Oggi finalmente ho trovato il tempo di poter visitare il nuovo, lussuoso Museo del Risorgimento in Castello. In verità la visita è stata purtroppo rapida (meno d’un’ora) non per mia volontà, ma per la scelta di “contingentare” le visite, dovuta, a quanto pare, ai lavori di smantellamento della “Festa delle luci” all’interno del parco (anche se non capisco sinceramente il collegamento). Confesso che ero spinto, oltre che dal piacere di visitare un museo di Storia Contemporanea, anche dalla curiosità di vedere la contestualizzazione del famigerato busto di Mussolini, dopo le polemiche suscitate in città dall’esposizione del “sücù” (testone, zuccone in bresciano), di cui ci siamo fatti eco nell’articolo firmato da F.A., uscito il 7 febbraio su questo blog. Ebbene, se devo essere sincero, credo che F.A. non abbia avuto tutti i torti nel sollevare il problema. Se probabilmente è stato un po’ forte il titolo (“Intrusioni fasciste al museo del Risorgimento?“) che potrebbe far pensare ad una volontà di tipo più o meno revisionista da parte dei curatori dell’esposizione (che voglio sperare non ci sia mai stata), è indubbio che si è trattato di una scelta, a mio avviso, quanto meno improvvida ed altamente discutibile. Tanto per cominciare la contestualizzazione si limita ad un piccolo pannello che recita testualmente: “USI RETORICI NEL PRIMO NOVECENTO. Non fu solo la propaganda fascista a interpretare la Grande guerra come Quarta guerra d’indipendenza. L’ingresso dell’Italia nel conflitto fu visto da molti come completamento dell’unificazione nazionale. Ancora durante la RSI, gli eroi del Risorgimento si sovrapposero ai combattenti di Salò”. Pannello che passa facilmente inavvertito, viste le dimensioni, ben minori dell’orribile busto del “testone”. Ma il problema è che, anche se il pannello fosse stato ben più visibile, è il testo stesso che presenta notevoli margini di ambiguità. Il fatto, indubbiamente vero, che non solo i (futuri) fascisti interpretassero l’aggressione imperialistica del Regno d’Italia del 24 maggio 1915 all’Austria-Ungheria come “Quarta guerra d’indipendenza”, ma che tutta la canea interventista (non solo quella reazionaria, ma pure quella “democratica”) sposasse il mito di Trento e Trieste non rende meno inaccettabile quel mito. Che accanto a D’Annunzio ci fossero pure dei repubblicani (e persino qualche socialista, come Cesare Battisti, o addirittura qualche anarchico) è solo indicativo della confusione politica di questi “democratici” che, cresciuti nei miti garibaldini, non si accorsero di fungere da utili idioti alle mene espansioniste dei Savoia. E, se i 650 mila morti italiani (e gli altrettanti austro-ungarici) servirono ad aprire gli occhi ad alcuni di loro (che divennero in seguito anti-militaristi e persino internazionalisti), bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi l’equivoco (per non dire il falso) storico e politico fu una delle fonti originarie del fascismo. E quindi sarebbe stata necessaria una ben diversa “presa di distanza” da quella mitologia patriottarda da sussidiario di Quinta Elementare, con un pannello non solo ben più visibile, ma scritto in modo molto diverso (oserei dire opposto). Almeno da parte di storici ed intellettuali che si definiscono antifascisti. La necessità di storicizzare il Risorgimento (un fenomeno complesso in cui si mescolano momenti di vera e propria rivolta popolare anti-feudale, anti-autoritaria e anti-clericale con aspetti, purtroppo vincenti, di espansione di una delle dinastie più reazionarie d’Italia, quella dei maledetti Savoia) e di prendere le distanze dalle mitologie anti-storiche (come quella della Prima Guerra mondiale imperialista spacciata per “guerra di liberazione”) è stata ampiamente disattesa, a mio avviso. E la mia delusione non è stata per nulla attenuata dal tentativo finale di collegare Risorgimento e Resistenza antifascista, tentativo che ha più a che fare, un’altra volta, con la mitologia (seppur di segno diverso) che con la Storia. E, sia detto en passant, quel busto fa veramente schifo!

Flavio Guidi

Pubblicità