Risoluzione del Comitato Politico Nazionale 29-30 gennaio 2022

approvata a larga maggioranza con 4 astensioni

Le grandi crisi

La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è avvenuta contestualmente a una delle più grandi crisi che il paese abbia conosciuto nel corso degli ultimi decenni. Il governo dei “migliori” di Mario Draghi, richiesto e osannato dalle forze del capitale e dai loro media e sostenuto nel voto o nei fatti da tutti i partiti della classe dominante, è pienamente responsabile del dispiegarsi di questa crisi sanitaria e sociale, segnata nell’ultimo mese dal collasso delle strutture ospedaliere e dal caos generalizzato del sistema scuola.

Da mesi ormai la classe dominante e i suoi gestori politici hanno accettato di “convivere con il virus”, in altri termini hanno rinunciato a porre la lotta alla pandemia come il principale obiettivo, scelta che avrebbe dovuto essere condotta non solo con la campagna vaccinale, certo indispensabile, ma con grandi investimenti nella sanità, nella scuola e nei trasporti. Al centro non c’è la protezione sanitaria della popolazione, ma la logica capitalista della produzione e del profitto e una gestione liberista della pandemia ridotta alle semplici responsabilità e scelte individuali.

All’interno di questo orientamento di fondo le grandi risorse del PNRR e della finanziaria sono state utilizzate per trasferire più di 100 miliardi di euro alle imprese private e molti altri miliardi sono stati spesi per riversare una pioggia di ristori ai più diversi settori della piccola e media borghesia, rinunciando a politica economica volta al rilancio complessivo della sanità pubblica, della scuola, dell’insieme dei servizi, nonché all’intervento pubblico diretto nei settori produttivi, con un forte, e indispensabile incremento del personale nei diversi comparti al fine di garantire condizioni di vita e di lavoro degne per l’intera popolazione.

Queste grandi spese (anzi regali ai capitalisti) sono state finanziate in larghissima parte sotto forma di debito, che in tempi non lontani si vorrà far pagare alle classi lavoratrici. Draghi è stato chiamato a Presidente del Consiglio proprio per svolgere questo compito, salvare le fortune della classe borghese, garantire una nuova accumulazione capitalista in Italia e in Europa, il rilancio di una nuova fase neoliberista. E infatti il Piano di resistenza e rilancio (PNRR) è costruito non per affrontare la crisi ambientale e invertire la tendenza, ma per garantire nuovi profitti dei capitalisti italiani a conferma di quanto già visto a livello internazionale con la COP 26 dove ogni paese ricco pensa solo a se stesso.

La rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica

Tuttavia la crisi di direzione della borghesia non è risolta; si esprime nella sua difficoltà a darsi partiti coesi e stabili, superando la frammentazione e in grado di esercitare un’egemonia forte nella società; spinge la classe dominante a ricercare forme istituzionali molto più verticali, presidenzialiste, svuotando sempre più le assemblee parlamentari a vantaggio degli esecutivi, a, ricercando, in determinati momenti di crisi o impasse, strumenti bonapartistici di gestione del potere, come in parte è avvenuto con il governo e la figura di Draghi.

L’elezione del presidente della Repubblica con un parlamento frammentato e i partiti divisi tra loro ed anche al loro interno, ha messo in luce tutte queste difficoltà; ha evidenziato anche i limiti della gestione Draghi, il conflitto tra il grand commis del capitale e i partiti che comunque devono rispondere a una base sociale e ottenere consensi nelle scadenze elettorali; in altri termini gli strumenti di gestione del governo e delle istituzioni pur nel quadro della contrazione della democrazia, ben presente in tutta Europa, sono pur sempre diversi e complessi, (comprese le mediazioni politiche), di quelli usati nei consigli di amministrazione delle aziende capitaliste.

