di Francesco Locantore

La scuola in presenza è diventato il mantra del ministro Bianchi e di tutto il governo Draghi, un punto distintivo di questo governo rispetto all’esperienza del lockdown del 2020 e delle chiusure a singhiozzo e riaperture parziali dello scorso anno scolastico. Da che la didattica digitale è stata osannata e poi imposta a tutti i docenti come uno strumento che avrebbe portato finalmente le nuove tecnologie nelle scuole, da che ci hanno fatto credere che l’insegnamento poteva essere svolto dietro l’asettico schermo di un dispositivo elettronico, garantendo così la scuola anche in epoca di pandemia, finalmente anche la retorica governativa ha dovuto cambiare indirizzo, rivelando ciò che era chiaro a chiunque avesse in qualche modo a che fare con la scuola.

Gli studenti e le studentesse, il personale scolastico e le famiglie hanno da subito denunciato la privazione di fatto del diritto all’istruzione che la chiusura delle scuole ha comportato: non può esistere una “didattica a distanza”. La funzione della comunità scolastica, che si riunisce ogni giorno in luoghi preposti per crescere insieme, trasmettere i saperi ma anche la passione per lo studio, l’aiuto reciproco tra pari e tra docenti e discenti, gli stessi ambienti dell’apprendimento collettivo, sono tutte cose che non possono essere sostituiti e virtualizzati con videoconferenze. Sulle piattaforme online si minimizza l’interazione personale, si gerarchizza il rapporto con gli studenti ancora di più di quanto non lo sia in classi già sovraffollate in presenza, si perde del tutto la possibilità di seguire individualmente lo sviluppo cognitivo dei singoli e soprattutto si nega l’opportunità di istruirsi ai più deboli socialmente, a chi non ha i mezzi, le connessioni adeguate, gli spazi e le famiglie che possano sostenere gli apprendimenti in assenza della scuola pubblica.

Ma se la didattica a distanza della ministra Azzolina era una evidente mistificazione ideologica, non lo è meno la scuola in presenza di Bianchi. Fin dall’inizio del presente anno scolastico il governo ha scelto di riaprire le scuole per tutte e tutti gli alunni. Bene! Purtroppo però non è stato fatto alcun intervento perché questo potesse avvenire in sicurezza, garantendo cioè che la scuola non diventasse un ulteriore veicolo di ripresa dei contagi. Anzi, si sono allentati i protocolli sanitari già in vigore: si è derogato alla distanza interpersonale di un metro (già ridotta rispetto a 1,5 metri suggeriti da tutte le autorità sanitarie) per poter lasciare gli studenti nelle classi pollaio, si sono ridotti i periodi di quarantena per chi era in possesso del green passe si sono allentati i vincoli sulla capienza dei trasporti pubblici, nei fatti al 100% e oltre, dal momento che i controlli non si sono mai visti. Quando i contagi sono aumentati e sono stati sempre di più i docenti e le classi in quarantena, con il ricorso ancora una volta alla didattica a distanza, il castello di carta ministeriale della scuola in presenza ha cominciato a vacillare, come era prevedibile. Poi, con l’esplosione della variante omicron durante le vacanze natalizie, si è deciso di riaprire regolarmente il 7 gennaio limitando ulteriormente le quarantene, differenziando gli ordini di scuola e portando fino a tre casi positivi il limite per andare in quarantena nelle scuole superiori, introducendo una serie di misure paradossali e inefficaci come l’autosorveglianza di chi ha avuto un contatto stretto con un positivo, complicando così estremamente la gestione sanitaria delle scuole, visto che bisogna distinguere tra gli alunni vaccinati (che possono stare a scuola in regime di autosorveglianza) e quelli non vaccinati che invece devono stare in quarantena. Intanto la maggior parte delle scuole ancora non forniscono agli alunni e al personale le mascherine FFP2 obbligatorie anche dopo un caso di positività in classe e risulta sempre più difficile svolgere le lezioni con le finestre e le porte aperte nella stagione invernale.

