di Fabrizio Burattini

Cesare Battisti, il militante delle formazioni armate degli anni ’70, arrestato in Bolivia e deportato con metodi molto discutibili in Italia nel gennaio 2019, come trofeo giustizialista per la l’ultradestra brasiliana bolsonarista e per quella italiana di Salvini, è oggi recluso (a 42 anni dall’ultimo delitto che gli viene imputato) nel penitenziario di Rossano, in Calabria, dove è stato trasferito da quello di Oristano, in Sardegna. Entrambi i carceri sono istituti “di alta sicurezza 2” (AS2).

Le condizioni nelle quali Battisti (che oggi ha 66 anni) è detenuto (privazione totale di ogni contatto sociale, insufficienza delle cure mediche, impedimento al libero accesso alle letture a strumenti di scrittura e di lavoro), secondo il Dipartimento di amministrazione penitenziaria del cosiddetto ministero di giustizia, sarebbero “tese alla rieducazione e al reinserimento del condannato”.

Battisti (attraverso i suoi legali) ricorda di non ritenere di aver bisogno di “rieducazione”, avendo “trascorso 40 anni in esilio, conducendo una vita di cittadino contribuente perfettamente integrato nella società civile, con incessante attività professionale, pacifico coinvolgimento nell’iniziativa culturale e nel volontariato, ovunque mi è stato offerto rifugio”. Cesare Battisti definisce l’ala di massima sicurezza del carcere di Rossano come una “tomba” e ha deciso di intraprendere dal 2 giugno come unica forma di protesta possibile quella dello sciopero della fame. Le sue richieste sono quella di una detenzione più dignitosa e umana, il trasferimento in una prigione vicina a Roma, dove vive la sua famiglia, la possibilità di avere attività comuni e sociali con altri detenuti.

Cesare Battisti, che è condannato per fatti e avvenimenti di oltre 40 anni fa, prodottisi in un contesto storico, politico e sociale diversissimo da quello attuale, sta evidentemente pagando molto di più che le sue colpe. Le norme di legge, peraltro molto discutibili, che ci dicono giustificare misure particolarmente restrittive e crudeli nei confronti dei mafiosi, ritenuti a rischio di reiterazione dei comportamenti delittuosi, non esistono più da decenni per chi è stato condannato per “terrorismo rosso”.

Cesare Battisti non è mai stato né è un nostro modello, un esempio da seguire. Anzi, riteniamo che la sua azione, come anche quella di troppi altri, abbia agevolato la riscossa politica padronale della fine degli anni 70 e degli anni 80, la criminalizzazione di un ciclo di lotte e di un’intera generazione.

Ma non per questo possiamo tacere quando vediamo Battisti vittima del desiderio della destra nostrana e internazionale di seppellire quelle lotte, di cui Cesare Battisti è stato solo un piccolo e sciagurato interprete, lotte che per Matteo Salvini e per Giorgia Meloni meritano solo odio e vendetta. Non a caso la presidente di FdI definisce “strappalacrime” le richieste di Battisti e twitta: “Nessuno assecondi le ridicole richieste di questo pluriassassino”.

Ovviamente l’atteggiamento di questa destra è diversissimo verso Francesca Mambro (96 omicidi sulle spalle, poco meno di Brusca, 7 ergastoli, dal 1998 in semilibertà e poi, successivamente, in libertà condizionata) che si è fatta 16 anni di carcere senza nessun regime speciale, tanto che nel 1985, tre anni dopo essere stata arrestata durante uno scontro a fuoco, ha potuto sposarsi con il suo compagno d’armi Giusva Fioravanti (un centinaio di omicidi, 8 ergastoli, in semilibertà dal 1999). Anche costui non ha mai sofferto di un regime speciale ed ha avuto la semilibertà grazie ad un’assunzione di lavoro procuratagli dal Partito radicale. La graziosa coppia di pluriomicidi ha potuto godere di tutti i permessi, gli sgravi di pena e le misure alternative previste dalla legge “Gozzini”, che il Movimento sociale in cui Giorgia ha mosso i suoi primi passi politici criticò aspramente per il suo “lassismo” proponendo l’introduzione della pena di morte. Mambro e Fioravanti hanno goduto del vantaggio di essere molto più ideologicamente omologhi con la destra italiana istituzionale. Per non parlare del fascista Delfo Zorzi che, nonostante risulti implicato nella strage di Piazza Fontana (17 morti e 88 feriti) e in quella di Piazza della Loggia (8 morti e 102 feriti), vive indisturbato in Giappone e fa affari anche in Italia attraverso varie società che controlla.

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