di June Fernández (trad. di Rolando D’Alessandro)

Pikara Magazine – 21/07/2021

Le violenze sessiste contro le militanti della sinistra abertzale, per strada o nelle celle, continuano impunemente e senza riconoscimento da parte dello Stato spagnolo

Sui muri di diversi comuni della zona di Uribe Kosta (Bizkaia) sono apparsi lunedì scorso graffiti fascisti in commemorazione del colpo di stato franchista del 18 luglio 1936, tra cui uno rivolto alle donne indipendentiste: “Zoccole separatiste. Vi violenteremo #18Julio». L’ironico tweet della politologa Jule Goikoetxea esorta a usare l’umorismo come meccanismo di autodifesa e neutralizzazione del terrore sessuale, e a recuperare la memoria storica. Potremmo viaggiare fino al 1936, ma questa volta faremo un salto fino alla cosiddetta Transizione

Comunque a me sembra un bel passo avanti questo passaggio dal tradizionale ed etnofolcloristico “puttane basche” al termine più statalista e politicizzato di “zoccole separatiste”

“Pasará a todas las mujeres vascas”

Nel gennaio 1980, un gruppo di uomini maltrattò, stuprò e uccise Ana Tere Barrueta Álvarez, una ragazza di 17 anni che stava studiando e insegnando basco, quando stava tornando a casa, a Loiu (Bizkaia). Il Gruppo Armato Spagnolo (GAE) che rivendicò il delitto, avrebbe assassinato qualche giorno dopo altre quattro persone in un attentato a un bar di Alonsotegi. Le zie della ragazza ricordano che, nonostante la famiglia avesse assunto un detective e fosse stata creata una commissione investigativa popolare, non fu possibile far chiarezza a causa dell’ostruzionismo di polizia e magistratura. Ana Ereño, una femminista membro della commissione, pubblicò un articolo sulla stampa denunciando questa violenza. I fascisti risposero irrompendo in casa sua e scrivendo sulle pareti: “Marxista. Troia. Ti stupreremo”, accanto alle iniziali FN (Fuerza Nueva).

Nel maggio dello stesso anno, un altro gruppo di fascisti attaccò Mª José Bravo e Javier Rueda, una coppia di 16 anni, nei pressi della caserma dell’esercito di Loiola (Donostia). Gli aggressori percossero brutalmente il cranio di Javier e lo gettarono in un burrone, gravemente ferito. Morì otto anni dopo a causa di quelle lesioni. Mª José fu trascinata in un luogo più appartato, violentata e uccisa. Il suo corpo fu rinvenuto il giorno dopo con la testa fracassata e nuda dalla vita in giù. Il Battaglione Basco Spagnolo (BVE) diffuse un messaggio in cui asseriva di averla uccisa perché era una confidente dell’ETA, e minacciava di assassinare altre due ragazze basche. Qualche tempo dopo, mandò a Rueda questo messaggio: “La prossima volta, una pallottola alla testa (…) Quello che è successo a María José succederà a tutte le donne basche”. E anche in questo caso, né verità, né giustizia, né riparazione istituzionale.

A questi due casi di violenza sessuale e assassinio che scossero la società basca, vanno aggiunti altri nove stupri consumati e sei tentati tra il 1977 e il 1980, come documentato dall’inchiesta ‘Violenza di tipo politico contro le donne nel caso basco’, pubblicata dall’associazione per i diritti umani Argituz nel 2016. Lo schema in tutti i casi è lo stesso: gruppi di uomini ostentosamente armati avevano individuato vittime molto giovani, avevano chiesto loro i documenti, le avevano perquisite e interrogate su politica prima di aggredirle.

Le coordinatrici dell’inchiesta, Bertha Gaztelumendi e María Naredo, scrivono che “i gruppi parapolizieschi e di estrema destra nel caso basco hanno usato in periodi diversi tattiche di intimidazione e terrore basate sulla violenza sessuale contro le donne, non solo allo scopo di colpire le donne stesse, ma anche diversi segmenti ideologici della popolazione che condividono una sensibilità nazionalista basca o di ribellione contro il potere costituito”. Aggiungono che questa “esibizione di potere e impunità sarà ulteriormente rinforzata quando, in seguito, si constata che non ci sono state indagini di polizia o azioni giudiziarie contro queste gravi violazioni dei diritti umani“.

Non solo, la maggior parte delle manifestazioni di protesta per queste aggressioni sessuali furono represse con violenza dalle forze dell’ordine spagnole, rammenta lo storico Iñaki Egaña in un articolo pubblicato sul quotidiano Gara nel 2014. Ricorda che una giovane donna di Bilbao che aveva partecipato alla manifestazione per l’omicidio di Ana Tere Barrueta “era finita in coma a causa dell’accanimento degli antisommossa“. Spicca anche un altro caso, sempre del 1980: “Una ragazza di 17 anni di Bermeo fu violentata sotto la minaccia di una pistola nei pressi di Bakio. Memorizzò la targa dell’auto che, quando andò a sporgere la denuncia, era parcheggiata nella caserma della Guardia Civil di Bermeo. L’aggressore, un agente di nome Pedro García López, in seguito sarebbe stato trasferito”.

