Condividiamo l’intervento della compagna Renata al presidio di NUDM dell’8 dicembre.
Ora sappiamo per certo ciò che già con rabbia e dolore immaginavamo sulla base di legittimi sospetti : è stato ritrovato il 20 novembre 2022, a 575 giorni dalla scomparsa, in un sacco nero a due metri di profondità a Novellara (Reggio Emilia) a poche centinaia di metri dall’abitazione della sua famiglia d’origine, con gli stessi abiti indossati l’ultima volta che è stata ripresa viva, il corpo di SAMAN Abbas , SEQUESTRATA ED UCCISA DAI MASCHI DI FAMIGLIA CON LA COMPLICITA’ DELLA MADRE per aver rifiutato un matrimonio combinato. Aveva solo 18 anni, tanta voglia di vivere liberamente e tanto coraggio che l’aveva spinta ancor minorenne, a denunciare i suoi genitori che volevano obbligarla a sposare un cugino pakistano e a trovare rifugio in una casa protetta a Bologna da cui era uscita, ormai maggiorenne, per recarsi a Novellara, alla casa paterna e riprendersi i documenti indispensabili per andare via e vivere liberamente il suo futuro e le reIazioni da lei scelte . Neppure la violenza di suo padre, l’ostilità della madre e degli altri membri della famiglia poteva indurla a credere che i suoi “cari” la volessero davvero morta mentre si era recata da loro per richiedere, ormai maggiorenne, i documenti della sua libertà sperando in un ammorbidimento dei familiari che invece avevano già deciso la sua sorte, condannandola a morte.
Anche se dall’ultima telefonata terrorizzata al suo ragazzo le era sempre più chiaro che la sua vita era in pericolo, senza vie di fuga.
La tragica sorte di SAMAN, IL SUO BARBARO FEMMINICIDIO SONO UN CAPITOLO di una lunga seria di femminicidi (ormai 112, in Italia, secondo gli ultimi dati dell’osservatorio nazionale di NON UNA DI MENO) che si allunga ogni giorno in forma sempre più cruenta e che vede, nel mondo, molti autori di tale crimine: lo stato e le sue leggi, il clan familiare, il singolo individuo (quasi sempre partner, ex partner, conoscente o familiare). Ogni giorno, in nome dei piu’ diversi moventi , ma con unica regia patriarcale ed assassina, si giustiziano le donne e i soggetti non conformi, per ribellione a leggi di controllo su corpo e capigliatura femminile, per identità divergente da quella assegnata per nascita, per offesa alla religione, disonore della famiglia, rifiuto di un matrimonio combinato, tradimento del marito, richiesta di separazione o divorzio, scelta di un partner non accettato, rifiuto in un rapporto tossico, protesta nello spazio pubblico. Nella maggioranza dei casi l’esecuzione di una donna o di più donne su una pubblica piazza, in un carcere, come in Iran o in Afghanistan o nel chiuso di un clan patriarcale o tra le mura di un appartamento o per strada, o nel luogo di lavoro è preceduta da un atto di ribellione o da una semplice decisione che vede le donne e le soggettività perseguitate dal patriarcato in ogni luogo del mondo, ribellarsi a un imposizione sul propri o corpo e alle assurde punizioni conseguenti come in IRAN, ALLA SEGREGAZIONE sociale e lavorativa come in AFGHANISTAN o in TURCHIA, ad abbandonare una storia ormai chiusa o rifiutare una decisione patriarcale sul proprio destino come Saman, Hina e le altre, ad allontanarsi da una famiglia tossica con un padre padrone e una madre al suo servizio, in nome della propria salute mentale e del proprio diritto di scelta.
