Breve storia del grande movimento popolare che sbarrò la strada  al MSI  e  al  Governo  Tambroni

di Sinistra Anticapitalista Genova

A 60 anni di distanza dai fatti del 1960 e a pochi giorni dal corteo del 30 Giugno promosso dall’Assemblea di Genova Antifascista, abbiamo voluto scrivere il seguente testo, che ricostruisce brevemente la storia del Giugno e Luglio 1960, perché crediamo che anche oggi ci sia il forte bisogno di ricordare quella pagina di lotta antifascista, tanto più di fronte al risorgere in Italia e in altri Paesi di formazioni politiche che si richiamano esplicitamente al fascismo e comunque di posture fascisteggianti presenti anche in formazioni politiche istituzionali.

Anni di sdoganamento politico, anche da parte di esponenti del cosiddetto centrosinistra, di istituzioni e corpi statali compiacenti, hanno permesso a formazioni neofasciste di aprire sedi, organizzare pubblicamente propri raduni e proprie iniziative di piazza, esercitare le loro azioni squadriste contro militanti di sinistra, immigrati o poveri, di presentarsi alle elezioni a tutti i livelli (amministrative, nazionali ed europee). Istituzioni che concedono spazi ai neofascisti e non si fanno invece scrupolo a reprimere e intimidire (con denunce, arresti e multe) i militanti antifascisti, come nel caso dei 50 denunciati per i fatti di piazza Corvetto a Genova del 23 maggio dello scorso anno, quando migliaia di antifascisti si opposero alla concessione di una piazza centrale della città a CasaPound per un comizio elettorale. Si vedano in proposito sul sito web nazionale di Sinistra Anticapitalista i nostri due articoli:

  • Genova : Grande manifestazione antifascista e violenze della polizia”, pubblicato il 24 maggio 2019 – vedi:
  • L’antifascismo non si processa!”, pubblicato il 26 febbraio 2020 – vedi:

L’articolo che segue si basa principalmente su informazioni tratte dal libro di Riccardo Navone30 Giugno. La Resistenza continua”, che contiene una cronaca dettagliata di quel periodo, quasi in presa diretta. E con ciò vogliamo nel contempo ricordare la figura di Navone, instancabile antifascista e anticapitalista, venuto a mancare a Genova due anni fa.

Nella primavera del 1960, a 15 anni dalla Liberazione dal nazifascismo, i poteri forti della borghesia italiana aprirono le porte al sostegno determinante dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI) per formare il Governo monocolore DC presieduto da Fernando Tambroni, un politico marchigiano, che nel 1926 aveva abbandonato il Partito Popolare per iscriversi al Partito Nazionale Fascista e che, dopo la caduta del regime, era entrato nella nuova DC. Tambroni, dopo aver ricoperto altri incarichi di Governo, dal 1955 al 1959 era già stato ministro dell’Interno, succedendo a Mario Scelba.

Per conquistarsi la fiducia del MSI, Tambroni si era impegnato ad appianare i debiti del giornale fascista “Secolo d’Italia” con una serie di provvedimenti legislativi al limite della legalità e con finanziamenti di oscura provenienza, e si era impegnato a finanziare la campagna elettorale del MSI. Inoltre aveva promesso l’equiparazione ai fini pensionistici allo status di reduci degli ex combattenti della Repubblica Sociale, come normali militari di carriera. Tutti impegni che gli valsero il sostegno del MSI, partito fondato nel 1946 da Giorgio Almirante, Pino Romualdi e altri ex esponenti del regime fascista, e nel 1960 guidato da Arturo Michelini.

Il Governo Tambroni ottenne la fiducia dal Parlamento il 29 Aprile 1960, con il placet dell’allora Presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Gronchi, e delle gerarchie vaticane. Tra i politici che ne fecero parte, vanno ricordati Giulio Andreotti, che fu ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani, in qualità di ministro del Tesoro, Mariano Rumor, con l’incarico di ministro dell’Agricoltura e Oscar Luigi Scalfaro, come sottosegretario al Ministero dell’Interno. Tutti politici che ritroveremo ancora negli anni seguenti.

