di Rolando D’Alessandro (Barcellona)

Il 17 agosto del 2017 un furgone provoca una strage di passanti sulle Rambles, altre due vittime civili sono assassinate nelle ore seguenti a Barcellona e Cambrils. 17 morti e decine di feriti. I mossos d’esquadra uccidono i 5 attaccanti.

La stampa riporterà che l’attentato, di matrice jihadista, era stato una soluzione di ripiego del commando terrorista a causa dell’esplosione che due giorni prima aveva distrutto la villetta in cui stavano fabbricando una ingente quantità di esplosivo e in cui erano morti alcuni dei membri.

Si scopre subito che l’ideologo della strage è un ex spacciatore marocchino contattato in carcere da Guardia Civil e dai servizi segreti che ne avevano prima evitato l’espulsione facendolo poi “assumere” come imam da una comunità islamica a Ripoll.

La spiegazione ufficiale: una normalissima pratica d’infiltrazione. Roba rutinaria. Gli agenti responsabili della sorveglianza dell’imam dopo l’attentato sono trasferiti all’estero.

Siamo alla vigilia del referendum d’indipendenza del 1º ottobre e la situazione in Catalogna è molto tesa, con una forte pressione di tutti i poteri dello stato su rappresentanti e organizzazioni indipendentiste.

Da parte delle vittime e delle autorità catalane, nonché di alcune forze progressiste spagnole o basche, si esigono approfondimenti delle indagini sul ruolo del CNI e la creazione di una commissione parlamentare. Tutte le richieste si scontrano con il blocco compatto dei partiti “costituzionalisti” (dal PSOE a VOX) che si oppongono con sdegno al “complottismo” di chi vuole “gettare fango” sulle istituzioni spagnole.

Questa difesa dell’”onorabilità a prescindere” dei servizi segreti continuerà anche nelle aule del tribunale speciale (Audiencia Nacional) che processa i superstiti presunti membri del commando: il giudice respingerà tutte le proposte di nuove prove, perizie e testimonianze avanzate sia dalla difesa che dalle parti civili.

Capitolo chiuso quindi, nonostante le rivelazioni di un giornale, Publico, che spingerebbero a ipotizzare quanto meno una gravissima negligenza da parte delle autorità spagnole nella gestione dell’episodio.

Pochi giorni fa però una dichiarazione del commissario Villarejo scatena di nuovo un’ondata di sospetti.

È costui un membro della polizia condecorato negli anni Ottanta per il suo operato contro ETA e l’indipendentismo basco e fino al 2018 stretto collaboratore dei servizi segreti del regno. Caduto in disgrazia, viene accusato di una serie di reati e avvia una sorda lotta a colpi di rivelazioni parziali, insinuazioni e controaccuse, con gli ex compagni e complici.

Personaggio di spicco delle cosiddette cloache dello stato, le sue indiscrezioni su casa reale e alcuni scandali di corruzione avevano finora sollevato un certo scalpore e moderate polemiche. Stavolta però, nel contesto di un interrogatorio in aula per tutt’altro caso, afferma di aver collaborato fino all’ultimo con il CNI per “sistemare la faccenda dell’attentato di Barcellona, dove un’operazione pensata per spaventare un po’ i catalani, era sfuggita di mano ai suoi ideatori”. Spiegherà poi alla stampa che non era sua intenzione affermare che il direttore dei servizi avesse organizzato l’attentato ma che semplicemente aveva voluto utilizzare la situazione per, sventando il pericolo, ricordare alla società catalana l’importanza di poter contare sulla protezione dello stato contro minacce di questo calibro.

Anche questa volta l’estrema destra, le istituzioni, il PSOE e la totalità della stampa del regno fanno quadrato per difendere, ignorando o denigrando le parole del commissario, intorno all’asserita esemplarità dei servizi spagnoli.

Al coro di difensori dello “stato profondo” stavolta però si uniscono voci insospettate. La sindaca di Barcellona, Ada Colau, giunta alla carica sull’onda dei movimenti sociali barcellonesi, rende pubblica la posizione sua e della istituzione che rappresenta sulle parole di Villarejo. Deludendo chi si aspettava dalla prima cittadina della città aggredita un appello a far chiarezza sul ruolo dello stato e sui molti punti oscuri di tutta la vicenda, l’Ada si unisce invece al coro di quelli che mettono pesantemente in dubbio la credibilità del testimone.

Come molti altri suoi compagni di partito allude alla scarsa credibilità dell’ex funzionario e spia al quale esige “prove solide” a “sostegno di accuse di tanta gravità” che “aumentano ulteriormente la sofferenza delle vittime, che già patiscono tanto”.

