Se queste elezioni sono andate male (per chi non fa parte delle classi dominanti ed ha un minimo di intelligenza politica) un po’ ovunque, che ci si può aspettare nel Bresciano (che, come diceva Nenni un po’ ingenerosamente, è la Vandea d’Italia), una delle zone politicamente più conservatrici d’Italia? Ecco, la tipica frase che noi, la sinistra bresciana, usiamo, quando parliamo della nostra provincia (“Brescia è conservatrice ma non fascista”) andrebbe ridiscussa, ahimè. Per la prima volta nella storia, il partito degli eredi di Mussolini e di Almirante è il primo partito della provincia. Da noi il MSI non era mai andato oltre il 5% dei voti (più spesso tra il 3 e il 4). Persino AN, la riuscita operazione di allargamento-sdoganamento operata dalla coppia Fini-Berlusconi era riuscita a superare il 10% solo in occasione delle elezioni del 1996. Ed ora i fratellini meloniani sono arrivati, al Senato, a superare il 30%! Certo, chi ha pagato tutto questo è stato soprattutto il resto della destra. In particolare la Lega, che è passata dal 26% del 2018 (ma quasi 50% nel 2019!) al 16 di oggi, mentre Forza Italia (storicamente debole da noi) perde circa 4 punti (da meno del 12 al 7,6%). Comunque la destra è davvero egemone tra l’Adamello e l’Oglio (magra consolazione dire “lo è sempre stata” o “rispetto a 3 anni fa ha perso 8 punti!”), avendo raggiunto il 55%, e non governa solo grazie alla legge-truffa elettorale, come nel resto del paese (dove, col 43,8% dei voti, ha quasi il 60% dei seggi). E la novità preoccupante sta proprio nel fatto che noi bresciani, abituati all’egemonia conservatrice DC e leghista (alla Bossi), non immaginavamo che gli eredi di Turati (Augusto, non Filippo) potessero diventare non solo il primo partito della destra, ma addirittura il primo partito in assoluto! Un’altra “anomalia” bresciana è il relativo successo dell’indigeribile aggregazione Calenzi (Calenda-Renzi), che arriva intorno al 10%. Ciò significa che il “campo largo” della destra arriva da noi a circa i due terzi dei votanti (che qui sono sempre più che nel resto d’Italia, arrivando anche stavolta a superare il 70%). Con i “grillini” ridotti male (sono sempre stati deboli da noi), intorno al 6%, i centro-sinistri nostrani non possono lamentarsi troppo. Il PD non è troppo lontano dalla media nazionale (il 18 invece del 19), così come l’Alleanza Sinistra-Verdi (3,4) e +Europa (3%). Nell’area metropolitana supera addirittura la media nazionale, con PD al 20,4, Sinistra-Verdi al 4,3 e +Europa al 3,4. Ed in città perde per pochissimi voti il primato consolidato (23,8%). Ma, al di là del consolatorio “nel regno dei ciechi anche un orbo è re”, c’è proprio poco da stare allegri. Soprattutto noi, la sinistra cosiddetta “radicale”, che, con Unione Popolare all’1,1% (1,3 nell’area metropolitana, 1,6 in città) non riusciamo ad andare meglio della media nazionale (cosa che invece era accaduta nel 2018, con Potere al Popolo). Ci sono qua e là “macchie” rosse, dovute ovviamente al radicamento locale, indispensabile per chi non ha avuto accesso ai media nazionali. Per esempio l’8% ottenuto a Verolavecchia, dove è attivo e lavora da anni il Collettivo Linea Rossa, che unisce militanti di SA, del PRC e “cani sciolti” (e dove è sindaco la compagna Laura Alghisi, del PRC); oppure il 4-5% ottenuto a San Polino, nell’area a sudest della città, dove lavorano da tempo i compagni del Comitato Contro le Nocività (due dei quali erano in lista con UP); anche qualche realtà della Val Trompia operaia (come Bovezzo, al 3%) non sono disprezzabili. Ma in complesso non si può dire che UP sia riuscita a rompere il muro del silenzio e a “sfondare” (che in questo caso avrebbe significato arrivare al 3%, non certo vincere le elezioni). Nec spe, nec metu, dicevano i latini. A rimboccarsi le maniche, pronti, come sempre, ad andare controcorrente.
Flavio Guidi