Di voto in voto, di candidato/a a candidato/a abbiamo assistito alla impossibilità dei partiti di trovare una soluzione, a una crisi politica istituzionale che si è sempre più avvitata su se stessa e ha portato a un vero e proprio impasse. Alla fine è stata risolta non solo per la pressione della “base” dei grandi elettori, come viene presentata dai media, ma soprattutto per i desiderata della borghesia (lo stesso Draghi se ne è fatto portatore dopo aver verificato che la sua candidatura al Quirinale non aveva alcuna possibilità di successo) attraverso una scelta che garantisse la continuità dell’operazione politica messa in campo un anno fa, cioè lasciando al loro posto i due principali interpreti degli orientamenti della classe dominante, Mattarella a svolgere un secondo mandato presidenziale e l’ex banchiere a presiedere il Consiglio dei ministri. La Costituzione non pone divieti formali a una seconda elezione, ma quando Napolitano fu rieletto nel 2015, l’evento fu considerato da tutti un’eccezione costituzionale non ripetibile nel futuro. La rielezione di Mattarella costituisce quindi un’ulteriore modifica nei fatti dello spirito della Carta del ’48, un’anomalia nell’equilibrio dei poteri e delle funzioni di garanzia (come lo stesso Presidente aveva spiegato un mese fa escludendo un suo secondo mandato) con un ulteriore scivolamento verso il “presidenzialismo” non a caso invocato sui media e da tanti personaggi più o meno illustri.

Dalla dura contesa intercorsa escono sicuramente ammaccati i partiti, i loro gruppi dirigenti, le fragile coalizioni, una condizione che Draghi cercherà di utilizzare per riaffermare la sua leadership all’interno del governo di coalizione, ma anche la sua figura ha subito un certo logoramento nelle ultime settimane e nuove contraddizioni si profilano nell’anno che porta alle elezioni politiche tanto più nel quadro delle diverse crisi che si accavallano.

Ma quel che è necessario sottolineare dal punto di vista degli interessi della classe lavoratrice è che assistiamo sempre più a un processo di involuzione democratica della società, ben presente in tutti i paesi del continente (e non solo), agita dalla classe capitalista per gestire le contraddizioni del proprio sistema.

Per il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori combinare le battaglie sociali con quelle democratiche è uno dei compiti della prossima fase.

Il quadro internazionale presenta a suo volta grandi drammaticità.

A partire dalla crisi climatica, a cui i governanti del mondo né con il G20 né con la Cop 26 hanno voluto dare le risposte necessarie per fermare la corsa verso il disastro ambientale, anzi hanno mantenuto ed accentuato i tratti liberisti delle loro scelte.

Sul piano sanitario, di fronte e a un virus che non ha confini, alla necessità di un intervento globale che coinvolga tutto i paesi del mondo garantendo a tutti l’acceso ai vaccini, per fermare la pandemia, hanno scelto invece di garantire i profitti delle Big Pharma, rifiutandosi di sospendere i brevetti, creando quello che alcuni autori hanno chiamato l’apartheid sanitario, che per altro, non garantisce realmente la sicurezza delle nazioni ricche e privilegiate.

Infine la grande crisi economica, precedente allo scoppio della pandemia, ma accentuata da questa con l’interruzione delle catene del valore e gli shock produttivi, oggi caratterizzata anche dal rilancio dell’inflazione di alcune materie prime e dei prodotti energetici ha messo in luce tutta l’irrazionalità e le contraddizioni di un sistema economico basato sul profitto. Si è così accentuato la concorrenza tra i vari capitali e lo scontro tra le diverse potenze capitaliste ed imperialiste, scontro che avviene non solo nelle guerre commerciali, ma attraverso le politiche di potenza e l’affermazione delle strutture militari; le spese militari hanno avuto un rilancio enorme negli ultimi anni non solo nei paesi più grandi, ma in molte altre nazioni intermedie.

La Presidenza di Biden non ha modificato di una virgola la politica estera degli USA, più che mai rivolta, a contrastare l’ascesa economica e politica della Cina, per mantenere il suo ruolo egemone nel mondo. Non solo le marine da guerra si dispiegano nel Pacifico, ma in Europa si insiste con l’allargamento della Nato verso Est e l’Ucraina diventa il nuovo potenziale e pericolosissimo fronte di una guerra; una guerra per altro già in corso in forma strisciante che ha già fatto oltre 14.000 vittime.

Per parte sua la Russia autocratica di Putin deve affrontare le forti contraddizioni interne e le crisi che caratterizzano alcuni degli stati che ruotano intorno ad essa, a partire dalla Bielorussia e dal Kazakistan, dove la ribellione sindacale ed operaia è stata stroncata con estrema brutalità dai carri armati di Mosca. La Russia capitalista ha a sua volta la necessità di mantenere il suo ruolo imperialista e i rapporti di forza geopolitici nel contesto della crisi economica internazionale.

