di Mario Gangarossa

Ciò che più colpisce a chi prova a guardare la realtà con gli occhi dell’osservatore esterno, cosa molto difficile a farsi perché comunque siamo parte integrante del “problema” e “estraniarsi” comporta un lungo e difficile lavoro si scrostatura della falsa coscienza che ci accompagna, è l’INCOSCIENTE corsa verso la guerra totale a cui assistiamo passivi e rassegnati.

Incosciente arroganza delle classi dirigenti.

Incosciente rassegnato fatalismo delle vittime designate.

I parlamenti votano stanziamenti imponenti, le fabbriche di ordigni lavorano a pieno regime, il mondo finanziario e eccitato dai guadagni sicuri e dalla nuova linfa vitale che attraversa l’economia, le banche comprano opzioni future scommettendo sulla ricostruzione necessaria, quando la guerra finirà, dividendosi la pelle dell’orso prima che ancora sia solo boccheggiante.

Ma tutti sanno, tutti sappiamo, che non si sarà nessuna ricostruzione, nessun dopoguerra almeno come lo immaginiamo, non ci sarà nemmeno il capitalismo visto che non ci sarà più un pianeta abitabile.

Ne una classe in grado di combattere per il suo superamento.

Lo sviluppo della tecnica ha raggiunto un livello inimmaginabile appena pochi decenni fa.

Incomparabile rispetto alle rozze e primitive “clavi” con le quali si è combattuto il conflitto mondiale di 80 anni fa.

Armi di distruzione di massa in mano a una classe di lupi famelici che è costretta a cannibalizzarsi a vicenda per sopravvivere.

E nessuna “Corte internazionale”, nessun accordo, nessun patto, può impedire a una nazione soccombente di scatenare l’Armageddon.

Trasformare l’intero pianeta in una immensa Gaza fatta di macerie radiottive e di morti insepolti.

La borghesia, e per primi i suoi intellettuali e i suoi corifei che ne interpretano le pulsioni più profonde sente che è arrivata al capolinea.

Si prepara al “gran finale” fedele al motto “dopo di noi il nulla”.

Le classi dominanti non soccomberanno facilmente.

Oggi, al contrario del passato, hanno i mezzi per potere trascinare nella rovina e nel disastro gli stessi loro “schiavi”.

Ed è questo “salto di qualità” che non è possibile esorcizzare.

“Trasformare la guerra in rivoluzione”.

E chi dovrebbe farlo?

La “folla” di proletari muti e rassegnati che non è più classe da almeno un secolo?

Che non ha un programma, un partito capace di organizzarne la coscienza e indicarne la prassi?

I bolscevichi che risorgono dai mausolei in cui sono stati confinati?

Le “avanguardie” che al primo sentore di “battaglia” si sono arruolati al servizio del governo amico o di quello nemico?

Quelli dei “popoli oppressi” e dei “popoli oppressori”?

I “pubblicisti” che hanno smesso di essere “organici” alle classi dominate e che mettono l’elmetto al servizio del proprio benefattore?

Chi?

Chi è incapace di fermare la guerra mentre ancora ha la possibilità di farlo, di bloccare la corsa al riarmo, di smussare gli artigli ai propri governanti?

Coloro che hanno “trasformato” la rivoluzione in guerra, negando proprio l’unico terreno sul quale si può immaginare e costruire la rivoluzione? La lotta di classe. L’autonomia del proletariato dalla propria borghesia

Quelli che se ne stanno alla finestra sperando che “lo sviluppo delle contraddizioni interimperialiste”, insomma Trump o Salvini o Crosetto, facciano il miracolo di tenerci fuori dalla tempesta?

Santoro? Tarquinio? Landini? Conte?

La guerra come la rivoluzione è un potente fattore di trasformazione delle coscienze, in negativo.

Pensate davvero che quando cadranno le prime bombe sulla nostra testa, chi ci finirà sotto, continuerà a ragionare e comportarsi come prima?

Che chi ha dovuto estrarre il proprio figlio dalle macerie della propria casa, o chi ha assistito allo stupro della figlia, chi avrà la sua “quotidianità” devastata, non finirà vittima del meccanismo criminale che lo costringerà a odiare e combattere chi gli spara addosso?

A diventare “nazionalista”, macellaio a sua volta, assetato di vendetta.

La guerra si nutre della guerra e se la classe operaia non è stata capace di esprimere la sua capacità di resistenza in pace, come pensate che possa farlo quando a sparargli addosso saranno i nemici e gli “amici”?

Se non è capace di impedire la sua decimazione quotidiana nelle fabbriche in cui lavora, come pensate che possa impedire di essere condotta al macello dai suoi “generali”?

La storia è un susseguirsi di “appuntamenti”.

Questo era stato previsto.

Ma ci siamo arrivati nel peggiore delle condizioni possibili.

Chissà, forse ancora una volta saranno i giovani intellettuali delle classi di mezzo, che “tradiranno” la loro classe di appartenenza come nel ’68.

Rinunciando al ruolo di ascari del capitale a cui eravamo destinati.

Daranno uno scossone così forte da allargare le crepe di un edificio sociale sul punto di crollare?

Sono granellini di sabbia, come eravamo noi.

Ma a volte anche la macchina più perfetta si inceppa.