di Gianni Sartori

Ovviamente ogni rivolta, soprattutto quando configura passaggi rivoluzionari, oltre a quello – scontato – di venir sanguinosamente repressa, corre il rischio di essere strumentalizzata, incanalata, dirottata altrove.

Da qualche decennio su alcuni contenuti ineludibili delle attuali ribellioni (il femminismo, l’ecologia, l’antirazzismo, i diritti umani, la critica dell’antropocentrismo…) abbiamo visto volteggiare gli avvoltoi (metafora: chiedo scusa ai simpatici volatili) delle classi dominanti e delle loro “operazioni umanitarie” (a base di bombardamenti e invasioni) imperialiste.

Questo vale anche per ciò che sta accadendo in Iran, ma senza per questo togliere una briciola di legittimità all’insurrezione nata dalla protesta per la morte di Jina Mahsa Amini, una giovane curda di 22 anni (arrestata e torturata per un velo “portato male”) il 16 settembre.

Rivolta innescata nel Rojhilat per poi estendersi all’intero paese.

In ogni caso compito dei ribelli curdi e iraniani sarà quello di vigilare per non diventare la carne da cannone di chi vuole semplicemente sostituire un potere indegno con uno magari peggiore.

E’ il caso della destra iraniana (in genere nostalgica dello scià) che – secondo alcuni osservatori curdi – starebbe cercando di “impadronirsi del movimento popolare” e che godrebbe “del sostegno di forze di destra in Occidente”.

Per questo Somayeh Rostampour, una curda iraniana, sta mettendo in guardia contro “il tentativo dei realisti (assolutamente di destra) di recuperare la contestazione in Iran”.

Per l’attivista “così come avvenne con il Khomeinismo negli anni settanta, attualmente i realisti godono dell’appoggio a livello mondiale delle forze più di destra, talvolta fasciste e in genere antifemministe”.

Si starebbe assistendo al confronto tra due opposte visioni del mondo: “la destra maschilista e la sinistra femminista”.

La prima gode del sostegno di chi possiede mezzi finanziari e li mette a disposizione, mentre l’altra è appoggiata dalle forze progressiste, dalle donne e dagli oppressi e diseredati del pianeta.

Schema troppo semplice? Forse, ma non certo privo di fondamento.

Spiega ancora Somayeh Rostampour che “se vogliamo scrivere esattamente il contrario di “Jin, Jiyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà, uno degli slogan più gridati in questi giorni, non solo nel Rojhilat nda) dovremmo scrivere “Uomo, Patria, Popolo”.

Ossia un “elogio del nazionalismo, del governo patriarcale e del culto del suolo basato su un modello maschile”.

Invece l’attuale movimento si distingue da quelli precedenti proprio in quanto non è “soltanto una rivoluzione politica, ma anche una rivoluzione sociale”. Rivolta a “trasformare simultaneamente le strutture sociali, politiche e storiche”.

Secondo l’attivista curda la storia del Paese è talmente mescolata al maschilismo che “non è tollerabile (per il regime ovviamente nda) assistere allo spettacolo di uno spazio autonomo femminile come quello dell’attuale rivolta per ben due settimane di seguito”.

In effetti, nel più benevolo dei giudizi, le femministe sono state definite “stravaganti”.

Quanto ai progetti di restaurazione della monarchia, rientrati in gioco infiltrando (o almeno cercando di infiltrare, infettare…) il movimento, non si tratterebbe soltanto di diffondere un visione reazionaria (tanto quanto l’islamismo), ma di un vero e proprio “progetto politico sostenuto finanziariamente e politicamente dalle forze di estrema destra in maniera coordinata e sistematica”.

Applicando in maniera perversa il concetto situazionista di “detournement”, si sta cercando di snaturare questa ribellione radicale nel suo opposto. Ossia in un movimento sì di opposizione, ma dai contenuti regressivi: sessisti, maschilisti e razzisti.

Quindi dietro la retorica di certa destra monarchica iraniana (anche o soprattutto all’estero) a base di “Uniamoci” si va profilando un progetto di opposizione all’attuale regime, ma intriso di ostilità diffidenza, esclusione nei confronti delle donne, delle minoranze sessuali, dei gruppi etnici non persiani. E di aperta ostilità (premessa di future repressioni) verso la sinistra rivoluzionaria e i dissidenti in genere.

E questi propositi di strumentalizzare l’odierna rivolta, si potrebbero coniugare con quelli abituali dell’Occidente.

Rivestire, mascherare le pulsioni neocoloniali con l’esportazione – non richiesta – del modello occidentale.

Gianni Sartori