di Andreu Coll
Responsabilità condivise
“Ma molti democratici russi temevano anche che l’espansione della NATO avrebbe escluso la Russia dall’Europa, emarginata politicamente e ritenuta indegna di far parte del quadro istituzionale della civiltà europea. L’insicurezza culturale si è aggiunta alle paure politiche, facendo sembrare l’espansione della NATO il culmine della vecchia politica occidentale di isolare la Russia, lasciandola sola al mondo e vulnerabile ai suoi numerosi nemici. Inoltre, i democratici russi semplicemente non sono riusciti a cogliere né la profondità del rancore dei centroeuropei per mezzo secolo di dominio di Mosca, né il loro desiderio di far parte di un più ampio sistema euro-atlantico”. [Zbigniew Brzezinski, The Great World Board La supremazia americana e i suoi imperativi geostrategici, 1997.] Prima dello scoppio della guerra, quando la pressione di Putin per costruire un’enorme forza di combattimento lungo i confini ucraini fece capire chiaramente che sarebbe successo qualcosa di grave ma era impossibile determinare esattamente cosa sarebbe successo, la corrente politica in cui milito ha approvato, nonostante non poche iniziali riluttanze, una dichiarazione (11) avvertendo che ciò che stava avvenendo non era teatro, ma un rischio di guerra imminente, e sottolineava gli antecedenti storici, nel contesto dell’instabilità geoeconomica e geopolitica che ha presieduto alle tensioni del momento —rendendo la situazione particolarmente pericolosa—, nel ruolo sia della ricostruzione dell’imperialismo russo che dell’accerchiamento operato dalla NATO contro la Russia per trent’anni (12) e che ha contribuito ad alimentarlo e, non ultimo, chiamato le forze progressiste e pacifiste a mobilitarsi preventivamente contro un più che probabile conflitto armato (13). Situare nel responsabilità del Trattato di Versailles (con la sua colpevolizzazione esclusiva della Germania per la Grande Guerra, il suo soffocamento economico per le riparazioni e alcune perdite territoriali) nell’alimentare il risentimento nazionalista della Germania di Weimar contro la sinistra e l’Intesa (e in particolare la Francia di Clemenceau ) non equivale a giustificare il nazismo, ma a capire che non solo aveva colpevoli all’interno della Germania, ma anche all’esterno. Ricordando oggi le umiliazioni imposte dai paesi capitalisti all’ex URSS, la loro complicità nei loro saccheggi mafiosi e oligarchici (subiti sia dalla Russia che dall’Ucraina), il sostegno ad azioni ben poco umanitarie e democratiche come il bombardamento del Soviet Supremo – allora il primo parlamento pienamente eletto nella storia del paese – da parte di Eltsin nel 1993 per coronare una restaurazione capitalista autoritaria o la sua benevolenza di fronte agli assalti “antiterroristici” di Eltsin (1994-1996) e Putin ( 1999 -2009) [14] contro la Cecenia in nome della “difesa dell’Occidente”… non equivale a giustificare il militarismo dispotico di un grande Bonaparte russo come Putin, ma ad analizzare le responsabilità condivise nella sua genesi. Solidarietà con il popolo ucraino…ma ad occhi aperti! (Gli anni Novanta: mai più! Adagio popolare russo).