Questa allusione alle vittime che vanno lasciate in pace ricorda da una parte gli argomenti della destra spagnola per criticare chiunque si rifiuti di considerare chiuso il capitolo della guerra civile e della dittatura senza un’approfondita operazione di giustizia e riparazione e dall’altra costituiscono un pesante affronto a vittime – come il padre del bambino di tre anni travolto sulle Rambles – che da anni ormai stanno cercando inutilmente di sapere tutta la verità, tutti i perché della tragedia.

Sulla scia della sindaca sui social e in pubblico l’area dei Comuns insiste sull’assenza di prove chiare (tacendo il fatto che gli archivi di Villarejo, che documentava tutto in modo maniacale, sono adesso coperti dal segreto di stato e sotto la custodia delle istituzioni spagnole) e sulla natura losca del soggetto. Un po’ come se in Italia la sinistra si opponesse all’uso di pentiti o confidenti– gente come si sa che si muove non certo per senso civico – nei processi di mafia.

Sorprende, in questi novelli difensori del dogma dell’innocenza di stato, l’insistenza a voler trattare le esternazioni dell’ex poliziotto e spia come una sparata avulsa da ogni contesto e fatta nel corso di una chiacchierata al bar: sono già molti gli indizi e i fatti accertati, grazie ad indagini di giornalisti, della polizia catalana, o ad ammissioni degli stessi servizi segreti, che dimostrano che non tutto è stato detto sui rapporti fra servizi e l’ideologo del commando terrorista. E sorprende anche la leggerezza con cui evitano di esigere spiegazioni ai soci di governo socialisti sul muro che la maggioranza “costituzionalista” ha opposto ogni volta che è stata richiesta la creazione di commissioni parlamentari d’inchiesta (che in casi di tale gravità – non solo per il numero dei decessi ma anche per le delicatissime implicazioni sociali del caso – dovrebbero essere di routine in una democrazia formale).

Che Pedro Sanchez o il suo entourage di lacchè, di fronte alle esigenze di trasparenza per un attacco tanto strano quanto tragico (per il contesto, i protagonisti, i mezzi), fingano lo stesso sdegno di un vescovo dell’opus Dei quando qualcuno mette in dubbio la verginità della Madonna, è perfettamente coerente e comprensibile, in quanto burocrati di un partito che è stato ed è una colonna del “regime del 1978” e strenuo difensore del mantenimento dell’ordine monarchico, con tutta la struttura dei privilegi di classe che caratterizza la “Spagna eterna”.

Che lo facciano Ada Colau o persone che si definiscono di sinistra invece è una vergogna.

È una vergogna e una gravissima irresponsabilità politica che persone arrivate alle istituzioni grazie alla promessa di “restituirle alla cittadinanza” convochino conferenze stampa in cui definiscono tentativo di omicidio una innocua fiammata su un automezzo blindato della polizia nell’ambito di una manifestazione in difesa della libertà di espressione (contro l’arresto del rapper Pablo Hasel – tuttora in carcere-), e perseguitino poi un gruppo di giovani anarchici italiani mediante i servizi giuridici del comune di Barcellona, che ne hanno evitato finora la scarcerazione. E che ora gli stessi personaggi chiedano il rispetto assoluto e dogmatico della presunzione di innocenza (e di qualità democratica) dei servizi segreti del regno, o della Guardia Civile. Ricordiamo en passant il silenzio che la sindaca femminista ed ex squatter ha condiviso l’estate scorsa con media, istituzioni e partiti sulle denunce di torture a sfondo sessuali formulate di fronte all’Audiencia Nacional da due avvocate basche, imputate per aver difeso membri dell’ETA (gli slogan ”sorella io si ti credo” e “se attaccano una ci attaccano tutte” urlati con forza dalle rappresentanti della “nuova politica” alle sfilate dell’8 marzo, evidentemente non valgono quando le “sorelle attaccate” lo sono da solerti funzionari dello stato).

Con una tale sinistra, la responsabilità della bomba di piazza Fontana, che nel 1969 inaugurò con 17 vittime civili la “strategia della tensione” e la sanguinosa serie di attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, ricadrebbe ancor oggi su Valpreda e sul movimento anarchico, Pinelli si sarebbe suicidato per il rimorso, la P2 non sarebbe mai esistita e i servizi segreti “deviati” avrebbero fatto semplicemente il lavoro che competeva loro in una democrazia “piena” “consolidata” e “magnifica”.

Se non fosse stato per il tenace impegno di una miriade di associazioni, collettivi, artisti, giornalisti e di tutto il “popolo di sinistra” sarebbe prevalsa la versione ufficiale (anche allora la stampa e i politici conservatori definivano sospetti e denunce sull’operato dei corpi di sicurezza come incredibili, assurdi, insinuazioni senza prove) e la verità non sarebbe mai venuta fuori.