In questo quadro oscuro anche l’Italia, paese Nato è chiamata alle armi, con il ministro della Difesa, Guerini del PD, che ha risposto immediatamente all’appello degli USA; un’Italia che continua ad avere presenze militari nei più diversi paesi del mondo, compresa l’Europa; un’Italia che continua ad aumentare le spese militari, garantendo così i profitti al complesso militare industriale, ben presente nel nostro paese e non solo negli USA.

Nel contesto di questo pericolosissima crisi che, nel caso precipitasse, diventerebbe fatto politico centrale in Europa e in Italia, la costruzione di un nuovo movimento antiguerra contro le minacce di guerra, contro il militarismo e l’interventismo, contro le spese militari, per il diritto dei popoli di decidere liberamente dei loro destini, per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per il pieno rispetto dell’articolo 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra,) è all’ordine del giorno; un lavoro da ricostruire celermente.

La pandemia

La ripresa della pandemia era evidente fin dai mesi dell’autunno: sarebbe stato necessario, combinare lo sviluppo massimo delle vaccinazioni con una serie di profondi interventi (ve ne era il tempo) nella scuola, nei trasporti, nella sanità, costruendo un sistema di tracciamento all’altezza ed anche di blocco, appena se ne fosse rilevato la necessità.

La preoccupazione del governo è stata invece quella di non porre ostacoli alla piena attività produttiva, al commercio (tanto più nel periodo delle feste), agli eventi sportivi, ecc.. con gli inevitabili assembramenti delle persone. Il governo ha scelto di utilizzare la presenza e la mobilitazione dei NO vax, amplificate all’estremo dai media, per cercare di nascondere le proprie inadempienze e costruirsi una opposizione di comodo, dai tratti reazionari e inverecondi.

Il governo inoltre non è stato in grado di garantire in tempi rapidi e congrui quella vaccinazione (compreso la terza), propagandata ogni giorno sui media, sia per la mancanza dei vaccini, sia per la disorganizzazione delle strutture sanitarie preposte che in parte erano state dismesse.

Tutte le misure intraprese sono state quindi confuse, contradditorie, parziali, prese in ritardo (vedi l’uso delle mascherine), quindi largamente inefficaci proprio perché l’obiettivo principale non era la lotta al virus, ma preservare gli affari dei piccoli e grandi capitalisti.

Il risultato terribile è davanti agli occhi di tutti: da alcune settimane 150.000-200.000 contagi in media al giorno, oltre 146 mila vittime, più di 10 milioni di contagiati in due anni, 2.700.000 i contagiati attuali, 20 mila ospedalizzati, l’intero sistema sanitario al collasso, 400.000 operazioni rinviate, migliaia di altri decessi avvenuti a causa di altre patologie non curate.

Alcuni esponenti del governo ed ancor più i governi regionali pensano di poter risolvere la situazione proponendo di mettere la polvere sotto il tappeto, riducendo o abolendo le quarantene, eliminando i tamponi escludendo dal conteggio i positivi asintomatici, rivedendo al ribasso i parametri che determinano il passaggio delle regioni nella cosiddetta “zona arancione”. Proposte che l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha definito logicamente assurde, ma che sono sostenute da una campagna ideologica di propaganda su scala nazionale ed internazionale volta a presentare questa epidemia, come una normale influenza..

In questa situazione il temuto lockdown si produce in larga parte di fatto, nella massima confusione, senza una gestione ragionata a causa del numero di lavoratrici e lavoratori, sia dipendenti, che autonomi, che finiscono contagiati con una riduzione drastica dei servizi a partire da scuola, sanità e trasporti.

Nella scuola il caos è generalizzato nella totale impossibilità di gestire protocolli e normative del tutto cervellotiche e le affermazioni del ministro secondo cui la scuola funzionerebbe quasi del tutto in presenza sono del tutto false. Sarebbe stato necessario, ma è più che mai necessario, operare per la riduzione degli alunni per classe, l’aumento degli organici con la stabilizzazione immediata di tutto il precariato, per installare i sistemi di purificazione e aerazione dell’aria in tutte le classi, il tracciamento e l’adeguamento dei trasporti, la gratuità dei temponi.

