IL CONTRATTO ISTRUZIONE E RICERCA È
RINNOVATO. NON CI PARE UN SUCCESSO
Venerdì 11 novembre governo e sindacati hanno sottoscritto il rinnovo del contratto scuola, università, Afam ed enti di ricerca, scaduto a fine 2018. Le lavoratrici e i lavoratori riceveranno una prima parte di aumenti stipendiali e arretrati nella busta paga di dicembre 2022. Fin qui tutto bene, ma è davvero così?
Vediamoci più chiaro. Il segretario FLC aveva indicato un divario da colmare di 350 euro mensili, rispetto l’Europa e gli altri settori pubblici. Noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di un aumento anche più consistente, per riportare le retribuzioni al valore reale del costo della vita, e soprattutto uguale per tutti/e, per salvaguardare i redditi più bassi (nel settore non distanti dalla soglia di povertà).
Gli aumenti sono in realtà insufficienti. E anche gli arretrati, se guardiamo alle cifre nette e pensiamo che sono relativi a due anni pieni e altri due parziali. È evidente che comunque saranno una boccata di ossigeno in questo inverno di guerra, ma questo non toglie che ancora una volta un vero riconoscimento salariale non ci sia stato. L’aumento medio complessivo (con i soldi che arriveranno nella seconda parte del contratto, nei prossimi mesi) sarà comunque sotto i 120 euro medi lordi per il personale scolastico (più o meno al 5%): lontano dagli obbiettivi e con un’inflazione di gran lunga maggiore (per l’Istat oggi al 12,8%).
Inoltre, sono stati riconosciuti aumenti molto diversi tra i settori (scuola 5%, università sopra al 6%, nella ricerca al 9%): invece che unire, si è proseguito a dividere, aumentando le divergenze tra i salari. La seconda puntata del contratto, poi, riguarderà tutta le regolazione del lavoro (la parte normativa): vedremo se e come si riuscirà a intervenire su aspetti fondamentali (DAD, inquadramenti ATA, parificazione dei diritti per i precari, ecc). Valditara si propone infine di portare avanti il merito, in continuità con i governi precedenti, tanto da averlo inserito nella denominazione del suo ministero: un merito quindi che, dopo il docente stabilmente incentivato dei decreti estivi, rischia di entrare anche nel contratto in questa seconda parte della trattiva.
Davvero questo era il massimo che si poteva ottenere? Come Flc Cgil abbiamo scioperato lo scorso dicembre e a fine maggio: la prima volta con un’adesione vicina al 10%, la seconda con oltre 200.000 insegnanti e ATA nelle piazze. Il governo ha dovuto quindi prevedere i famosi 300 milioni in più per i contratti ed oggi ne ha aggiunti altri 100 una tantum (circa 20 euro medi lordi mensili, superando così le famose tre cifre promesse da Conte e Bussetti nel 2019). Abbiamo scioperato due volte, abbiamo ottenuto qualcosa (scioperare serve!), ma si poteva e doveva fare di più: anche in questo autunno, anche contro questo nuovo governo.
Dopo 4 anni di attesa, con l’attuale costo della vita (le bollette, la benzina e i generi alimentari), con la prospettiva che aumenti ancora (come dice la BCE), questo risultato ci pare infatti davvero magro. Il possibile taglio del cuneo fiscale, ventilato dal governo, riporterà qualcosa nelle buste paga, ma a nostre spese, perché la riduzione della tasse ricadrà sulla spesa pubblica, cioè come al solito sui servizi (scuola, sanità …).
Avevamo sottoscritto l’ultimo rinnovo nel 2018, con soli 85 euro dopo dieci anni e la promessa di vedere riconosciuti dei veri aumenti in questo contratto. Si rimanda ancora. Per questo lo riteniamo un brutto accordo e così ci esprimeremo negli organismi FLC come nelle assemblee di lavoratori e lavoratrici del comparto.
LE RADICI DEL SINDACATO. Documento Alternativo al XIX congresso CGIL

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