Lo so che a ripetere certe banalità si rischia di passare per maniaci ossessivi con tendenza alla paranoia, ma quello che risulta assodato e lampante per tutta la storiografia seria (di qualsiasi tendenza ideologica) pare non lo sia non solo per la maggior parte della gente che ignora i termini del problema, ma persino per molti compagni (o presunti tali). In realtà questa grande confusione sulle relazioni tra Russia e URSS non data dal febbraio 2022, e nemmeno dal 1991, ma risale già al 1917, quando l’impero russo zarista cessò di esistere, ed al suo posto nacquero decine di repubbliche, la più importante delle quali era la Russia dei Soviet. Il progetto dei bolscevichi ed in genere dei rivoluzionari “russi” (nel senso che erano sudditi dello zar di Russia, pur appartenendo alle più diverse “nazionalità” dell’impero) era quello, come si sa, di creare, grazie alla vittoria della rivoluzione tra Pietrogrado e Mosca, un “incendio” rivoluzionario mondiale (o almeno europeo). Quando Zinovev, chiudendo il primo congresso della Terza Internazionale, nel marzo del 1919 a Mosca, invita a brindare i delegati con un “L’anno prossimo a Berlino”, non stava assolutamente scherzando. E ne aveva ben donde: la rivoluzione a Vienna e in Germania di soli 5 mesi prima lasciava ben sperare. Dopo aver cacciato i due Kaiser, erano state proclamate due repubbliche (“dei consigli”, traduzione di “soviet”) alla cui testa c’erano dei socialisti (anche se di tempra ben diversa dai socialisti – e da tre mesi “comunisti” – dell’impero russo). In Ungheria era nata un’altra Repubblica dei Consigli, con a capo il comunista Bela Kun. Idem in Baviera, anche grazie al grande apporto degli anarchici. E in Italia stava sviluppandosi il “biennio rosso”, mentre un po’ ovunque (dalla Cina, all’India, alla Catalogna) crescevano le lotte sociali, con aspetti talvolta semi-insurrezionali. La scommessa di Zinovev, come si sa (col famoso “senno del poi” che nutre i nostri saggi “moderati”) fallì. Non è qui il caso di riassumere le ragioni del fallimento di quell’ondata rivoluzionaria, sul ruolo nefasto della pusillanimità delle socialdemocrazie occidentali, sugli errori di settarismo, ecc. Resta il fatto che la prevista estensione della rivoluzione in Occidente non si realizzò, e la rivoluzione d’Ottobre rimase confinata all’interno del vecchio impero zarista. Anzi, neppure in tutto, perché la rivoluzione d’Ottobre, concedendo la libertà di staccarsi alle “nazioni” sottoposte all’imperialismo russo che lo desiderassero, “perse” circa un quinto degli abitanti (polacchi, baltici, moldavi, finlandesi, ecc.) che costituirono delle repubbliche indipendenti (e violentemente anti-russe). Quindi il progetto di una Federazione Mondiale delle Repubbliche Sovietiche dovette essere ridimensionato a ciò che, dal 1922, diventerà l’URSS. I russi, che costituivano circa la metà della popolazione dell’ex impero al censimento del 1897, si trovarono ad essere la nazionalità maggioritaria nella neonata Unione, che gli stati “borghesi” (democratici o dittatoriali, poco importa) continuarono a chiamare “Russia”, un po’ per ignoranza, un po’ per non riconoscere la nuova, minacciosa realtà post-rivoluzionaria. Basti pensare che, su molti atlanti occidentali (in particolare negli USA), ancora negli anni ’70 al posto di USSR (la sigla inglese per URSS) si trovava “Russia”. D’altra parte anche tra i compagni, in quegli anni, era facile sentire usare il termine “russo” invece di “sovietico”. E le politiche di russificazione, più o meno soft, sponsorizzate da Stalin (che russo non era, come è noto) e dal gruppo dirigente intorno a lui, a partire soprattutto dagli anni ’30, non hanno certo contribuito a fare chiarezza. Nemmeno i più o meno sinceri tentativi di porre un freno a queste dinamiche a partire dal 1956 sono riusciti ad invertire questa tendenza, profondamente radicata nella società sovietica. Per cui la sciocca semplificazione ha continuato a prosperare fino al 1991, ed anche oltre, come dimostra il livello del dibattito politico dell’ultimo anno. Un po’ quello che succede quando chiamiamo “Inghilterra” l’intero Regno Unito (semplificazione che fa incazzare non solo i nordirlandesi repubblicani, ma anche gli scozzesi e i gallesi di tutte le tendenze). Solo che nel caso russo la confusione è foriera di danni incalcolabili, e non da oggi. Sarebbe interessante capire quanto peso ebbe, negli anni tra il 1917 e il 1922, il sentimento “popolare” anti-russo (nel senso anti-zarista) in Polonia, Finlandia, paesi baltici, Ucraina, Georgia, ecc. nel determinare la vittoria delle forze anti-bolsceviche (più o meno “bianche”), visto che l’identificazione “bolscevico=russo” serviva egregiamente agli scopi dei controrivoluzionari di Varsavia, Helsinki, Kiev, ecc. Di questo era ben cosciente Lenin, che considerava lo sciovinismo russo (allora si diceva “grande-russo”) come il principale pericolo per la costruzione di una nuova società dell’ex “prigione dei popoli”. Quindi, per favore, facciamo tutti uno sforzo di chiarezza geografica, storica e politica: se l’URSS non era assimilabile alla Repubblica Federativa Sovietica di Russia, figuriamoci con la neozarista Russia di Putin!
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Repetita juvant: la Russia NON è l’Unione Sovietica!