Donnacce, nemici politici

Lo Stato spagnolo non ha avviato alcuna iniziativa di memoria, giustizia o riparazione per queste vittime del terrorismo e della violenza sessista. Anzi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lo ha condannato dieci volte per non aver indagato sulle denunce di tortura presentate da migliaia di persone detenute in isolamento con l’accusa di appartenenza o collaborazione con l’ETA o con una qualsiasi delle organizzazioni della sinistra indipendentista illegalizzate. Amnesty International ha ripetutamente esortato lo Stato a eliminare il regime d’isolamento, perché agevola la pratica della tortura e l’impunità dei suoi responsabili.

La scorsa settimana, otto avvocati baschi sono stati portati al cospetto dell’Audiencia Nacional (Tribunale speciale erede del Tribunale di Ordine Pubblico franchista) accusati di aver formato il braccio giuridico dell’ETA. Una delle irregolarità di questa causa 13/13 è che sono processati per gli stessi reati per i quali sono già stati condannati nel 2019. Particolare scalpore hanno suscitato le agghiaccianti testimonianze di due delle imputate, Naia Zuriarrain e Saioa Agirre, che hanno negato qualsiasi collegamento con l’ETA e hanno affermato di essere state costrette, con minacce, torture e molestie sessuali, a memorizzare e ripetere false dichiarazioni incriminanti scritte dalla stessa Guardia Civil. Il giudice istruttore di questa causa (che all’epoca ignorò queste denunce di tortura), Fernando Grande-Marlaska, è attualmente il ministro degli Interni del governo socialista spagnolo.

“Passerai un brutto momento, Naia, ti considero mia nemica”, disse uno degli agenti della Guardia Civil a Zuriarrain durante il suo arresto. In tre o quattro l’obbligarono a denudarsi e le dissero: “Ci fa arrapare che tu resista”. La tortura consisteva fra l’altro nel buttarle acqua fredda sul corpo nudo mentre la palpavano e nell’asfissiarla con un sacchetto di plastica. Un guardia civile chiese a Saioa Agirre, mentre era detenuta in isolamento nel commissariato di Tres Cantos (Madrid), se voleva essere madre. “Mi dissero che non lo sarei mai stata mentre mi soffocavano con un sacchetto di plastica“, ha detto nella sua dichiarazione alla corte. La sua storia ricorda quella di Beatriz Etxebarria —uno dei casi per i quali Strasburgo ha condannato la Spagna—; arrestata nel 2011, il torturatore che la violentò le disse: “Ti romperò tutta dentro così non potrai fare piccoli “etarra”“.

La tortura sessista è una forma specifica di violenza contro le donne, doppiamente punite, come nemiche politiche e per avere infranto i mandati della femminilità patriarcale. Il movimento femminista basco e, in particolare, gruppi come Euskal Herriko Bilgune Feminista, così come le iniziative femministe intorno al processo di pace, da anni stanno facendo memoria storica iscrivendo le testimonianze di torture in analisi che la collegano con altri ambiti ed espressioni di violenza maschilista.

Tra queste iniziative spicca l’atto simbolico ‘Nik sinisten dizut. [Io ti credo] Riconoscere la verità delle donne”, organizzato nel 2017 dal Forum Sociale Permanente, un’iniziativa formata da 17 sindacati e organizzazioni basche per promuovere il processo di pace, tra cui Bilgune femminista. Sei sopravvissute a diverse forme di violenza sessista salirono sul palcoscenico in un ex carcere femminile nel quartiere di Solokoetxe di Bilbao per raccontare la loro storia, il loro dolore, la loro rabbia e le loro rivendicazioni. Una di loro era Ixone Fernández Bustillo, sopravvissuta alla tortura della Polizia Nazionale nel 2005 e rivittimizzata durante il processo da un giudice che l’accusò di avere troppa fantasia. Fu assolta dopo aver trascorso due anni in detenzione preventiva.

Siamo qui

Il discorso patriarcale per cui lo stupro è la cosa più orribile che può capitare a una donna e da cui non dovrebbe mai riprendersi, è inciso a fuoco nella soggettività delle donne, come ha sottolineato Virginie Despentes nella sua King-kong Theory. Eppure le testimonianze delle superstiti di torture sessuali si focalizzano spesso su altri episodi come più traumatici – ad esempio, le simulazioni di esecuzione con pistole – e altri dolori come più difficili da guarire – come il senso di colpa per aver ceduto e accusato altre persone. La nudità forzata, i toccamenti e le molestie sessuali non sono le uniche tecniche che le forze di polizia spagnole hanno usato più con le detenute che con gli uomini, secondo un’indagine indipendente per il parlamento basco. Le donne denunciano di più il ricorso a posizioni di sottomissione, a sacchetti di plastica, cappucci o maschere e alla violenza psicologica sotto forma di comportamento violento vs. benevolo.