Le realtà della ripresa economica

La ripresa economica del 2021, dopo la grande caduta del 2020, che ha permesso una crescita del PIL superiore al 6% è avvenuta grazie al maggior sfruttamento della forza lavoro e a scapito della salute delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per garantire il pieno dinamismo delle imprese il governo ha posto fine al blocco dei licenziamenti, lasciato mano libera alle ristrutturazioni, alle chiusure delle aziende, ai licenziamenti collettivi e alle delocalizzazioni delle imprese, cioè ha messo in atto quello che aveva anticipato Draghi quando aveva affermato che i soldi europei sarebbero andati alle imprese private performanti e che le aziende poco redditizie sarebbero state chiuse. Detto fatto.

Ma questa totale libertà nell’utilizzo della forza lavoro non poteva che accentuare ancora una strage terribile: 1400 omicidi bianchi nel 2021, e nel mese di gennaio la tragedia è continuata con 2/3 vittime al giorno. Una delle ultime vittime è stato un giovane studente di 18 anni, ucciso dalla caduta di una trave di ferro al suo ultimo giorno in azienda per il completamento del cosiddetto ciclo di alternanza scuola lavoro, una delle tante vergognose norme introdotte dal governo Renzi nel 2015 a vantaggio dei padroni.

Contemporaneamente si ridisegna anche la geografia industriale del paese, dove sono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia e Romagna a conoscere il maggiore dinamismo (non a caso le tre regioni che trascinano il progetto della cosiddetta autonomia differenziata regionale) mentre è in declino una regione storicamente industriale come il Piemonte e il Sud resta come prima al palo. Se alcuni settori industriali tirano a pieno ritmo, altri sono in declino, a partire dalla struttura produttiva ed occupazionale perno dell’industria italiana, cioè le automotive.

Questo comparto è in difficoltà da anni, ma oggi siamo di fronte, con il passaggio all’elettrico, a una crisi più grande con una forte riduzione delle produzioni, con la multinazionale Stellantis (occupa oggi in Italia ancora 66 mila dipendenti) che sembra guardare lontano all’Italia e con un indotto (occupa oltre 160 mila lavoratori) che rischia un forte ridimensionato.

Per altro negli ultimi mesi ci sono già stati licenziamenti di massa proprio a partire da una azienda pubblica, l’Alitalia, smantellata dal governo e sono in corso centinaia di vertenze e lotte da parte delle lavoratrici e dei lavoratori per difendere il loro posto di lavoro. Di fronte alla lotta vincente, ad oggi, della GKN di Firenze che ha posto all’’attenzione di tutto il paese il contrasto alle delocalizzazioni, il governo Draghi ha risposto con una legge che permette una comoda e poco costosa fuga delle imprese lasciando a terra i lavoratori coinvolti e intere comunità. Per questo sosteniamo pienamente la proposta di legge elaborata dal Collettivo della GKN insieme ad alcuni giuristi, di pieno contrasto alle delocalizzazioni.

Negli ultimi mesi un ulteriore attacco alle condizioni di vita delle masse popolari si manifesta con un consistente rilancio dell’inflazione, in particolare dei prodotti energetici che determina una forte pressione su molti settori produttivi e soprattutto un forte aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. La ricaduta sulla vita delle classi lavoratrici e popolari è enorme, dati i loro livelli salariali e di stipendio, tra i più bassi dell’Europa, per non parlare poi dei pensionati e della condizione di estrema precarietà lavorativa di tante persone. E’ questa la crisi sociale di cui non si parla ma che può esplodere.

E a pagare i prezzi e a farsi carico dei fardelli più duri su tutti i terreni sanitari, occupazionali, gestionali delle famiglie e dei bambini ecc. sono, come prima, e più di prima le donne e naturalmente i migranti e tra questi ancor più la componente femminile.

La dimensione della povertà, molto grande nel nostro paese, che coinvolgeva già milioni di persone, cresce ancora e potrà produrre a breve nuove grandi tensioni ed anche movimenti più o meno confusi ed estesi di rivolta. E’ un degrado economico che colpisce anche settori della piccola e media borghesia, che, se pure hanno avuto il sostegno dei ristori, possono precipitare da un giorno da una condizione di relativa sicurezza, a quella di povertà.

Le reazioni possibili di tutti questi strati sociali sono imprevedibili e possono assumere le più diverse espressioni sia sociali che politiche. Data la consistente presenza delle organizzazioni reazionarie e fasciste l’evoluzione della crisi italiana presenta grandi pericoli.