Molti di quei crimini sono rimasti impuniti, perché le istituzioni della Repubblica Italiana (quella della “costituzione più bella del mondo” – Benigni dixit -) hanno insabbiato, depistato, protetto autori e soprattutto mandanti ma, grazie alla lotta di tanti, alla fine la verità politica si è imposta e gli attentati di Milano, Bologna, Italicus, Brescia possono essere definiti pubblicamente “stragi di stato”.

Mi chiedo, oggi, cosa fa pensare ai politici dei “Comuns” – fra i quali spicca per belligeranza sdoganatrice del monarchico stato spagnolo un manipolo di universitari italiani imboscati in facoltà catalane – che le istituzioni spagnole siano immuni da tentazioni d’intervento violento? Su cosa si basano per ritenere che quanto accaduto nell’Italia democratica e antifascista sia impensabile nel regno di Spagna?

Un paese in cui il ruolo di capo dello Stato spetta a una famiglia per volontà di un dittatore fascista. Un paese in cui servizi segreti organizzano la fuga del primo re in un paese senza estradizione per dar tempo a insabbiare la serie di reati che avevano permesso a Juan Carlos I accumulare una fortuna di miliardi di euro. In cui le forze di polizia e l’esercito sono piene di ideologia e di attivisti di estrema destra. Dove la magistratura è indipendente dal governo, se non è smaccamente di destra, ma non dagli interessi delle caste dominanti, economiche e politiche. Dove le migliaia di denunce di tortura contro Guardia Civil e polizia sono sistematicamente cestinate. Dove c’è stato terrorismo di Stato, provato in processi che si sono conclusi con condanne mai scontate di alcune figure di secondo piano. Dove i partigiani antifranchisti sono ancora considerati delinquenti. Lo stato dei servizi che organizzarono l’attentato alla Scala per attaccare il movimento anarchico. Lo stato del commercio d’armi con dittature genocide. Dove la GC uccide 14 immigrati sparando pallottole di gomma e non viene nemmeno organizzata una parodia di processo. Dove rapper, tweeter, manifestanti sono processati e condannati per aver denunciato gli abusi dei potenti. Dove sono state pestate centinaia di persone che stavano votando. Dove si fanno patti segreti con la dittatura marocchina per violare i diritti umani di migliaia di immigrati subsahariani. Dove i CIES – carceri per persone colpevoli di essere nate nel posto sbagliato – sono pieni. Dove le banche o palazzinari come Florentino Perez ricevono a piene mani i fondi pubblici lesinati o estorti alle classi popolari. Dove le “operazioni Catalogna” o i “plan ZEN” sono accettate da mass media e opinione pubblica come operazioni legittime per manipolare la realtà e “sconfiggere il nemico”. Dove il panorama mediatico è il più a destra di tutta Europa. Dove centinaia di nazisti si rifugiarono e vissero e prosperarono dopo la seconda guerra mondiale. Dove il “reato di odio” non è applicato quasi mai agli aggressori di persone appartenenti a minoranze sociali fragili, ma ai 150.000 membri di organizzazioni che hanno il monopolio delle armi (e della violenza).

Considerare questo stato, con la sua composizione e storia, come “al di sopra di ogni sospetto” può essere cosa solo di gente molto ignorante, molto ingenua o in mala fede.

O molto, molto cinica. Di un cinismo che per anni ha permesso di utilizzare fatti insignificanti, come anonime scritte a pennarello, per orchestrare campagne di denigrazione contro l’indipendentismo catalano, e di tacere sistematicamente di fronte all’autoritarismo, alla repressione di opzioni politiche non violente e all’omertà dei pubblici poteri. Un cinismo che permette adesso di attribuire a “interessi politici” l’esigenza d’indagini imparziali su uno degli attacchi più mortiferi subiti dalla società catalana negli ultimi decenni.

Nota:

Colgo l’occasione per citare un altro attore istituzionale che ha aderito alla parola d’ordine dell’omertà, evitando qualsiasi iniziativa che chiami in causa i servizi segreti dello Stato spagnolo: il corpo consolare e diplomatico dei paesi di cittadini vittime del 17A. Nel caso italiano due giovani che trascorrevano brevi vacanze a Barcellona. Qualcuno dovrebbe ricordare alle rappresentanze ufficiali della Repubblica Italiana a Barcellona e Madrid che – secondo le pompose dichiarazioni istituzionali – non sono al servizio di nessuna ragion di Stato burocratica, ma a quello dei loro cittadini che, se vittime di errori o azioni criminali dei servizi dello stato “ospite”, hanno diritto a riconoscimento e riparazione (nonché alla garanzia di non ripetizione).

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