Olatz Dañobeitia, membro del gruppo femminismo del Social Forum, ha osservato nel corso della tavola rotonda “Ricostruirsi dopo la tortura” che la testimonianza è uno dei pochi strumenti per rompere l’impunità della tortura e può essere terapeutica, ma che focalizzarla su un resoconto dettagliato delle tecniche può rinnovare il trauma e contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di diffondere il terrore. Ha ricordato che, in contesti come il Cile o l’Argentina, è stato osservato come la tortura abbia funzionato come elemento per disattivare la partecipazione politica delle donne e disattivare il conflitto politico stesso. D’altra parte, ha ricordato la riflessione femminista sul fatto che la condizione di vittima implica l’assegnazione di un ruolo passivo alle sopravvissute: “Non sei più parte di un processo politico e di una lotta, perché la vittimizzazione annulla altre dimensioni della tua identità, le tue capacità, la tua appartenenza, la tua militanza”

Nella stessa linea, Zuriñe Rodríguez cita nel saggio Borroka armatua eta kartzelak (LISIPE) la tesi della femminista Dubravka Zarkov, esperta dei conflitti dei Balcani, secondo la quale focalizzare l’analisi e la soluzione dei conflitti armati in una prospettiva di genere sulla questione della violenza sessuale, può portare a vittimizzare le donne e a rendere invisibile il loro contributo come soggetti politici. Sottolinea infatti che negli interrogatori durante l’isolamento è abituale che i poliziotti ricorrano a quegli stereotipi sessisti che negano la loro rilevanza, come un modo per annullarle psicologicamente: trattarle come le puttane del commando, come semplici cuoche e addette alle pulizie, o le suddette minacce che non potranno divenire madri.

La violenza sessista contro militanti indipendentiste, sotto forma di scritte minacciose, di aggressioni dirette nelle strade o di torture nelle celle, ha cercato di annullare le nemiche politiche del Regno di Spagna attraverso il terrore e di disciplinarle come donne. Ecco perché è stato così importante che Ixone Fernández Bustillo salisse sul palcoscenico di Solokoetxe, si autodefinisse sopravvissuta alla tortura e esigesse verità, riconoscimento, riparazione e garanzie di non ripetizione affinché tutte le vittime possano continuare le loro vite. Ecco perché è stato così importante che, dopo aver ammesso che l’arresto e la prigionia l’avevano fatta sentire staccata dalla vita, le avevano fatto perdere la salute e l’avevano spinta a lasciare la militanza, abbia concluso il suo intervento così come lo aveva iniziato (in basco): sono qui. Mi chiamo Ixone Fernández Bustillo, figlia di Bego e di Carmelo, sorella minore di Ana e Saioa. Donna, euskaldun, abertzale, sognatrice, amante della vita, militante”.

‘Hemen gaude’ (Siamo qui) è anche il titolo di un manifesto del collettivo di ex prigionieri politici baschi che, tra l’altro, denunciava l’immagine di “male femmine” , cattive madri, terroriste sanguinare e puttane dei commando a loro attribuita dai giornali misogini e sottolineava: “La polizia ha sempre tenuto ben presente che eravamo donne”.

Il movimento femminista di Zornotza ha organizzato campagne, manifestazioni, incontri nei parchi e persino un viaggio in autobus a Madrid per accompagnare la compaesana Saioa Agirre durante il processo per la causa 13/13. Hanno raccolto appoggi con l’hashtag #GuEreSaioarekin (Anche noi con Saioa), hanno realizzato un video con la sua testimonianza e hanno anche recuperato lo slogan di una campagna femminista di Bilgune, “Hau ez da gure bakea” (Questa non è la nostra pace ), che si riferisce al fatto che non è possibile parlare di normalizzazione politica finché non si riconosca e ripari tutta la violenza, compresa quella sessista. A Larrabetzu, le associazioni del paese, tra cui il gruppo femminista Zutunik!, hanno riempito la piazza di messaggi e gesti di solidarietà con la loro vicina, Naia Zuriarrain, e con il resto delle persone imputate in questa causa.

Il 18 luglio, anniversario del golpe franchista, un gruppo di donne ha fatto una “performance” davanti alla sottodelegazione del governo a Bilbao per denunciare il silenzio che protegge i “branchi del sistema”. Hanno mostrato la loro solidarietà a Naia Zurriarain e a Saioa Agirre coprendosi la testa con delle buste di plastica, e hanno urlato per diversi minuti senza levarsele, prima di romperle.

Le scritte fasciste sono durate poco più di quelle grida: militanti della campagna sovranista Gora Herria li hanno coperti con slogan a favore di una Euskal Herria euskaldun diversa, femminista e antifascista.

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