Ieri il Giornale di Brescia ha reso noti alcuni dati inquietanti rispetto alla mortalità generale nel comune di Brescia, anticipati dall’Istat. Nei primi 24 giorni di marzo si è passati da una media di 134 morti, in media, tra il 2015 e il 2019, ai 389 di questo orribile marzo 2020. Sostanzialmente la mortalità generale è triplicata. Peggio di noi va Bergamo (quadruplicata), Cremona, Lodi. Se il trend dovesse essere confermato (si spera di no, ed è probabile che prima o poi il dato cali, vista l’eccezionalità della situazione), si passerebbe da una mortalità generale di poco superiore al 10 per mille (in linea con la media lombarda ed italiana, decimale più, decimale meno), ad un dato catastrofico del 30 per mille. Come dicevo poc’anzi, è praticamente impossibile che si arrivi a cifre così allarmanti, ma resta il fatto che, se anche solo si aggiungesse un altro paio di centinaia di morti in più (e la cosa, purtroppo, è tutt’altro che improbabile), ipotizzando quindi un trend rapidamente discendente nelle prossime 3 o 4 settimane, su base annua nel bresciano (e peggio ancora nel Lodigiano, nel Cremonese, nella Bergamasca) si potrebbe arrivare a tassi di mortalità superiori al 13 o addirittura 14 per mille: i tassi degli anni della seconda guerra mondiale! E si sa che in molti paesi, soprattutto della Bassa, le cose stanno andando peggio. Qui di seguito fornisco alcuni dati sulla mortalità generale dell’ultimo secolo in Italia. Bisogna tener conto che sulla mortalità generale incidono soprattutto la mortalità infantile, almeno fino a 50-60 anni fa, e, ovviamente, la struttura per età della popolazione. A partire dagli anni ’60 la mortalità infantile è, fortunatamente, crollata in Italia: da una media di 35 bambini morti (su 1000 nati vivi) entro il primo anno di vita negli anni Sessanta si è passati a meno di 3 (sempre su 1000) negli anni Dieci del XXI secolo. Quindi quello che conta oggi è soprattutto l’invecchiamento della popolazione, dovuto a tassi di natalità estremamente bassi e all’aumento dell’aspettativa di vita (il nostro paese è al terzo posto nel mondo, dopo Giappone e Spagna). Questo spiega l’aumento, seppur moderato, del tasso di mortalità nell’ultimo decennio. Me ecco i dati, riassunti per quinquennio.
1920-24: 17,8 per mille 1930-34: 14,1 per mille 1935-39: 13,9 per mille
1940-44: 14,6 per mille (il massimo venne raggiunto nel 1944, col 15,9 per mille).
1945-49: 11,7 per mille 1950-54: 9,9 per mille 1955-59: 9,7 per mille
1960-64: 9,8 per mille 1965-69: 9,7 per mille 1970-74: 9,6 per mille
1975-79: 9,7 per mille 1980-84: 9,5 per mille 1985-89: 9,3 per mille
1990-94: 9,5 per mille 1995-99: 9,7 per mille 2000-04: 9,7 per mille
2005-09: 9,7 per mille 2010-14: 9,9 per mille 2015-18: 10,5 per mille
Come si può facilmente vedere, il dato è più o meno stabile a partire dalla metà degli anni ’50 (inizio del boom economico, forte presenza delle fasce più giovani della popolazione), per tutti gli anni Sessanta e Settanta (espansione economica, miglioramenti sanitari, istituzione del SSN, grandi miglioramenti della medicina, ecc.), fino al minimo degli anni ’80 (effetti sia dell’istituzione del SSN nel 1978, sia dell’inizio dell’immigrazione che compensa il calo della natalità immettendo centinaia di migliaia di giovani dall’estero, oltre che del progresso medico-scientifico, ecc.) Dagli anni Novanta in poi inizia una lenta risalita, dovuta probabilmente al peso crescente delle generazioni più anziane, solo in parte compensato dall’immissione di pochi milioni di giovani immigrati. Il salto di qualità negativo è dell’ultimo quinquennio, frutto del trend d’invecchiamento, unito ad un crollo dell’immigrazione (dovuto sia alla crisi sia alle politiche razziste dei vari governi), e forse anche al peggioramento del sistema sanitario nazionale, colpito da tagli miopi e/o dettati dalla vergognosa logica del profitto economico. Un peggioramento che, nel 2020, sarà purtroppo più che confermato. Con la spaventosa possibilità che ci si trovi ad affrontare percentuali dimenticate da almeno 75 anni.
Flavio Guidi