Il nodo politico drammatico è dato proprio dalle sconfitte subite dal movimento operaio, dal suo debole protagonismo, dal fatto che la subalternità al governo e ai padroni delle direzioni delle grandi organizzazioni sindacali determina un’inattività sociale e sindacale, provocando anche un vuoto politico-sociale pericolosissimo; manca infatti la polarizzazione e l‘attrazione sociale alternativa che solo il movimento della classe operaia può garantire in una crisi così profonda per di più segnata dalla presenza di un elemento, fino a due anni fa sconosciuto, quello della pandemia.

Inoltre va segnalato che la classe dominante è ben cosciente della drammaticità della situazione sociale e della possibilità di resistenze ed anche “ribellioni” e sta moltiplicando gli strumenti e gli interventi repressivi per schiacciare sul nascere le possibili mobilitazioni ed anche per verificare in che misura certe azioni delle forze di polizia determinano reazioni nei soggetti coinvolti e nell’opinione pubblica del paese, cioè se si producono o meno reazioni democratiche all’involuzione autoritaria prospettata.

Partire dalle resistenze che ci sono state

Nella seconda metà del 2021 ci sono state lotte e mobilitazioni, se pure parziali che hanno evidenziato la volontà di settori di lavoratrici e lavoratori di voler resistere al tritacarne padronale: sono avvenute nei settori della logistica, nelle tante fabbriche che, se pure troppo isolatamente, difendono il posto di lavoro, in alcuni settori dei servizi; e ci sono stati anche alcuni momenti di lotta in cui si è cercato di unire i diversi movimenti:

la grande manifestazione di Firenze promossa dalla GKN,

lo sciopero generale dei sindacati di base,

lo sciopero di CGIL e UIL, certo dichiarato in ritardo con una pesante responsabilità delle direzioni sindacali, subalterne e passive, ma che ha visto scendere in piazza settori ancora abbastanza ampi di lavoratori che chiedono di dare continuità alla lotta.

E poi ci sono state le mobilitazioni contro il riscaldamento globale, il friday for future e sulla Cop26 quelle delle donne contro la violenza ed infine anche una prima manifestazione a Roma il 30 ottobre che ha cercato di riunire i diversi movimenti sociali promossa dalla società della cura e dalla rete Genova 2021, in cui ha avuto un ruolo importante ancora il collettivo della GKN.

Tutte queste mobilitazioni se pure significative non hanno potuto condizionare ed incidere sulle scelte di fondo del governo, espresse nella legge di bilancio e nel PNRR e tanto meno cambiare i rapporti forza complessivi, che restano estremamente sfavorevoli; né queste mobilitazioni possono apparire già oggi un punto di riferimento per settori molto più ampi della popolazione. La scelta dei media di ignorare quasi del tutto queste lotte svolge naturalmente un ruolo negativo importante nella situazione data, ma i media sono purtroppo parte integrante della strumentazione borghese contro il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

La nostra organizzazione e le altre forze politiche, sindacali e sociali che vogliono resistere e costruire un percorso di alternativa non possono che partire da queste attività sociali reali presenti, per stendere fili di collegamento, percorsi unitari, approfondimenti dei contenuti e programmatici, per sedimentare strutture sia politiche che sindacali e sociali più forti. Questo percorso da costruire è ben espresso nello slogan lanciato dalla GKN “insorgere e convergere”, che significa prendere l’iniziativa sul terreno proprio di ciascun soggetto, ma nello stesso tempo provare a costruire i collegamenti con gli altri movimenti e soggetti.

In concreto puntiamo a fare si che l’esperienza dell’11 ottobre e del 4 dicembre, dei sindacati di base, pur nei loro limiti, non vada perduta, ma si rinnovi un accordo di unità d’azione e di percorso.

Continueremo a sollecitare le forze politiche, come abbiamo fatto negli ultimi anni, perché si rinunci alla presunta autosufficienza, e si prendano nazionalmente scelte, gestite poi sul piano locale, di reale convergenza unitaria in tutta una serie di battaglie politiche che sono comuni a queste forze.

Continueremo a batterci perché le organizzazioni sindacali aprano una vertenza generale sul salario, occupazione sicurezza e sanità su cui costruire iniziative generali e nazionali, ma anche articolazioni locali delle stessa, anche se molti fatti concreti indicano che Landini e soci non hanno alcuna intenzione di dare continuità alla giornata del 16 dicembre.

Ma proprio per questo il ruolo dell’area sindacale di opposizione in CGIL è più che mai importante e, come prima indicato, quello del sindacalismo di base.

