Pubblichiamo questo interessante articolo da ytali.com, l’impostazione generale non è da me condivisa, ma da elementi interessanti per capire il fenomeno Zaia. (Saurodgb)

La popolarità del presidente del Veneto va molto oltre il suo perimetro politico e quello territoriale, e quindi piace anche nel centrosinistra. Per

merito di una narrazione alimentata da chi dovrebbe opporsi a lui o essere la sua spina nel fianco. 

Scritto da GUIDO MOLTEDO 

La popolarità di Luca Zaia non fa che crescere. È già talmente alta che una componente molto rilevante del sostegno di cui gode deve essere necessariamente di elettori del centrosinistra. Addirittura, lui, autonomista, “alla catalana”, è popolare anche fuori del Veneto ed è da tempo considerato un leader di vaglia nazionale, in grado di ricoprire il ruolo di ministro di prima fascia se non di presidente del consiglio, in un ipotetico governo di “unità” nazionale.

Un fenomeno politico-mediatico senza precedenti. Senza precedenti soprattutto perché è il primo personaggio politico a godere di una tale larga popolarità, anche nel mondo progressista, non essendone parte ma essendo addirittura esponente di spicco della destra, di una destra che predica un autonomismo regionale sconfinante nel separatismo.

Finora, infatti, tutti i leader positivi, nell’immaginario del centrosinistra, e in un gioco di reciproco rimbalzo, anche della Repubblica e in certe fasi di Corriere e Stampa, erano di quel campo: o per appartenenza e identità, come Berlinguer, o per cooptazione. Tra questi ultimi spicca il professore democristiano Prodi, e per un periodo breve i tecnocrati Dini e poi Monti, e oggi l’avvocato Giuseppe Conte. Gli ultimi tre benemeriti per essersi prestati a ribaltoni parlamentari organizzati per scongiurare un supposto collasso democratico, prima provocato da Berlusconi e più recentemente da Salvini.

Zaia invece assurge allo status di star a gratis, come si dice a Roma. Egli non ha reso servigi, neppure indirettamente, alla sinistra e o al centrosinistra. Evidentemente ha fatto e fa l’opposto.

Come avviene allora questo balzo verso la simpatia a sinistra? Con un’operazione fondamentalmente di ri-definizione del personaggio, non messa a punto e agìta da lui stesso, ma da coloro che avrebbero dovuto, almeno in parte, essergli contro o critici.

Un’operazione che oscura o espunge certi lati della sua politica e dei suoi decenni di potere, i lati del leghismo d’antan, che pure continua a esibire quando è dinanzi a una platea evidentemente leghista, performance non diverse da quelle del repertorio salviniano, con tanto di slogan pro pena di morte. È un’operazione che esalta un aspetto del personaggio. Un aspetto che in realtà ha a che vedere soprattutto con il suo temperamento – apparentemente ragionevole, tendente a smussare le asperità – e che consente di raccontarlo in modo politicamente simpatico.

È il ritratto dello Zaia democristiano. Infatti, a mo’ di complimento, il presidente leghista è da tempo definito democristiano o doroteo (i dorotei erano i diccì tipicamente veneti) per distinguerlo e distanziarlo dalla teppa salviniana e fascistoide, da cui ovviamente lui invece non ha mai preso le distanze né potrebbe prenderle, essendo quella la sua cultura, che neppure nelle sue origini politiche era democristiana, quando c’era ancora la la Dc. In altri tempi, detto da sinistra, democristiano sarebbe suonata una qualifica quasi oltraggiosa, o comunque dotata di un sottotesto poco elegante: clientele, favori, inciuci. Lui, l’etichetta di democristiano, non la rigetta, sembra anzi compiacersene, visto che funziona.

Diccì, quindi. Ok, non sarà uno dei nostri ma non è neppure uno di loro. Anzi, a dirla tutta, l’essere diccì lo rende più vicino a noi che a loro… Questo assunto consente anche di andare molto oltre, come si vede in questi giorni.