Sia durante il periodo di formazione del Governo Tambroni e sia immediatamente dopo non mancarono le manifestazioni di protesta in tante città italiane. Per esempio il 25 aprile in varie città, nel 26 a Reggio Emilia e il 29 a Milano e a Sesto San Giovanni, con manifestazioni e cortei.  A seguito di ciò, nella serata del 29 aprile il Viminale proclamerà il divieto assoluto per qualsiasi manifestazione contraria al Governo, e come primo effetto di questo provvedimento si avranno numerose perquisizioni di sedi e tipografie con sequestri di materiale di propaganda.

Se era la prima volta, dopo la Liberazione, che i neofascisti erano determinanti nel sostegno a un Governo nazionale, così non può dirsi per le realtà locali. Infatti ben 31 amministrazionilocali si reggevano o si erano rette in passato, grazie ai voti di consiglieri comunali del MSI, ad esempio in varie parti della Sicilia, a Roma, a Milano e a Genova. Già, proprio a Genova, c’era stata la Giunta comunale del sindaco Vittorio Pertusio che dal 1956 al 1959 si era retta con i voti determinanti del MSI e fra i consiglieri comunali DC vi era Gianni Baget Bozzo, che in anni successivi diverrà consigliere politico prima di Bettino Craxi e poi di Silvio Berlusconi.

Va inoltre ricordato che la gran parte degli organi di polizia dello Stato repubblicano avevano avuto un passato all’interno del regime fascista: su 64 prefetti in attività nel 1960, tutti tranne due erano stati funzionari del Ministero dell’Interno durante il periodo fascista; su 241 vice-prefetti, tutti avevano iniziato la loro carriera nella burocrazia del regime fascista; su 10 ispettori generali di PS, ben 7 avevano già operato sotto il regime di Mussolini; su 135 questori in attività nel 1960, ben 120 erano entrati in polizia sotto il fascismo. A dimostrazione, come scrisse Renzo Del Carria in “Proletari senza rivoluzione, dei limiti della guerra di Liberazione del 1943-45, che era rimasta una “rivoluzione interrotta” per non aver saputo “distruggere” lo Stato borghese-capitalista, che si era poi ricostituito in forma repubblicana e, grazie alla protezione degli USA, del Vaticano e degli industriali, riabilitando i resti dell’apparato burocratico statale fascista, la maggior parte dei quali passarono alla DC.

Il 14 maggio 1960 il MSI annunciò che il Congresso nazionale del partito si sarebbe tenuto a Genova, dal 2 al 4 luglio. Si trattava indiscutibilmente di una provocazione intollerabile per Genova, medaglia d’oro della Resistenza, città che aveva pagato un tributo altissimo in termini di partigiani uccisi o torturati dai nazifascisti. E nei giorni seguenti arrivò la notizia che a presiedere il Congresso del MSI sarebbe stato nientemeno che Carlo Emilio Basile, l’ex prefetto di Genova durante l’occupazione nazifascista, conosciuto come “il boia” per l’alto numero di atrocità commesse contro i partigiani e la classe operaia genovese. Uccisioni, arresti e torture di partigiani (ad esempio quelle praticate alla Casa dello Studente di corso Gastaldi, i massacri della Benedicta, di Barbagelata, della Val Trebbia, di Torriglia, del Turchino, la distruzione del villaggio di Cichero, ecc.) e della deportazione di massa il 16 giugno 1944 di quasi 1.500 operai delle fabbriche di Sestri Ponente e Sampierdarena (Siac, San Giorgio, Cantiere navale Ansaldo, Piaggio) nei campi di concentramento e al lavoro forzato in Germania, per rappresaglia contro gli scioperi dei giorni precedenti. Fra gli altri partecipanti al congresso del MSI erano annunciati anche Livio Falloppa, l’ex capo delle Brigate Nere della provincia di Genova, e Junio Valerio Borghese (quello del successivo tentativo fallito di golpe nel 1970), ex comandante della X Mas, che aveva operato in Liguria contro i partigiani.

Da quel momento a Genova e in varie città italiane iniziò a formarsi un ampio movimento antifascista che portò a scioperi e grandi manifestazioni di piazza contro il Governo Tambroni e i neofascisti, in un crescendo continuo.

Il 6 giugno, su impulso dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) e insieme a PCI, PSI, PRI, PSDI e Partito Radicale, venne costituito a Genova un Coordinamento Antifascista, con il compito di coordinare tutte le iniziative politiche e di piazza per opporsi al preannunciato congresso del MSI. E in quella occasione fu redatto unitariamente il famoso manifesto: “MSI = Fascismo, Fascismo = Nazismo, Nazismo = camere a gas”, che verrà affisso in tutte le città italiane.

