In ogni caso, i fatti hanno la testa dura: da quel momento (o meglio, dal giorno dopo) è iniziata la “soluzione finale” preparata dall’estrema destra sionista per la “questione palestinese”. Che fosse un’operazione totalmente avventurista (nella migliore delle ipotesi, perché ci sono legittimi sospetti che ci sia di peggio) alcuni, nella “compagneria”, lo dissero da subito. Qualcun altro, non solo tra gli islamisti ma pure in settori che si definiscono di sinistra, salutò allora, e continua pervicacemente oggi, nonostante il disastro sia sotto gli occhi di tutt*, a vedere nella sciagurata operazione un improbabile “inizio della rivoluzione palestinese” (sic!). Per ricordare quell’avvenimento pubblichiamo questo intervento di Mario Gangarossa. [FG]

Tra le vittime del 7 ottobre vorrei ricordare i 21, braccianti e operai, thailandesi.

Migranti alla ricerca di un posto dove potersi guadagnare il pane, come tutti i proletari fanno inseguendo il capitale dove i padroni hanno deciso di investirlo.

Effetti collaterali di una guerra a cui erano estranei.

Ce ne sono 30.000, sfruttati e sottopagati, in varie aziende agricole remote e desertiche di Israele. 5.000 ai confini con Gaza.

Non sono “coloni” ma dai coloni, “imprenditori agricoli” come si direbbe dalle nostre parti, vengono utilizzati come bestie da soma e da lavoro.

Non sono nemmeno clandestini visto che, Bangkok e Tel Aviv, hanno firmato un accordo che ne regola l’emigrazione e lo sfruttamento.

Una presenza irrilevante e senza voce.

Proletari senza patria e senza “coscienza nazionale”.

Non contano nulla.

E se anche ci provassero a contare qualche “rivoluzionario” gli spiegherebbe che non è tempo di “lotta di classe”.

Che si preoccupino piuttosto della “democrazia” del loro paese.

E delle ingerenze imperialiste che ne mutilano la sovranità.

Io li sento vicini e comprendo la loro condizione più di quanto non mi senta vicino ai combattenti di Hamas che li hanno trucidati, “per errore” s’intende.

Che in fondo quando si ammazzano i proletari lo si fa sempre per errore.

Ma io sono un “vecchio pazzo rincoglionito” come si può evincere leggendo qualche commento presente anche sulla mia pagina.

E non riesco a capire come quella montagna di morti, in massima parte proletari, o come si dice ora, poveracci senza risorse che non siano solo le loro inutili braccia, possa rappresentare “un passo avanti” nella storia dell’emancipazione degli sfruttati.

E quelle tende sul bagnasciuga dove si affollano gli ultimi sopravvissuti di un genocidio previsto e voluto possano rappresentare l’inizio di una nuova epoca di rivoluzioni.

Mi rimane solo la consolazione di aver indicato fin dal primo giorno, alle vittime e ai carnefici, la strada della fuga.

Della diserzione da una guerra folle e senza prospettive.

Che mi permette di guardare l’eccidio del popolo di Gaza senza sentirmene responsabile.

Ci sono i proletari in Palestina. Ci sono i proletari in Israele.

Anche se, oggi, non gliene fotte nulla a nessuno, è questo che conta.

Se vogliono sopravvivere devono imparare, a pensare e agire da proletari e non da “popoli”. Uniti contro il comune nemico.

E lo impareranno al prezzo di montagne di cadaveri.

Perché si impara dalle tragedie.

E siccome non hanno imparato nulla da cento anni di sconfitte, ce ne vorranno altri cento.

Tenetevi la vostra retorica e i vostri schemini interpretativi senza i quali non riuscite a capire nemmeno dove state di casa.

Ma non raccontateli a me.

Andate a raccontarli a Gaza e anche, se avete un po’ di tempo, a quei 30.000 braccianti, e operai tailandesi.

Andate a fare li le vostre guerre.

Mario Gangarossa


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