Cercheremo di sfruttare l’opportunità politica che viene da quel che si sta muovendo da alcuni mesi con la Società della cura e la Rete Genova 2021, non a caso è attivo in questo ambito il Collettivo della GKN, che si propongono e lavorano per la convergenza dei diversi movimenti sociali.

Come sempre ci sono incertezze ed anche lacune politiche nei diversi soggetti che ci partecipano, ma si sta andando nella direzione giusta di costruire un forum sociale e politico largo ed unitario, una prospettiva, che al di là delle formule usate, abbiamo sempre cercato di conseguire. Importante è che tutte le forze politiche e sindacali si impegnino a loro volta in questo progetto per renderlo il più forte possibile sia sul piano politico che su quello organizzativo.

Il primo appuntamento è costituito dal forum seminariale di 3 giorni già convocato per la fine di febbraio a Roma.

Si sta discutendo di un processo unitario che non sia solo la somma delle singole rivendicazioni, ma di una convergenza programmatica che si traduca anche in azione concreta di movimento e di lotta. Centrale diventa dunque la giornata e la manifestazione che il Collettivo ella GKN ha proposto di fare a fine marzo a Firenze, giornata su cui ha deciso di convergere anche il movimento Fridays for future, che ha lanciato uno sciopero per il clima il 25 marzo”.

Anche perché in questo modo ognuna delle forze presenti può lavorare con più forza e tutti insieme si può essere più efficaci, affermando una alternatività politica maggiore e favorendo un processo di ripoliticizzazione di settori di massa molto più larghi di quelli coinvolti finora nelle resistenze.

Tra le due scadenze si pone la fondamentale mobilitazione delle donne dell’8 marzo, in cui anche quest’anno si affronta, oltre alle manifestazioni, la difficile sfida dello sciopero.

La nostra organizzazione sul piano nazionale e tutti i suoi circoli si impegneranno a fondo in queste multiple iniziative.

I titoli delle nostre rivendicazioni e programmatiche sono:

Gli aumenti salariali contro il carovita e la necessità di reintrodurre la scala mobile dei salari.;

per lo stesso lavoro eguale salario ed eguali diritti per tutti e tutte.

Una reale riforma fiscale progressiva che faccia pagare i redditi più alti e le fortune.

La difesa dell’occupazione con la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; contro le delocalizzazioni, per l’intervento pubblico e le nazionalizzazioni sotto controllo delle lavoratrici e dei lavoratori.

Abolizione del Jobs Act e delle altre leggi che hanno introdotto il precariato; ripristino dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici.

Abrogazione della legge Fornero. Ripristino del sistema previdenziale retributivo (60 anni di età o 40 anni di contributi)

Contro la precarietà e la flessibilità per la sicurezza sui posti di lavoro forti assunzioni di personale per garantire controlli e ispezioni in tutti i settori a partire da quelli edile e industriale.

Rilancio della sanità pubblica (abrogando le norme che favoriscono e spingono alla privatizzazioni) con forti investimenti.

E così anche per il rilancio della scuola pubblica

Misure radicali anticapitaliste per difendere l’ambiente e contro il riscaldamento climatico

Per la conquista piena dei diritti civili, dei diritti delle donne contro la violenza e il patriarcato, dei diritti LGBT.

I diritti dei migranti e l’unità tra lavoratori indigeni e migranti

Contro le nuove minacce di guerra, contro le spese militari, per il diritto dei popoli di decidere del loro destino, per lo sviluppo delle solidarietà internazionale.

Ci batteremo perché questi obiettivi fondamentali diventino temi comuni di tutti i movimenti e delle forze sociali, ma anche siano collegati organicamente nella lotta di opposizione al governo della borghesia e in una prospettiva anticapitalista.

Pur nelle grandi difficoltà prodotte dalla pandemia invitiamo tutti i nostri circoli a fare il massimo sforzo per incrementare la sottoscrizione e per rafforzare l’adesione e il tesseramento alla nostra organizzazione.

In questo quadro sosterremo i nostri circoli che saranno coinvolti nelle prossime scadenze amministrative in alcune città.

Decidiamo di fare, dandoci subito un appuntamento in primavera, a maggio o al massimo a giugno, un incontro politico in presenza di tutta l’organizzazione, una grande assemblea politica nazionale per ritrovarci tutte e tutti insieme. Fin da subito ne cominciamo l’organizzazione coinvolgendo tutte le nostre compagne e compagni dei circoli.

Pubblicità