In precedenza, il 2 giugno, si era svolto un importante raduno di ex partigiani a Pannesi, frazione di Lumarzo, nell’entroterra genovese, presente Umberto Terracini, dove si era deciso di impedire l’inaugurazione della nuova sede del MSI di Chiavari, prevista per il successivo 19 giugno. E così fu: una grande folla di lavoratori e cittadini impedì quell’evento, bloccando tutte le vie di accesso alla sede, nella quale rimasero rinchiusi 5 missini, che solo in tarda serata poterono uscire, e solo grazie all’intervento della polizia che li scortò per un tratto di strada.

La mattina del 25 giugno i portuali genovesi scioperarono e formarono un corteo, che partito dal porto si concluse al Sacrario dei Partigiani in via XX Settembre. Contemporaneamente un corteo di centinaia di studenti e professori, partito dalla Facoltà di Scienze, giunse alla Casa dello Studente. Nel pomeriggio si svolse un altro corteo con un migliaio di giovani, che verranno caricati poi dalla Celere in via XX Settembre, dando vita a violenti scontri che proseguirono fino a tarda sera.

Il 28 giugno in 30 mila parteciparono al grande comizio di piazza della Vittoria tenuto da Sandro Pertini, che chiese esplicitamente la messa fuorilegge del MSI. Altre manifestazioni analoghe si svolsero a Savona, Vado Ligure, Casale Monferrato, Novara, Padova, Bologna, Ravenna, Torino.

La Camera del Lavoro di Genova proclamò lo sciopero generale per il 30 giugno.

Si arrivò così al 30 giugno, quando durante la giornata si svolsero manifestazioni, comizi e cortei antifascisti in molte città: Alessandria, Reggio Emilia, La Spezia, Savona, Sarzana, Roma, Torino (dove ci saranno scontri con la polizia), e in altre città.

A Genova tutta la città partecipò allo sciopero generale fin dalla mattina: fabbriche, autobus, tram e taxi tutti fermi, e negozi chiusi. Fu la paralisi totale.

Da via Balbi, sede della Camera del Lavoro di Genova, partì un grande corteo di oltre 100 mila manifestanti, con alla testa i gonfaloni delle città decorate per la Resistenza. Il corteo attraversò via XX Settembre per l’omaggio al Sacrario dei Partigiani e si concluse alle ore 17 in piazza della Vittoria, dopo il comizio conclusivo di un dirigente dell’ANPI genovese.

Sulla strada del ritorno, circa 300 manifestanti decisero di sostare in piazza De Ferrari, la piazza centrale di Genova, in maniera del tutto pacifica. È a questo punto che, senza nessuna giustificazione, la Celere iniziò a caricare i manifestanti facendo caroselli con le jeep. La folla fu dapprima dispersa nelle vie intorno alla piazza ma con l’arrivo di altri manifestanti iniziarono gli scontri. Contro la polizia venne lanciato di tutto: pietre, cartelli pubblicitari, sedie e tavolini dei bar, travi di legno, bottiglie, vasi.                 La polizia sparò all’impazzata e ad altezza d’uomo lacrimogeni ma anche proiettili di pistola. Quattro jeep della Celere vennero bloccate e incendiate nelle vie adiacenti.

Solo alle ore 20 gli scontri cesseranno, dopo che la polizia inizierà a ritirarsi, portandosi dietro una sessantina di arrestati. In tarda serata la Camera del Lavoro proclamò un nuovo sciopero generale per il 2 luglio.

Come ricorda Philip Cooke in “Luglio 1960: Tambroni e la repressione fallita”, dai giorni e mesi precedenti erano giunti a Genova ben 3.460 poliziotti (da 800 che erano a inizio anno) e 2.336 carabinieri (da 300 che erano), con l’intento di sedare ad ogni costo le manifestazioni.  Vi era quindi il rischio reale di una escalation repressiva.