E tocca a noi sottrarre tutte le donne e le persone divergenti uccise all’immaginario dominante e diffuso su social e sui media che le vede perdenti e sconfitte nell’atto femminicida del loro uccisore , ( come nelle immagini di molte campagne pubblicitarie contro la violenza sulle donne). Dobbiamo immaginarle e dar loro voce un attimo prima della loro morte, nell’atto in cui si oppongono all’oppressione, esprimono col loro corpo il rifiuto e ad ogni tentativo di stupro altro tipo di abuso, prendono decisioni coraggiose, stanno per andarsene, tentano di difendersi e di sottrarsi alla violenza , rifiutano un rapporto sessuale senza consenso, scendono in piazza a manifestare. DOBBIAMO AMPLIFICARE i loro NO, i loro BASTA, I loro MAI PIU, e scatenare una protesta collettiva come accaduto in IRAN capace di sconvolgere il potere e l’intera società.
Il potere patriarcale, rafforzato dal suo connubio con lo sfruttamento capitalistico, si afferma come violenza e prevaricazione nei confronti di tutti i soggetti sottoposti a partire dalle donne e ha sempre dato giustificazioni ideologiche della sua violenza misogina, individuale o di gruppo , attraverso il concetto dell’onore maschile (tanto caro ai fascisti e razzisti di tutto il mondo) di cui la donna doveva considerarsi la vestale muta e sottomessa e in nome del quale, se ha recato danno col suo comportamento all’onore virile, può essere punita, reclusa, assassinata per ristabilire l’onorabilità del maschio ferito e di tutta la comunità maschile.
Cosi avveniva e avviene nei confronti di tutti i soggetti che non rispettano la costruzione sociale della “virilità” e la sua complicità da squadraccia.
MA noi condanniamo e lottiamo contro il femminicidio in ogni sua forma come manifestazione estrema della violenza patriarcale strutturale e rifiutiamo la giustificazione antropologica ( diversità di culture) e quella psichiatrica che tende a giustificare il presunto raptus femminicida trascurando l’esistenza spezzata delle donne e di tutte le persone uccise, le figlie e i figli rimasti orfan* , il dolore di chi le amava, un percorso di libertà interrotto nel sangue.
TUTTE LE società, in modo diverso nel tempo, hanno usato questo concetto di onore che espone ogni donna al giudizio pubblico o privato ed è stato presente fino al 1981 nel nostro codice che consentiva una notevole riduzione di pena per delitti d’onore aventi quasi sempre come oggetto donne uccise per ristabilire l’onore maschile perduto. L’ART 587 in vigore dall’epoca fascista recitava “CHIUNQUE CAGIONA LA MORTE DEL CONIUGE, DELLA FIGLIA O DELLA SORELLA, NELL’ATTO in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”.
Non si può decolonizzare l’immaginario senza fare i conti con la propria storia, i suoi codici, il suo colonialismo interno ed esterno e le tracce lasciate fino ad oggi, le resistenze eroiche delle donne che hanno determinato l’abolizione delle leggi più apertamente segnate dal dominio maschile.
ANCHE se la legge è stata abolita da 40 anni, il femminicida pensa in molti casi di imporre la pena di morte alla donna che si è sottratta al suo possesso, alle sue regole di comportamento, alla dipendenza da lui, al suo controllo sul proprio corpo e sul proprio tempo, ai servizi domestici gratuiti per vivere ALTROVE la propria esistenza.
Ci vogliamo vive e libere SEMPRE E OVUNQUE!
SOSTENIAMO CON LA NOSTRA SORELLANZA LE DONNE
LIBERE E AUTODETERMINATE DEL ROJAVA SOTTO ATTACCO DELLA TURCHIA DI ERDOGAN, LE DONNE IRANIANE CHE HANNO ATTRAVERSATO OGNI CONFINE CON LA LORO LOTTA RENDENDO COSMICO IL LORO GRIDO “DONNA, VITA, LIBERTA’, LA LOTTA QUOTIDIANA DELLE AFGANE E OGNI GESTO DI RESISTENZA INDIVIDUALE E COLLETTIVO CHE ERODE IL POTERE DEI PADRI.
LA NOSTRA UNITA’, NELLA DIVERSITA’ DELLE SITUAZIONI E DELLE FORMA DI LOTTA RENDERA’ POSSIBILE la fine del PATRIARCATO E DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTICO!
NON UNA DI MENO BRESCIA