Domani, mercoledì 5 ottobre, la sezione bresciana di Amnesty International organizza una manifestazione di appoggio alla lotta delle donne e dei popoli d’Iran contro la dittatura islamo-fascista degli ayatollah. Io appartengo sia ad Amnesty International che a Sinistra Anticapitalista (che ha deciso ieri di aderire alla manifestazione), per cui parteciperò con doppio entusiasmo. So bene che alcuni, nella “compagneria”, storceranno il naso. Alcuni perché, ormai dimentichi dell’ABC del marxismo e della lotta di classe, hanno da tempo sostituito il comunismo con la geopolitica. Per cui, visto che l’Iran degli ayatollah è (più o meno) ufficialmente schierato contro l’imperialismo USA, bisognerebbe, se non appoggiarlo, almeno non criticarlo e metterlo in difficoltà. A queste pseudo-argomentazioni (il famigerato “neo-campismo”) ho già risposto in innumerevoli occasioni, e sono stanco di sprecare fiato (e inchiostro) verso persone (ormai non li considero nemmeno più “compagni”, seppur tra virgolette) che sono, a mio avviso, ormai fuoruscite non solo dal comunismo, ma anche dal perimetro della sinistra intesa in senso lato. Più serie le argomentazioni di quei compagni che, pur aborrendo il regime oscurantista reazionario di Teheran, sottolineano i rischi di una rivolta popolare in cui sono visibili tentativi di strumentalizzazione da parte di forze controrivoluzionarie (come i nostalgici della monarchia dello Scià) o ambigue (come il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, guidato dai Moujaheddin del Popolo, con sede a Parigi), oltre all’ovvio tentativo di inserimento di tutti i nemici della leadership teocratica iraniana (a cominciare appunto dagli imperialisti USA e dai sionisti israeliani). Argomentazioni più serie, dicevo, ma non certo sufficienti per “snobbare” una rivolta popolare dalle caratteristiche progressiste (a cominciare dall’uguaglianza uomo-donna, che dovrebbe essere nel DNA non solo di marxisti, anarchici e rivoluzionari in genere, ma di ogni “progressista” e “democratico” di qualsiasi “parrocchia”). D’altra parte come si sarebbero comportati, questi compagni, durante la “domenica di sangue” del gennaio 1905 a S. Pietroburgo? Non avrebbero solidarizzato con gli operai che inalberavano le icone, guidati dal Pope Gapon, per consegnare la petizione al “piccolo padre”, lo zar Nicola II, che li farà massacrare dall’esercito? O, per restare molto più vicini ai nostri tempi, che fare quando i sionisti israeliani massacrano decine o centinaia di palestinesi a Gaza, dove sono guidati da uno dei gruppi dirigenti più reazionari del mondo musulmano, quell’Hamas che è tanto simile (anche se sunnita) nell’ideologia teocratica ai corvi neri che comandano a Teheran? Io, pur disprezzando il pope Gapon e Hamas, mi schiero con gli operai pietroburghesi contro lo zar, e con i palestinesi di Gaza contro il terrorismo sionista. E con molte più ragioni, visto che il movimento di massa in Iran ha caratteristiche ben più aperte e progressiste, sto con le donne e i popoli d’Iran. Perché “donna, vita e libertà” mi sembrano ben più importanti di tutti i dubbi, i distinguo, le “analisi del sangue”. E posso immaginare quale grande passo avanti sarebbe, non solo per l’Iran, ma per l’intero Medio Oriente e forse persino per l’intero “mondo musulmano”, la caduta del regime teocratico degli ayatollah. Significherebbe, probabilmente, l’inizio dell’inversione di quella tendenza (iniziata alla fine degli anni Settanta in Iran e Afghanistan) che ha portato l’integralismo islamista ad egemonizzare tutto ciò che si muove in quell’area (e a far fallire le cosiddette “primavere arabe”). Spazzare via i preti iraniani è solo l’inizio della liberazione. Potrebbe portare un vento nuovo, per lo meno laico e democratico, in tutta questa martoriata area. E magari rimettere di moda Marx, Fanon, Serfaty, invece del Corano.
Flavio Guidi