Né si può dimenticare che il caotico smembramento dell’Unione Sovietica —perpetrato contro la volontà della maggioranza della sua popolazione, manifestatasi in un referendum tenutosi poco tempo prima— dai settori più filocapitalisti delle principali repubbliche dell’URSS, in quella che Poch de Feliu chiama giustamente la “cospirazione di Belavezha”(15), portò a un drammatico collasso economico in tutte le ex repubbliche sovietiche (coronate dal crollo finanziario del 1998 (16), ma particolarmente acuto in Ucraina, cosa che, insieme alla la divisione interna delle oligarchie ucraine post-sovietiche, ha avuto terribili conseguenze per quel Paese (l’unica ex repubblica sovietica che oggi ha ancora un PIL pro capite inferiore a quello dei tempi dell’URSS) e particolarmente destabilizzante (17). Il fatto che un settore fosse orientato verso Mosca e l’altro verso l’Unione Europea costituiva un fragile equilibrio politico (18), economico e culturale in un Paese molto diversificato e tormentato dalla sua storia (onorandone il nome: “terra di confine”, grande pianura contesa tra imperi e potenze rivali fin dal medioevo). Questo equilibrio si ruppe dopo la rivolta del 2014, quando Yanukovich si ritirò dal protocollo di relazione con l’Unione Europea quando quest’ultima lo ricattò, costringendolo a rompere tutti i rapporti commerciali con la Russia per avvicinarsi all’UE (19). Il ritiro dell’accordo fece esplodere l’autentica rivolta democratica e anti-oligarchica che avrebbe portato a Euromaidan. Come è noto, lo sviluppo del movimento vedrà un aumento della repressione poliziesca fino a culminare, nella notte del 22 febbraio 2014, in un massacro che metterà fine alla vita di oltre 60 persone (tra manifestanti e poliziotti antisommossa). ) da cecchini appostati su un tetto. Ad oggi gli autori della strage non sono stati ancora identificati, tra l’altro perché le nuove autorità non hanno mai avviato un’indagine sui fatti (20). Questo massacro portò alla caduta di Yanukovich e all’ascesa al potere di governi non meno oligarchici e che, purtroppo, furono capaci di fomentare un nazionalismo ucraino in processo di radicalizzazione per nascondere l’incapacità della rivolta di Maidan di introdurre cambiamenti strutturali ugualitari e un significativo approfondimento della democrazia (21). Inoltre, oltre ad essere nazionalisti, erano filo-NATO e apertamente anti-russi. Sfortunatamente, il governo Poroshenko ha calpestato alcuni diritti culturali e civili della popolazione russofona, imposto leggi sulla decomunistizzazione nel 2015 – compreso il divieto del partito comunista (22), forza che aveva il 14% di sostegno elettorale nonostante fosse dominata da una fazione oligarchica, come , d’altra parte, sono tutti i principali partiti del paese – e hanno reso l’ultranazionalista filonazista – e, in tempo di Guerra Fredda, protetto dalla CIA per lanciare una guerriglia antisovietica nell’Ucraina occidentale – Stepan Bandera un eroe nazionale (23), che aveva creato unità militari che avrebbero combattuto fianco a fianco con la Wermacht quando quest’ultima iniziò l’invasione dell’URSS nel 1941. L’arrivo di questo cambio di governo, con una crescente emarginazione delle forze progressiste per mano di partiti liberali, le ONG finanziate dall’Occidente e, non da ultimo, le proto-milizie di estrema destra che avevano guadagnato prestigio dagli scontri di Maidan — e che erano riuscite a integrarsi nell’apparato repressivo e militare dello Stato ucraino e a collocare molti dei loro membri in alcuni ministeri chiave — provocarono, a loro volta, una rivolta della popolazione contraria alla rottura dei rapporti con la Russia e timorosa della crescita dell’ultranazionalismo ucraino. È importante sottolineare che, seppur fortunatamente il peso elettorale dell’estrema destra ucraina sia inferiore a quello di altri paesi, si registrano tuttavia due dinamiche molto preoccupanti: c’è un’enorme porosità tra questo settore e i settori liberali (non c’è prevenzione contro di loro nel mainstream del tipo “cordon sanitaire”, per quanto ipocrita possa essere in altri paesi) e sono riusciti a far entrare alcuni dei loro slogan nel “buon senso” (in senso grammaticale) di buona parte della popolazione dell’Ucraina occidentale (24). In questo contesto, la popolazione contraria alla svolta antirussa ha subito anche una sanguinosa repressione da parte di settori di estrema destra di fronte alla totale acquiescenza dell’apparato repressivo: la morte di 46 manifestanti “AntiMaidan” bruciati vivi impunemente nella sede sindacale di Odessa, dove avevano cercato di proteggersi da un attentato con bombe molotov da parte di hooligan calcistici ultranazionalisti e gruppi di estrema destra come Pravy Sektor e Svoboda (25), embrione di quello che sarebbe stato chiamato il Battaglione Azov, è stato il pretesto per la proclamazione delle repubbliche secessioniste del Donbas e l’annessione della penisola di Crimea da parte delle forze del Cremlino. È noto che la guerra del Donbas era già costata 14.000 morti prima dell’invasione ordinata da Putin (26). Il fatto che finora non ci siano state