La pioggia era caduta tutta notte, con la stanca ma inesorabile insistenza tipica della più umida delle precarietà. Il tempo, o quello che ne rimaneva, si stava liquefacendo a gocce e Mustafà, fermo e insonne, ne stava controllando tutto il deflusso. Era davvero fermo, Mustafà, e di tanto in tanto girava lo sguardo fuori dalla finestra: il buio non si era ancora arreso del tutto e intorno al lampione l’acqua obliqua aggiungeva tristezza al silenzio d’attesa. Poi, quasi ritmicamente, tornava a guardare Karima stesa sul letto ancora vestita accanto ai bambini che dormivano abbracciati per rubarsi semplicità o donarsi un po’ di calore. Si era arresa al sonno poco dopo di loro, anche se la sua volontà era quella di vegliare con il marito quest’ultima notte di tregua, quest’ultima tregua che oramai adesso era agli sgoccioli.
Non sapevano a che ora sarebbero venuti a sgomberare l’appartamento, sapevano solo che sarebbero certamente arrivati quella mattina. Mustafà non lavorava oramai da un anno e da sei mesi non pagava l’affitto. Preferiva, con gli spiccioli che riusciva a racimolare, sfamare i bambini. Quando l’avevano licenziato, senza alcun preavviso, era una mattina piovosa come questa e c’era la stessa luce di nessuno, come oggi. Anche allora il destino era in agguato ma, a differenza di questo giudiziario, era scoppiato all’improvviso come un urlo secco, una porta sbattuta senza motivo vero e una manciata di banconote d’addio o di uscita, nemmeno buona. ‘Non farti vedere più, di te non abbiamo più bisogno’. Il sorriso del giorno prima era diventato uno sguardo senza occhi, come quello di adesso.
Si era chiuso nella vergogna incamminandosi curvo verso la fermata dell’autobus con questa verità di vetro pesante da portare a casa. Si era fatto il silenzio dentro di lui, un silenzio appiccicoso che continuava tuttora mentre aspettava che la pioggia gli accompagnasse in casa volti e gesti di disbrigo, di distanza ostile, di fretta d’allontanamento.
Fin da allora, da quell’altra mattina sbagliata, Karima aveva capito e accettato il tempo ammutolito del suo uomo, ferito di suo e colpito ancora. Come quando gli dicevano che era troppo lento o troppo impreciso. Sconfitto dal suo fuggire, dal suo cammino senza suolo e sconfitto ancora dalla sua povertà straniera, dal velo dignitoso del suo tempo che diventava remoto senza che nessuno se ne accorgesse. Che è già remoto quando comincia a scorrere.
Questa mattina Mustafà, Karima e i loro piccoli erano in attesa, senza essere pronti, dello sgorgare di un nuovo tempo, dell’incedere di un altro esodo e del procedere di un ennesimo esilio.
Non aveva ancora smesso di piovere quando arrivò il cerimoniale metallico dello sgombero. Brutale, come i lampeggianti blu e l’intimazione di aprire. Karima aveva abbracciato i figli, come se quell’arrivo ruvido della realtà fosse una sorpresa, come se il risveglio pigro e piagnucoloso dei piccoli infreddoliti potesse impietosire, come se la legge non fosse uguale per tutti i deboli, ma solo per loro. Come se la povertà, come dicono qui in Occidente nelle chiese della domenica, fosse veramente degna di attenzione, di aiuto e rispetto.
Secche come un ramo che si spezza, arrivavano le parole della fretta di trasloco, di sgombero della pace. Di una dimora diventata per povertà intrusione di nuovo clandestina, occupazione indebita. Esistenza indebita.
‘Avete un’idea di dove andare?’ Mustafà non aveva risposte e nemmeno si chiedeva più dovecercarle. La sua mente era diventata muta come la sua lingua e gli venne in soccorso Karima che scese dal letto dicendo, fiera come non lo era mai stata: ‘Certo che lo sappiamo. Usciremo di qua, ma non ci sposteremo. Continueremo a stare in esilio, che è il posto più affollato di questo mondo e resteremo con la nostra gente, con la sua fratellanza, la sua umanità. Per noi non cambia nulla’.
Giuseppe Raspanti, scrittore e saggista, è nato nel 1953 a Mantova dove, negli anni ’70, si è occupato di rassegne di teatro e musica contemporanea per il Circolo Ottobre.

Dal 2005 vive nel bresciano svolgendo varie attività.. Come giornalista sportivo, ha collaborato con il Giornale di Brescia e con Bresciaoggi in ambito cestistico, nel quale ha ricoperto per due mandati la carica di vicepresidente provinciale FIP. In ambito teatrale, ha fondato e diretto il gruppo ‘Irimbalzi’ che ha portato in scena diversi suoi testi (Diagonale, Zitti, Milena). L’esordio nel mondo letterario è del ‘13 con la raccolta di racconti Fabbriche nella notte (ed. Aveit). Nel ’17 è poi uscito Il treno di Ignazio (la Quadra), mentre nel 2018 ha pubblicato L’ombra dei pesci(Altromondo) e nel ’19 L’ombra dei passi’ (la Quadra). Nel ’20 sono apparsi Carte di quarantena, in formato ebook, e l’antologia Respiri (Morcelliana) in cui sono presenti due suoi racconti.
Ha vinto inoltre, con diverse short stories, numerosi Premi Nazionali. Da qualche anno, pur continuando a scrivere, ha deciso di uscire dalla logica editoriale.
Dal 2017 è militante in Senza Confini e Solidarietà Attiva, due realtà che si occupano tra l’altro delle problematiche degli sfrattati e dell’accoglienza.