Il giorno seguente, il 1° luglio, si svolsero in tutte le città italiane scioperi e cortei di solidarietà per i fatti di Genova: da Venezia a Pisa, da Livorno a Palermo, da Torino a Roma. Si calcola che 500 mila lavoratori fossero pronti a scendere in piazza per lo sciopero del 2 luglio. È a questo punto che il Governo Tambroni capisce di avere perso la partita e alla mezzanotte del 1° luglio dirama un comunicato ufficiale che revoca l’autorizzazione al MSI a tenere il proprio Congresso a Genova. Lo sciopero generale viene allora revocato. Il congresso del MSI a Genova non si farà più!

Nei dieci giorni seguenti centinaia di città italiane, grandi e piccole, manifesteranno contro il Governo Tambroni e la sua politica: in particolare, a Reggio EmiliaPalermo, Licata e Cataniala dura repressione della polizia provocò complessivamente la morte di 12 manifestanti.

La lotta delle masse popolari bloccò così il tentativo reazionario di ridare cittadinanza ai fascisti, a riprova del forte sentimento antifascista ancora presente e della convinzione diffusa che dietro ai fascisti ci fossero a sostenerli i padroni, la polizia e il Governo. Non a caso, da questi fatti la borghesia (e poi anche il Vaticano) si convinse che era diventato necessario “aprire a sinistra” al PSI, isolando il PCI, con l’intento di imbrigliare le masse nel sistema capitalista, facendo a meno, almeno temporaneamente, del MSI. Il 19 luglio il Governo Tambroni si dimette e gli succederà un Governo monocolore DC presieduto da Amintore Fanfani, con l’appoggio esterno di PSDI, PRI e PLI e l’astensione del PSI. Diverrà noto come il Governo delle “convergenze parallele”, antesignano dei Governi di centrosinistra con la partecipazione organica del PSI.

Ma l’intento di imbrigliare le masse non fu realizzato, perché il 1960 dei “ragazzi con le magliette a strisce” diverrà l’inizio di una nuova stagione di lotte.

Sui fatti del giugno e luglio 1960 va infatti ricordata la grande partecipazione dei giovani (i “ragazzi con le magliette a strisce”) a quelle giornate, che per tanti di loro rappresentarono la prima vera esperienza politica, e che contribuirono a politicizzarli per gli anni seguenti.

Va inoltre ricordato il ruolo positivo svolto allora dall’ANPI, sulla spinta della componente più proletaria e classista, e la grande solidarietà popolare verso i compagni arrestati. Dei circa 60 arresti iniziali, saranno 43 quelli confermati (36 a piede libero e 7 detenuti) che finiranno a processo nel 1962 a Roma. Ricorda Philip Cooke (pagg. 184-185) che per tutto il periodo di detenzione l’ANPI si attivò in un intenso programma di assistenza: vennero raccolti soldi per pagare le spese dei processi e per portare viveri e sostegno ai detenuti. Purtroppo ciò non bastò a evitare la condanna a 41 dei 43 imputati. Per una decina di loro ci fu la condanna alla reclusione (da un minimo di 11 mesi a un massimo di 5 anni), per gli altri pene minori. E per i morti di Reggio Emilia (da cui la famosa canzone di Fausto Amodei), Catania, Palermo e Licata, nei processi terminati quattro anni dopo, tutti i poliziotti coinvolti vennero assolti.

Ricordare oggi i fatti del 1960 e la giornata di Genova del 30 giugno che impedì ai fascisti di celebrare il loro Congresso, serve ovviamente prima di tutto per onorare i compagni morti in quelle giornate di lotta antifascista, e per ricordarci quanto sia indispensabile mantenere sempre attiva una politica militante antifascista e anticapitalista. Perché non va mai dimenticato, tanto più rispetto ai vari sdoganamenti, anche nel centrosinistra, di equiparazione tra i partigiani e “i ragazzi di Salò”, e alle tante espressioni fascisteggianti tra gli esponenti delle destre reazionarie, che i fascisti sono e saranno sempre lo strumento di repressione “non ufficiale” (e di scorta) della borghesia, utili per fare il lavoro sporco, e come tali protetti da apparati dello Stato, a vari livelli.

Giugno 2020

Bibliografia:

  • Riccardo Navone, “30 Giugno. La Resistenza continua”, ed. COEDIT, 2009
  • Philip Cooke “Luglio 1960: Tambroni e la repressione fallita”, Teti Editore, 2000
  • Renzo Del Carria, “Proletari senza rivoluzione”, volume V, ed. Savelli, 1977
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