indagini ufficiali serie sui massacri di Maidan o Odessa, o sulle violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo nel Donbas (generalmente ignorate dai principali media occidentali) la dice lunga sul governo ultranazionalista di Petro Poroshenko e su suoi collaboratori come l’ex presidente georgiano antirusso, filo-NATO e con forti legami con l’apparato statale statunitense, Mikheil Saakashvili (27). Con la partecipazione alla guerra di unità militari come il battaglione Azov, composto quasi esclusivamente da neonazisti con assistenza e addestramento militare statunitense, da un lato, e non meno sinistri mercenari e gruppi di estrema destra e stalinisti controllati a distanza dal Cremlino, attraverso la manipolazione della rivolta anti-Maidan da parte dell’intelligence militare russa, mi sembra innegabile che negli ultimi otto anni ci sia stata un’intensa disputa inter-imperialista per il controllo geopolitico e geoeconomico del Paese, come Achim Engelberg fa notare correttamente (28). Nonostante la firma degli accordi di Minsk nel 2015, l’area non è mai stata completamente pacificata e, contrariamente a quanto concordato, il governo di Kiev ha rifiutato di concedere a queste regioni uno status speciale in grado di disinnescare il conflitto, sia a causa del crescente nazionalismo anti-russo così come dalle minacce dell’estrema destra contro coloro che osavano metterle in atto. Nonostante l’elezione a larga maggioranza, nell’aprile 2019, di Volodymyr Zelensky —un nazionalista ucraino più moderato, russofono e di origine ebraica con un presunto programma anti-oligarchia (29) più rispettoso della diversità del paese e conciliante in relazione al conflitto del Donbas (30)— avesse suscitato speranze di miglioramento, il suo programma includeva la volontà di integrare l’Ucraina nella NATO e la richiesta del ritorno della Crimea all’Ucraina, sapendo che entrambe richiedevano inevitabilmente un aumento della tensione con la Russia. Tutti i fatti fin qui riportati sono essenziali per valutare la concatenazione di fenomeni che hanno preceduto l’invasione del 24 febbraio e sono necessari per caratterizzare con precisione la guerra in corso. Il nostro dovere di solidarietà incondizionata con le vittime della guerra non ci obbliga in nessun caso a dimenticare che quanto accaduto in Ucraina dal 2014 non ha rafforzato i valori progressisti in quel Paese e che anche i suoi successivi governi non hanno brillato nel rispetto delle minoranze , né hanno sviluppato politiche che consolidino, a mio avviso, la sovranità, la coesione nazionale e una politica internazionale indipendente (31). A sua volta, non c’è dubbio che la Russia abbia perso influenza in Ucraina dal 2014 e che sia incapace di contrastare politicamente ed economicamente la crescente penetrazione occidentale nel paese: al Cremlino manca il “soft power” tipico dell’imperialismo occidentale in generale e americano in generale e non ha, diciamo, da offrire un modello di società attraente dal punto di vista economico (estrattivismo corrotto), politico («imitazione della democrazia» e autocrazia appunto) e sociale (una società con disuguaglianze quasi equivalenti a quelle degli Stati Uniti)—questo spiega in parte perché i suoi rapporti con l’Ucraina si sono mossi verso una diplomazia coercitiva prima nel 2021 e verso l’avventura militare lanciata il 24 febbraio dopo—così catastrofica, o forse più, per la Russia di quanto lo sia per l’Ucraina stessa —… con la vana illusione di raggiungere detti obiettivi. Tutto ciò è indiscutibile, ma non è meno vero che la Russia, a sua volta, da anni considerava l’integrazione dell’Ucraina nella NATO un casus belli (32). Quando il 22 dicembre 2014 la Rada (parlamento) di Kiev decise che l’Ucraina avrebbe abbandonato il suo status di paese non allineato e avrebbe iniziato il suo avvicinamento alla NATO, a mio avviso, era inevitabile che le relazioni con la Russia si deteriorassero (33) e, così facendo, le nuove élite post-Maidan, incoraggiate in questa decisione da Washington e rafforzate dalla crescente influenza ultranazionalista, stavano adottando una rotta di collisione che porta innegabilmente la loro parte di responsabilità per non aver evitato l’attuale catastrofe. Detto questo, ovviamente il discorso di Putin per giustificare la sua invasione facendo appello a un pericolo imminente per la sicurezza della Russia e proclamando che lo scopo della sua “operazione tecnico-militare” è quello di “liberare l’Ucraina da una banda di terroristi, tossicodipendenti e smilitarizzare e denazificare il Paese” è assurdo e delirante .. Inoltre, come è noto, a Putin non è mancato il tempo per attaccare la figura di Lenin, non solo per aver guidato la prima rivoluzione operaia e contadina di successo della storia, ma anche per aver contribuito a creare un’unione di repubbliche socialiste capace di rompere con la lunga tradizione dell’oppressione nazionale sotto lo zarismo e stabilire un quadro di cooperazione tra popoli uniti da un progetto politico comune basato sull’internazionalismo e sul diritto all’autodeterminazione delle nazionalità (34).
[continua]