Prima nello stabilimento di Pomigliano, poi a Torino, gli operai della multinazionale Stellantis si riprendono il ruolo di protagonisti. Intervista con Pasquale Loiacono, delegato Fiom alle RSU di Mirafiori [Adriano Alessandria]

Prima nello stabilimento di Pomigliano, poi in quello di Mirafiori a Torino, gli operai della multinazionale Stellantis si riprendono il ruolo di protagonisti. Si tratta di una reazione di lotta che nasce dal peggioramento delle condizioni di lavoro. A Pomigliano si è scioperato contro l’eccessivo caldo nell’ambiente di lavoro e l’aumento dei carichi di lavoro. E a Mirafiori? Lo abbiamo chiesto a Pasquale Loiacono, operaio e rappresentante sindacale della Fiom-Cgil nel reparto carrozzerie.

«Le cause degli scioperi a Mirafiori sono i carichi di lavoro. Da due settimane, noi delegati della Fiom abbiamo verificato la saturazione dei tempi sulle linee, l’aumento della produzione senza un corrispettivo aumento degli addetti. Tutto mentre sono in atto limitazioni e impedimenti alla nostra attività sindacale. Le pessime condizioni di lavoro dovute alla velocità di esecuzione imposta, balzano subito agli occhi. Abbiamo raccolto le rimostranze degli addetti alla linea e chiesto alla direzione di intervenire per ristabilire condizioni di lavoro decenti».

Aveto ottenuto risposte?

La situazione non è cambiata. La cadenza della linea è rimasta alta e senza aumento di addetti. Tieni presente che molti lavoratori si sono dimessi e ciò contribuisce ad avere a disposizione meno manodopera.

Tutto si inserisce nell’organizzazione del lavoro basata sulla metodologia del World Class Manufacturing (WCM), che ha come scopo la riduzione dei costi di produzione, compresi quelli della manodopera. Pasquale racconta di come è applicato questo metodo, lo stesso adottato alla Opel in Slovacchia con la variante di non considerare più talune operazioni, come l’imbocco delle viti, tagliando così i tempi di lavoro. Saturati anche dall’avvicinamento dei “pezzi” necessari ad alimentare la linea che hanno riempito ancora di più il tempo di lavoro, privandolo delle piccole pause prima consentite. L’effetto complessivo è stato ben descritto da un operaio di Pomigliano: “non abbiamo più neanche il tempo di asciugarci il sudore”.

Lavorare nelle condizioni descritte da Pasquale e da altri, non va a beneficio dei lavoratori e neanche dell’azienda. Il ritmo troppo intenso e veloce incide sulla qualità del prodotto finale perché alcune operazioni mancano o sono mal eseguite. Ciò sembrerebbe messo in conto dall’azienda, uno scotto da pagare in cambio dell’aumento della produttività, invocato dall’amministratore delegato Tavares: 22 vetture prodotte in più con l’aumento di soli tre operai sulla linea.

Certo, l’aumento del rapporto tra produzione e addetti, è un recupero di efficienza, tagliando gli occupati. Questo fa seguito a tagli precedenti nei servizi delle pulizie, dell’igiene, della sicurezza. Il prossimo taglio riguarderà la qualità dei materiali?.

Parliamo dello sciopero che avete organizzato.

Il 31 maggio è partito lo sciopero, le linee si sono fermate, la produzione è cessata. La forte partecipazione era dovuta alla insopportabilità dei carichi di lavoro. Nella breve assemblea che durante lo sciopero abbiamo svolto davanti agli uffici della direzione, i partecipanti non erano per nulla intimoriti, erano determinati.

Che ruolo hanno avuto le rappresentanze sindacali aziendali?

Noi della Fiom, pur senza la dovuta agibilità, siamo intervenuti tra i lavoratori per verificare le cause e la pesantezza dei disagi. Abbiamo raccolto la disponibilità ad agire contro il deterioramento delle condizioni di lavoro.

E i delegati degli altri sindacati?

I delegati di Fim-Cisl e Uilm-Uil hanno sabotato la nostra iniziativa. Non esagero. Per ostacolare il percorso avviato di contrapposizione con l’azienda, hanno indetto una riunione di Commissione Produzione per un esame congiunto con la direzione aziendale, tentando di far credere che quello fosse il luogo dove si risolvevano i problemi. Si è trattato di fumo negli occhi.

Evidentemente da quei delegati i lavoratori di Mirafiori non traggono molte aspettative. Difatti la maggioranza di loro ha partecipato all’assemblea e alla lotta successiva. Com’è andata?

La partecipazione all’assemblea è stata buona. Non essendoci state risposte positive dall’azienda, al termine dell’assemblea operai e operaie sono entrati in sciopero e in corteo si sono avviati all’ingresso dell’officina. Qua è avvenuta una cosa mai successa: la direzione mi ha diffidato – e ha diffidato la Fiom-Cgil – dall’entrare in corteo nelle linee di montaggio. Per evitare situazioni spiacevoli non abbiamo proceduto, ma a questo punto lo sciopero è proseguito sino alla fine del turno.

Come mai la diffida per impedire il corteo interno, come si faceva una volta?

Forse temono sia contagioso. La situazione è pesante per tutti, il malcontento potrebbe innescare reazioni e disponibilità alla lotta, come dimostra la partecipazione che anche nello sciopero vi è stata. Le linee ferme e la produzione azzerata potrebbero aver consigliato alla direzione di impedire il corteo di scioperanti in giro per lo stabilimento.

E ora?

Vediamo, se i carichi di lavoro saranno ridotti aggiungendo altri operai. Se si tratta di scarsità di mano d’opera, si facciano assunzioni. Quel che è certo, è il nostro impegno a migliorare le condizioni di lavoro e quindi a proseguire le iniziative di queste settimane.

Conoscendo le compagne e i compagni della Fiom di Mirafiori, che oggi sono un tutt’uno con chi è arrivato dalla Maserati di Corso Allamano, i loro trascorsi e il loro impegno nelle resistenze a Marchionne e a chi per esso ne voleva impedire l’attività sindacale, oltre al nostro plauso, deve andare tutto il nostro sostegno.

Ragionare di scioperi sulla condizione di lavoro – che si svolgono nel gruppo industriale che negli anni Settanta determinava i rapporti di forza sindacali e la conclusione di vertenze nazionali- può essere l’inizio di una nuova sindacalizzazione e una ritrovata disponibilità alla partecipazione. Quella che, da tempo, in Fiat, poi in Fca e ora in Stellantis è mancata, per aiutare la ricostruzione del movimento sindacale. Ci devono essere anche le lavoratrici e i lavoratori di Stellantis nel percorso di insorgenza e convergenza con le altre vertenze, per un’azione comune e coordinata contro lo sfruttamento e per la giustizia sociale.

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