Il ministero non fornisce i dati sul numero di alunni e di classi attualmente in quarantena, che quindi stanno svolgendo lezioni a distanza, ma è sotto gli occhi di tutti che sono tantissimi i casi in questione. Inoltre, con la differenziazione tra chi può stare in presenza e chi deve seguire da casa (perché non vaccinato o perché in quarantena per un contatto stretto avvenuto al di fuori della scuola), sono praticamente tutte, le classi in cui la didattica avviene in forma mista. Se possibile, la didattica mista, con alcuni alunni in presenza e altri in videoconferenza, è ancora peggiore della lezione a distanza per tutti. Non è umanamente possibile utilizzare una metodologia egualmente efficace per entrambi i gruppi. Nei fatti chi sta a casa viene lasciato a se stesso e tra i collegamenti (che devono essere effettuati all’inizio di ogni ora di lezione) e i problemi tecnici che non mancano mai, il tempo per le lezioni viene dimezzato anche per chi è presente a scuola.

Il risultato è che la scuola in presenza non solo non è sicura dal punto di vista sanitario, ma è anche inefficace dal punto di vista pedagogico, è uno specchietto per le allodole, per creare l’illusione che il diritto all’istruzione venga finalmente garantito anche durante la pandemia, mentre il governo continua a disinteressarsi del rilancio dell’istruzione pubblica statale e a mettere toppe sulle falle che continuano ad aprirsi da ogni lato si guardi la questione.

Come per gli altri settori della società, la linea del tutto aperto perseguita dal governo Draghi porterà a doverci schiantare con la necessità di nuove chiusure, che saranno inevitabili con l’intasamento degli ospedali e delle terapie intensive.

Quali soluzioni?

Ma era proprio necessario scegliere tra la sicurezza sanitaria e l’istruzione? Tra la chiusura delle scuole e l’ingestibilità dei contagi? Tra la linea del governo centrale e quella di alcune regioni, interessate a non finire in zona gialla o arancione (anche a costo di ridefinire i criteri, come è già è successo lo scorso anno e come ora si ripropone) prima ancora che a garantire diritti fondamentali? Forse questa alternativa si poteva porre all’inizio della pandemia, a febbraio del 2020, tanto più che i tagli alla scuola operati nell’ultimo ventennio (con il contributo decisivo della ministra Gelmini nel 2008) avevano portato ad un aumento significativo degli alunni medi per classe. Oggi però, a due anni di distanza, c’è una chiara responsabilità politica sulla gestione della pandemia. Gli uffici scolastici hanno negato la possibilità di formare nuove classi anche nell’anno scolastico in corso e il governo Draghi non ha stanziato neanche per gli anni a venire le risorse necessarie a costruire una scuola pubblica più efficace e più sicura anche dal punto di vista sanitario.

Nell’immediato, anziché spendere soldi inutili per l’acquisto dei famosi banchi a rotelle che rimangono stoccati nei magazzini perché non soddisfano i requisiti minimi di sicurezza, negli abbonamenti milionari a piattaforme digitali gestite da multinazionali private (perché non utilizzare una piattaforma unica pubblica e gratuita utilizzando software libero?), nell’acquisto di mascherine inefficaci come gran parte di quelle fornite dalla FCA/Stellantis che giacciono ammucchiate negli angoli liberi di ogni istituto scolastico, si potevano prevedere finanziamenti per impianti di aerazione forzata nelle classi, per l’acquisto di dispositivi di protezione efficaci, a cominciare dalle mascherine FFP2, si sarebbero dovuti potenziare i trasporti scolastici e il sistema sanitario per il tracciamento effettivo dei casi nelle scuole e la reintroduzione di un presidio medico in ogni scuola, si sarebbero potuti assumere supplenti Covid in tutti gli ordini di scuola in modo da dimezzare le classi, con la prospettiva di stabilizzarli una volta finita la pandemia, si sarebbero potuti requisire spazi urbani dismessi o adibiti ad altri usi, alberghi, sale cinematografiche o teatrali per l’utilizzo scolastico. Infine si sarebbe potuto introdurre l’obbligo vaccinale per tutti, compresi gli studenti dai cinque anni in su, utilizzando anche le scuole come punti vaccinali. Che senso ha avuto nella scuola l’introduzione del green pass e poi dell’obbligo vaccinale in una categoria in cui quasi tutti i lavoratori erano già vaccinati ben prima dell’inizio di questo anno scolastico, se non quello tutto propagandistico di far vedere che si stava facendo qualcosa e addossare tutte le colpe su una sparuta minoranza a cui si dà una enorme visibilità mediatica?

