Scriveva Ennio Flaiano molti anni fa che “i fascisti in Italia sono una trascurabile maggioranza“. Questa pessimistica frase mi è tornata in mente guardando i sondaggi di queste ultime settimane, dove i fratellini della melona sono quasi sempre il secondo partito (in un sondaggio addirittura il primo, superando l’amico-concorrente salvino), oscillando tra il 18 e il 20% delle intenzioni di voto. Non c’è da preoccuparsi più di tanto, direte voi: già col suo mentore, Fini, Alleanza Nazionale era arrivata vicino al 16% dei voti, ed ha governato con berlusconidi e leghisti per ben 9 anni, da quando è nata la sciagurata “Seconda Repubblica”, 27 anni fa. E, seppure la situazione si sia via via incancrenita, non abbiamo avuto una dittatura fascista, ma, al massimo, un indebolimento dei diritti democratici già di per sé non garantiti in una democrazia borghese, al di là di tutte le chiacchiere sulle “Costituzioni”. C’era da aspettarselo, visto che la vispa teresa neofascista viene rappresentata dai media come l’unica opposizione all’Union Sacrée riunita intorno al Drago del Capitale (la debole opposizione solitaria di Fratoianni, di Sinistra Italiana, fatica ad essere citata dai pennivendoli di regime). Se si vuole ulteriormente proseguire sul sentiero dell’ottimismo (alquanto impervio, visto il clima generale), si può sempre consolarsi vedendo che la crescita meloniana è tutta a discapito del salvino, con i più ed i meno che si equivalgono. Ma, a parte il fatto che, sommando i due partiti di estrema destra si arriva al 40% (percentuale MAI raggiunta in Italia, nemmeno ai tempi del defunto Regno*), il progressivo svuotamento di un partito reazionario, razzista, ma (ufficialmente) non fascista (il che non vuol dire ANTIFASCISTA, sia chiaro) a favore di un partito che non ha mai smentito di sentirsi nello spirito e nella tradizione di AN e del MSI (e quindi neofascista) non può che essere fonte di allarme (ben più delle pagliacciate dei vari gruppuscoli tipo FN, Casa Pound e via vomitando). Non è mia intenzione qui mettermi a fare il profeta sulle future politiche di un eventuale governo dell’estrema destra (magari appoggiato da ciò che resta del berlusconismo o persino del renzismo). La storia degli anni Venti e Trenta del secolo scorso difficilmente potrà ripetersi (perlomeno in quella forma) un secolo dopo (anche se è sempre meglio non mettere limiti alla loro “divina provvidenza”). Mi interessa piuttosto continuare un discorso già iniziato su queste pagine di tipo, diciamo così, sociologico. Mi colpisce il fatto che, in soli tre anni, l’estrema destra in Italia sia raddoppiata (dal 20% del 2018 al probabile 40% di oggi), con l’aggravante che, pure nell’ambito di questa “polvere d’umanità” piccolo-borghese incarognita, ci sia una radicalizzazione di posizioni. I fratellini meloniani erano poco più del 4% tre anni fa (6,5% alle europee), penultimo tra i partiti parlamentari, ed ora rischiano di essere i primi, nonostante gli scandali, la corruzione, la manifesta stupidità di molti loro eletti. Non voglio nemmeno parlare dei motivi immediati di questo ulteriore spostamento a destra (la presunta “invasione” straniera, le politiche violentemente liberiste dei governi a Roma ed ovunque, la percezione del fallimento dello pseudo-europeismo borghese, ecc.). Vorrei mettere l’accento sulla continuità, nel lungo periodo, della meschinità di fondo del “popolo” che crede (o finge di credere) nella malefica triade “Dio, Patria e Famiglia”. Questi “valori” reazionari e che mi appaiono penosi e ridicoli in pieno XXI secolo, sono alla base di quello che qualcuno ha chiamato “l’idem sentire” di questa metà Italia. Valori da sempre sottolineati non solo dai fascisti (al di là del fatto che Mussolini fosse ateo e puttaniere, rendendo abbastanza credibile la sua adesione solo al secondo dei succitati), ma