Sulla stampa nazionale è un rincorrere Zaia per avere lunghe interviste, rilanciare sue dichiarazioni. Imbarazzante l’ultima intervista sul Fatto, di Selvaggia Lucarelli, un soliloquio vanaglorioso del ”Governatore” confezionato, si direbbe, apposta, per mettere a cuccia il dottor Crisanti, diventato star anch’egli, fino al punto da essere stato considerato in certi circoli romani come un possibile sfidante di Zaia nelle prossime regionali.

Certo è che, fuori della Regione, è legittimo non conoscere bene quel che è accaduto e accade davvero in Veneto, in quest’ormai lungo periodo di dominio zaiano, ed è dunque comprensibile che gli si sia stata cucita addosso un’immagine positiva. Molto peraltro è dovuto al confronto con la Lombardia, l’altra roccaforte, la principale, del potere leghista. Il Veneto, per contrasto, sembra il mondo ideale del buon governo, dimenticando che il resto dell’Italia, il vituperato Centro-sud, è andato molto meglio del ”modello Veneto”. Meno comprensibile che, localmente, il presidente – che tutti chiamano Governatore (de che?) – non abbia ormai nessun tipo, non diciamo di opposizione, ma di attenzione critica.

I giornali locali dovrebbero essere la spina nel fianco di un presidente leghista o svolgere almeno un po’ la funzione di osservatori attenti del potere. Di fatto – in particolare i quotidiani del gruppo Gedi: Tribuna/Nuova/Mattino – a volte sembrano la cassa di risonanza del presidente veneto, anzi di ”Luca”, come gli si rivolge confidenzialmente nei suoi corsivi di prima pagina – Diario di bordo – il direttore dei tre quotidiani veneti, Paolo Possamai.

Il corsivo è un genere giornalistico polemico, un pezzo breve e graffiante. Ultimamente se ne sono letti diversi – nella serie Diario di bordo – che ne rovesciavano questa sua funzione propria, di sbertucciamento del potere. Come fa notare un lettore della Nuova, Loredano Tessitore, in una lettera al direttore (non pubblicata):

Il mio ricordo va al corsivo che appariva quotidianamente su “L’Unità – Quotidiano del Partito Comunista Italiano” e firmato da Fortebraccio. Quel giornalista tendeva ad attaccare a viso aperto – partendo dalle proprie convinzioni – i vari avversari che riscontrava […]. Era un corsivo di attacco, di denuncia, non di elogio verso un dirigente … “gigantesco”, fosse anche il Segretario Generale del PCI.

Ma anche se sbagliassi, qualora anche gli scritti di Fortebraccio abbiano “incensato” i vari Togliatti, Longo e Berlinguer più volte, ebbene anche in questo caso direi che il Diario di Bordo di oggi è fuori luogo perché corsivo di un “Quotidiano d’Informazione” non di un ”Quotidiano di Partito”.

Che cosa ci sia dietro questo incensamento di Luca Zaia – con i suoi rimbalzi oltre il Veneto (va tenuto presente che diversi articoli dei giornali locali del gruppo Gedi sono pubblicati anche dalla Stampa) – può avere una spiegazione banale. Vendere giornali in un momento in cui la stampa locale rischia letteralmente l’estinzione. Raccontare Zaia, elevarlo al rango di star bypartisan, raccontare il suo Veneto, può essere un buon espediente per restare a galla, sapendo che nel peggiore degli scenari sarà rieletto a furor di popolo per un altro mandato e nel migliore degli scenari farà il grande balzo a Roma.

Evidente e vecchio come il cucco, invece, il calcolo di chi, a Roma, non fa il minimo sforzo per capire che cosa succede un metro fuori Montecitorio e alimenta il culto di Zaia, secondo il consueto schema di gioco del creare discordia nel campo di Agramante. Il conflitto Salvini-Zaia ha tutti gli ingredienti per essere – già lo è – uno di quei duelli che tanto piacciono ai media. E può essere il passaggio preliminare per un chiarimento nella Lega tale da consentirne l’ingresso – con il volto presentabile di Zaia – in un eventuale governo di larghe intese.

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