intero testo al Senato e soprattutto bugie spudorate fin dalla presentazione del testo. 

L’esempio migliore è la vicenda della pensione minima di 1200 euro per tutti: le prime dichiarazioni riguardavano 2 milioni di persone, ma di smentita in smentita il ministro del Lavoro è arrivato a 10.000 all’anno. Un altro esempio sono i regimi pensionistici speciali, fonte di tanti mali secondo il governo: quelli scandalosamente vantaggiosi per i parlamentari non vengono toccati! 

C’è esasperazione democratica nel paese, in primo luogo tra gli sfruttati del sistema capitalistico. Questo non è estraneo a ciò che è alla base di gran parte del movimento dei Gilet Gialli, con il disprezzo dimostrato durante la crisi sanitaria del COVID, dove le autorità hanno detto tutto e il suo contrario.

Violenze della polizia

Soprattutto dal 16 marzo, si è parlato di cassonetti bruciati e finestre rotte. Certamente, nel periodo che stiamo vivendo, non si tratta di segni di radicalismo, se intendiamo con questo termine la prospettiva di rompere più rapidamente con il capitalismo. Ma la rabbia è grande e molto condivisa; tanto peggio se qualche cassonetto ne fa le spese! 

“Abbiamo detto tante volte che se la gente non si fosse sentita ascoltata, avrebbe avuto voglia di radicalizzarsi. Lo sentivamo arrivare, anche tra i nostri militanti che non sono affatto anarchici”: sono le parole del presidente della Confederazione Francese dei Lavoratori Cristiani (CFTC)!

Il modo in cui le autorità utilizzano questi pochi fatti per parlare di “violenza” è inaccettabile. La violenza sta nel fatto che si vogliono far perdere due anni di pensione a milioni di persone! È anche nella repressione della polizia, che è stata fortemente rafforzata negli ultimi giorni. 

A Parigi, l’Union départementale Solidaires aveva dichiarato l’intenzione di organizzare una manifestazione davanti all’Assemblea nazionale il giorno del voto. Il giorno prima, la prefettura di polizia ha vietato questa manifestazione! È stato necessario presentare una petizione al Tribunale amministrativo per ottenere la revoca del divieto. Migliaia di persone si sono radunate lì non appena è stato annunciato il 49-3. 

In serata, la polizia ha arrestato più di 200 persone! Manifestazioni, raduni e repressione da parte della polizia si sono ripetuti in molte città nei giorni successivi. In un comunicato stampa del 20 marzo intitolato “L’autorità giudiziaria non è al servizio della repressione del movimento sociale”, il Syndicat de la magistrature ha riassunto bene la situazione: “Il divieto di manifestare a Place de la Concorde a Parigi il 18 marzo ha portato a una moltitudine di fermi di polizia, senza alcun elemento che caratterizzi un reato. Su 292 arresti, 283 sono stati respinti. Questo uso improprio della custodia di polizia illustra gli eccessi delle forze dell’ordine […]”. L’esempio citato riguarda Parigi, ma gli stessi metodi – arresti senza motivo e violenza della polizia – sono stati utilizzati in molte altre città.

Sciopero per procura, referendum, Consiglio costituzionale

In termini di sciopero nazionale, ci sono le ferrovie, le raffinerie e il settore energetico. Altri settori sono interessati, ma non a livello nazionale (pulizia, ma non sotto forma di movimento a oltranza). Di fronte alle difficoltà di estendere lo sciopero, una parte delle forze sociali ha cercato di trovare soluzioni altrove. È innanzitutto il ritorno dello “sciopero per procura”: l’enfasi sulle casse per lo sciopero in questo tipo di periodo fa parte di questa strategia. Per quanto la costituzione di tali strumenti, nel lungo periodo, sia una necessità per il movimento sindacale, non ha senso pretendere di pensarci solo quando è iniziato un movimento che si vuole generale: a parte i pensionati o i disoccupati, chi dovrebbe poi contribuire per le casse di sciopero, se non coloro che dovrebbero scioperare? La questione della costituzione di vere casse di sciopero è importante. È un peccato caricaturizzarla in questo modo.

L’opposizione parlamentare ha presentato un ricorso al Consiglio costituzionale; è possibile che ne invalidi alcune parti; chi crede che invaliderà il tutto?

Che dire del referendum di iniziativa popolare contro l’innalzamento dell’età legale oltre i 62 anni? Ha il vantaggio di congelare la legge per nove mesi; ma sono necessari 4,7 milioni di firme per convalidare il processo. Un processo che porta all’indizione del referendum… a meno che il parlamento stesso non esamini la richiesta entro i 6 mesi successivi. Si torna al punto di partenza.

La dimensione internazionale

Non sorprende che la dimensione internazionale di quanto sta accadendo in Francia sia quasi ignorata dal movimento sociale. Come per l’attività interprofessionale, questa è la conseguenza dell’insufficiente considerazione dell’internazionalità nel sindacalismo, a livello globale. Le organizzazioni sindacali ricevono messaggi di sostegno dalle loro controparti in altri paesi. Si stanno organizzando alcune presenze internazionali nelle manifestazioni, come hanno fatto in diverse occasioni negli ultimi mesi le organizzazioni aderenti alla Rete internazionale di solidarietà e lotta sindacale

Si sono svolte anche azioni transfrontaliere. Si tratta di un evento importante, ma ancora troppo simbolico. In Europa, e non solo, tutte le popolazioni sono state bersaglio degli attacchi capitalistici alle pensioni; tutte si confrontano anche con ciò che è alla base della rabbia popolare che è anche al centro dell’attuale movimento in Francia: la miseria dilagante, la precarizzazione dei posti di lavoro, la distruzione dei servizi pubblici, la negazione della democrazia e il disprezzo di classe. 

Per restare a paesi geograficamente vicini a noi, ci sono stati, o ci sono ancora, scioperi importanti in Gran Bretagna, nello stato spagnolo, in Grecia, in Belgio, in Germania, in Portogallo; e l’elenco è lungi dall’essere esaustivo. Una delle chiavi della vittoria sociale è anche l’azione sindacale internazionale.

La lotta continua. Grazie a chi?

Grazie ai milioni di persone che partecipano alle manifestazioni; ma se ci fossero state solo queste giornate di azione, la crisi politica provocata dal massiccio rifiuto del disegno di legge del governo non avrebbe avuto un tale impatto. Questo è merito degli scioperanti. Scioperi difficili, scioperi insufficienti, ma scioperi che facciano capire che questa legge non sta per essere attuata, che il periodo di instabilità politico istituzionale apre delle prospettive, a patto che non ci si chiuda in queste istituzioni. 

Il prossimo passo, giovedì 23 marzo: milioni di persone in piazza, un’occasione per lanciare uno sciopero dove questo non è ancora avvenuto. Dovrebbe essere: “Noi ferrovieri siamo in sciopero rinnovabile da una settimana. Lo stesso vale per altri settori. Il modo migliore per sostenere chi sciopera è organizzare uno sciopero dove si lavora. Il modo migliore per vincere rapidamente è agire insieme”. L’appello dei ferrovieri di SUD-Rail risale al 10 marzo.

Il movimento iniziato il 19 gennaio non è inutile. Decine di migliaia di persone hanno scoperto o riscoperto l’utilità, la necessità, di organizzarsi all’interno della propria classe sociale, contro i capitalisti e i loro rappresentanti. È un primo risultato politico che ne genererà altri.

Traduzione dal francese da: https://refrattario.blogspot.com/2023/03/francia-ancora-sugli-scioperi-e-sulle.html