La verità è che la scuola pubblica, così come la sanità, non è una priorità di questo governo, tutto impegnato a garantire che le imprese capitalistiche possano continuare a fare profitti sfruttando i lavoratori e le lavoratrici anche in epoca di pandemia. E se per continuare a produrre c’è bisogno di un parcheggio per i propri figli, ecco servita la scuola in presenza, senza risorse, senza sicurezza, senza spazi, senza docenti, insomma senza scuola.

I lavoratori e le lavoratrici della scuola hanno cominciato a mobilitarsi anche su questi temi con lo sciopero generale del 10 dicembre scorso, sciopero convocato sia detto per inciso, perché il governo non ha neanche stanziato in legge di bilancio le risorse necessarie ad un rinnovo contrattuale minimamente decente per la scuola così come per la sanità e per tutti i settori pubblici. E’ necessario che i sindacati insieme, quelli confederali e quelli di base, che hanno convocato quello sciopero continuino su una linea conflittuale contro il governo Draghi e mettano in campo altri appuntamenti di mobilitazione e anche di sciopero in questo inizio di anno. Dalla Francia è arrivato un segnale incoraggiante in questo senso, con lo sciopero dello scorso 13 gennaio, che ha visto una partecipazione maggioritaria della categoria, proprio contro le nuove norme previste per la gestione delle quarantene nella scuola del tutto analoghe a quelle del governo Draghi.

Anche gli studenti e le studentesse hanno ripreso la mobilitazione a dicembre, in particolare a Roma, dopo anni di silenzio. Gli studenti del movimento romano della Lupa si sono riuniti il 13 gennaio nel centro sociale Acrobax e dal 18 al 20 febbraio l’Unione degli studenti ha convocato gli stati generali della scuola a Roma. Il disagio studentesco è stato esacerbato dalla pandemia e dai provvedimenti che sono stati presi per contenerla, le scuole sono sempre più luoghi di disciplinamento e contenimento dei giovani, votate alla creazione di “competenze” slegate e contrapposte alle conoscenze. Sembra un paradosso ma proprio qualche giorno fa la Camera dei Deputati ha votato all’unanimità il PdL Lupi sull’introduzione delle “Competenze non cognitive” nelle scuole, in pratica come ammaestrare i giovani ad adattarsi (la famosa resilienza) alle mutevoli esigenze dei padroni nel mondo del lavoro, anziché insegnare loro la storia, le scienze, i linguaggi e il pensiero umano e le sue espressioni artistiche, il diritto, l’economia, in modo da dar loro gli strumenti critici per costruire una società diversa, anche con la lotta. E’ una fortuna che le giovani e i giovani studenti si siano ripresi da soli le esperienze di lotta, senza aspettare le settimane dello studente pensate proprio per evitare le occupazioni delle scuole ed abbiano (ri)cominciato a riflettere criticamente sul modo in cui la scuola sia subordinata oggi alle esigenze di sfruttamento del lavoro nel capitalismo che produce sempre più crisi e devastazione dell’ambiente.

E’ necessario che il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola, insieme con le studentesse e gli studenti, convergano insieme agli altri movimenti, quello ambientalista contro il riscaldamento climatico, quello femminista contro la violenza sulle donne, quello per i diritti dei migranti, quelli delle fabbriche contro i licenziamenti e le delocalizzazioni, per costruire una mobilitazione generale che avanzi una idea diversa di scuola e di società. In questo senso il Forum della convergenza convocato dalla Società della cura e dalla Rete Genova 2021 per la fine di febbraio sarà una importante occasione per la discesa in campo dell’alternativa sociale e politica al governo Draghi, verso una grande manifestazione nazionale a fine marzo a Firenze promossa dal collettivo di fabbrica GKN e dalla rete di supporto Insorgiamo!

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