da tutti i partiti di destra (estrema o meno), in primis dalla DC dei De Gasperi, Andreotti, Fanfani, ecc. ed in seguito dai berlusconidi, leghisti, casiniani e mastelliani. Ed anche a sinistra, soprattutto nel “grande” PCI, il secondo e il terzo termine della triade non erano certo ritenuti dei “disvalori”. Non mi si venga a dire che, in realtà, l’adesione a questa “sacra trinità”, è sempre stata più formale che reale. Lo sappiamo benissimo: il cialtronismo italico del “Franza o Spagna, basta che se magna” ha radici lontane. L’esempio, fatto sopra, di Mussolini è più che significativo, come quello dei killer mafiosi che, dopo aver sciolto nell’acido il corpo di qualcuno, corrono a messa a fare la comunione. O dei tanti che, pur frequentando bordelli o dedicandosi ad una promiscuità sessuale a 360 gradi (per altro benvenuta, dal mio punto di vista), fanno ufficialmente della “Famiglia” (con la effe maiuscola) l’alfa e l’omega della loro vita. Ma l’adesione, seppur poco sincera e piena di contraddizioni, a questi residui del Medioevo, solo superficialmente intaccati dall’Illuminismo, dalla Rivoluzione Francese o, per restare da noi, dal Risorgimento (nella variante più seria, quella mazziniana), e non sufficientemente messa in discussione dalle correnti maggioritarie del movimento operaio novecentesco, è una specie di DNA del piccolo-borghese, urbano o rurale, che costituisce da sempre il serbatoio politico ed elettorale della destra a tutte le latitudini. Il piccolo-borghese (che può benissimo talvolta fare l’operaio o l’industriale) di cui parlava Claudio Lolli nella sua celebre canzone sembra essere diventato il punto di riferimento di quasi tutti i partiti politici. Non solo di quelli che ne fanno apertamente il target del loro progetto (come i 5 Stelle, la Lega e i fratellini), ma anche di quelli, come il PD, che in realtà sanno benissimo che è la grande borghesia finanziaria e industriale a comandare la baracca (e ad essere il loro ispiratore di fondo). E’ paradossale che questa classe (o meglio insieme di classi) in declino, questo “ceto medio” il cui massimo orizzonte arriva al tetto della propria abitazione, privo di autonoma capacità politica, sia messo sul piedistallo da quasi tutti. Certo, la borghesia, quella vera, preferisce non farsi troppo notare: non si sa mai che a forza di tirare la corda dell’ingiustizia sociale e mettendosi in bella mostra, un bel momento ci scappi una “rivolta” o anche solo un rialzare la testa da parte degli sfigati di turno. Ma ancor più i lavoratori, il “proletariato” (che continua a crescere di numero, anche in Italia, a scapito della declinante piccola-borghesia, ed è diventato da almeno 30 anni la classe numericamente maggioritaria) sono stati “cancellati” (o quasi) dal dibattitto politico “ufficiale”. Se pensiamo che, fino al 1992, i partiti che dichiaravano di “rappresentare” i lavoratori (PCI e PSI in primis) sfioravano il 50% dei voti, ed ora (compresi gli iper-moderati di LeU) arrivano a malapena al 5, ci rendiamo conto della catastrofe che ci ha travolto. Meglio parlare, tutti quanti, del “cittadino” italiano, “l’uomo qualunque” tanto caro a Giannini e a tutti coloro che vorrebbero evitare di vedere le classi sociali che dividono la società. E quell’uomo qualunque, incolto e spesso cialtrone, che si è sempre identificato con quelle ideuzze, poche e confuse, simboleggiate dalla malefica triade, ora ha imparato, grazie ai vari “sdoganamenti” successivi, ad urlare sempre più forte la sua “fede”, nutrita dalla sua fragilità, dalle sue paure, in questi relitti del passato. Come diceva tristemente (di nuovo) Flaiano, il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre”.

Flavio Guidi

*Non consideriamo ovviamente le elezioni del 1924, che furono tutt’altro che libere.

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