di Gigi Marbas
Pubblico un interessante commento, preso dalla pagina Facebook dell’UAAR (l’Unione degli Atei, Agnostici e Razionalisti) sulla candidatura di una cittadina musulmana, credente e velata, alle comunali di Roma, da parte di una lista di “centro-sinistra”. L’unica modifica che ho apportato riguarda il termine “sinistra”, che ho virgolettato. Infatti non ritengo che lo schieramento di centro-sinistra, che grosso modo si potrebbe definire liberal-democratico, meriti questa definizione senza virgolette. Anche se, purtroppo, anche la sinistra cosiddetta “radicale”, sulla questione della battaglia per la laicità, zoppica e inciampa spesso (FG)
Naturalmente è un atto nobile e condivisibile dare rappresentanza politica alle italiane ed italiani di origine straniera. Mi chiedo però se la scelta debba sempre ricadere su persone che definiscono la propria identità attraverso il fondamentalismo e la cultura patriarcale che imprigiona i paesi di provenienza in un eterno medioevo. Forse che il privilegio di avere come rappresentanti delle donne laiche ed emancipate o addirittura atee (rombo di tuono) deve essere riservato solo agli italiani? Questo si chiama “razzismo delle basse aspettative”, perché al posto di quelle lugubri signore da esibire come trofei di una maldestra idea d’inclusione avrebbero potuto cercare fra le tante immigrate che sono venute in occidente anche per sfuggire alla cultura misogina e patriarcale che affligge la madrepatria e che ora se la ritrovano eletta in politica. Con un po’ di impegno si trovano perfino atee sfuggite a cupe teocrazie e/o perseguitate (anche in Italia) per aver rifiutato il velo od altri precetti misogini inventati dagli uomini.Gli stessi che criticano l’esibizione muscolare di simboli religiosi di Selfini ed il fondamentalismo bigotto omofobo e misogino del congresso horror di Verona candidano in scioltezza delle bigotte islamiche, portatrici di un’idea di famiglia patriarcale ed arcaica e di donna devota e sottomessa che anche nelle versioni più moderate ci riporta indietro di secoli. Dubito fortemente che avrebbero candidato con lo stesso compiacimento e leggerezza delle ultracattoliche che vivono la propria fede platealmente indossando permanentemente crocifissi e rosari e vestendo come le donne del medioevo. Intendiamoci, liberissime di farlo nel proprio privato, ma quando si candidano ad un ruolo pubblico diventa un atto politico e come tale può essere legittimamente criticato e giudicato senza doversi difendere dalle sempreverdi accuse di razzismo e xenofobia, perché la religione non è una razza. Occorre tenere ben distinto il rispetto dovuto alla persona dalle credenze che questa professa: queste ultime non meritano alcun “rispetto” a priori, perché qualsiasi credenza può essere criticata e persino derisa fino alla blasfemia. Chi non accetta questo principio ha l’onere di dimostrare perché le credenze religiose dovrebbero essere trattate con un riguardo maggiore di quello riservato alle credenze di qualsiasi altro tipo.Ancora una volta viene promosso ed istituzionalizzato uno dei più odiosi stereotipi contemporanei: la rappresentazione della donna musulmana velata (e quindi devota e sottomessa), ormai condannata a coprirsi il capo o addirittura il viso, non solo dalla sua religione intrisa di misoginia e cultura patriarcale, ma anche dai media e dalla politica che così la rappresentano e la desiderano. L’immaginario collettivo viene talmente saturato da rappresentazioni di donne sorridenti sotto quei lugubri capi che dimentica facilmente i milioni di donne musulmane che subiscono fin da bambine tremende pressioni psicologiche e propaganda religiosa per costringerle a vestirsi secondo precetti religiosi inventati dagli uomini. Chi di loro si ribella subisce gravi conseguenze che vanno dallo stigma sociale e rifiuto nelle famiglie e comunità, a vere e proprie repressioni come il carcere.Si tratta di una delle più gravi violazioni di diritti umani su scala globale presente a vario titolo anche nelle sempre più vaste e numerose comunità-enclave islamiche del libero occidente che avviene nel silenzio (quasi) assordante di chi storicamente si è fatto promotore di laicità, diritti delle donne e parità di genere. Invece che combattere e stigmatizzare l’ignoranza e la superstizione preferiscono assecondarla, promuoverla ed istituzionalizzarla, applicando una maldestra idea di inclusione ed un’ingenua tolleranza che spalanca le porte all’islam politico. Promuovono una falsa integrazione che in realtà rinchiude i migranti in un recinto identitario protetto da muri invisibili sempre più alti fatti di integralismo e precetti religiosi, condannandoli ad essere per sempre “diversi”.Piuttosto che affamare il mostro del fondamentalismo lo si alimenta con cibo sempre più nutriente ed appetitoso rendendolo più grande e forte e stimolando la nascita di altri mostri ancora più inquietanti e pericolosi.