Quando finalmente il PRC decise di togliere l’appoggio esterno al governo Dini si verificò la prima delle tante scissioni che hanno caratterizzato la vita di questo partito: la maggioranza del gruppo parlamentare diede vita all’effimero gruppo dei cosiddetti “Comunisti Unitari”, contrari alla politica di relativa autonomia dal PDS inaugurata da Bertinotti (la politica delle “due sinistre”). Quasi nessuno, al di fuori di senatori, deputati, consiglieri regionali e comunali, aderì al gruppetto creato dalla destra del Prc. A Brescia non ci accorgemmo neppure della scissione, molto pompata dai media. E la prova la avemmo alle elezioni anticipate dell’aprile 1996, quando, nella parte proporzionale (pari al 25% dei deputati), il Prc superò ampiamente i 3 milioni di voti (pari all’8,6%), record mai più raggiunto. La prima scissione da destra veniva così assorbita senza danni. E dei “Comunisti unitari” nessuno sentì più parlare, per lo meno qui a Brescia. Il problema, destinato a presentarsi più volte nella nostra storia, era che la maggioranza di centro-sinistra guidata dal democristiano Romano Prodi, che aveva battuto il centrodestra berlusconiano (grazie al fatto che la Lega Nord di Bossi aveva deciso di correre da sola, superando, per la prima volta nella sua decennale storia, il 10% dei voti) non era autosufficiente. Senza i voti del Prc non aveva la maggioranza assoluta in Parlamento. Si poneva quindi al Prc il dilemma: negare all’Ulivo, che aveva un orribile programma neoliberista “soft”, l’appoggio esterno (esponendosi alle solite accuse di “fare il gioco della destra”) o “prestargli” i nostri voti, in cambio di misure favorevoli ai lavoratori (come le famose 35 ore). L’idea di Bertinotti e Cossutta era quella di “condizionare da sinistra” Prodi, grazie al ruolo di ago della bilancia negli equilibri parlamentari. A Brescia, come a livello nazionale, questa scelta incontrò la nostra ferma opposizione. Ritenevamo illusoria questa politica, visti i rapporti di forza nella società e in Parlamento. Pensavamo che avremmo fatto la fine degli “utili idioti”, dei portatori d’acqua al mulino altrui. Proponevamo per il Prc un ruolo totalmente alternativo, una specie di “terzo polo” di sinistra, contrapposto ovviamente alla destra ma anche all’Ulivo. Il dibattito congressuale dell’autunno 1996 portò, per la prima volta, alla contrapposizione tra due mozioni alternative, dove la sinistra interna al partito (di cui noi di Bandiera Rossa eravamo parte decisiva) si batté in tutti i congressi contro la maggioranza Bertinotti-Cossutta. A Brescia ottenemmo il 17% dei voti (rispetto al 15% nazionale). Per la prima volta nella storia del Prc queste percentuali non erano più legate alle vecchie provenienze: molti ex DP (tra i quali tutti i dirigenti, a cominciare da Russo Spena e Ferrero, e qui a Brescia da Fracassi) si schierarono con la maggioranza, mentre migliaia di ex Pci (e molti giovani che non erano né ex Pci né ex Dp) si schierarono con noi. Accettammo disciplinatamente le decisioni del congresso (che si era svolto con tutte le garanzie democratiche), convinti che l’esperienza avrebbe aperto gli occhi anche a molti compagni della maggioranza. Infatti, nel 1997-98, ci fu una tensione continua tra l’Ulivo di Prodi e il Prc. Quest’ultimo, costretto continuamente ad “ingoiare rospi” secondo l’espressione di Bertinotti, perse poco a poco l’illusione di condizionare il governo Prodi, di strappare qualche concessione, o per lo meno, di ridurre i danni.  O, per lo meno, persero le illusioni  molti dirigenti e militanti della maggioranza. Dopo una prima crisi nei rapporti tra Ulivo e Prc nella primavera del ’98 (rientrata grazie alla promessa, mai mantenuta dal centro-sinistra, di introdurre le 35 ore a parità di paga entro il 2001), la crisi scoppiò definitivamente nell’autunno del ’98. Nel Comitato politico nazionale i bertinottiani, favorevoli a togliere l’appoggio esterno a Prodi, non avevano la maggioranza assoluta. Per cui i compagni di Bandiera Rossa, pur non condividendo al 100% le posizioni di Bertinotti, decisero di appoggiarlo per mettere in minoranza la destra del partito favorevole ad appoggiare Prodi (Cossutta, Diliberto, Rizzo, ecc.). Ciò portò alla rottura del Prc con Prodi, alla seconda scissione del Prc  (un’altra volta da destra) e, nel nostro piccolo, alla divisione della corrente di sinistra tra chi, come noi, decise di appoggiare, seppur criticamente, la svolta a sinistra di Bertinotti, e chi, come i compagni di Progetto Comunista, ritenevano insufficiente questa svolta. Purtroppo stavolta la scissione non fu solo di apparato, ma anche di militanti. Migliaia di essi, cossuttiani o meno, diedero vita al nuovo Partito dei Comunisti italiani (PdCI), che, anche nei simboli, si richiamava al PCI  stalino-togliattiano, e che entrò nel 1999 nel nuovo governo dell’Ulivo, guidato non più da Prodi ma da D’Alema. Anche a Brescia la scissione ebbe effetti, portando alla fuoruscita di un certo numero di compagni ex Pci, soprattutto anziani. E portò il nostro gruppo ex Lcr, per la prima volta, ad integrare la segreteria provinciale e la maggioranza. Non esistendo a Brescia la componente di Progetto Comunista, tutta la sinistra interna si trovò a co-gestire la federazione con il “centro” bertinottiano”, guidato qui da noi da Mirko Lombardi, Graziano Fracassi ed altri.

(continua)

Flavio Guidi

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