di Angelica Lepori MPS-Ticino

Da un anno e mezzo il pianeta è attraversato da una crisi sanitaria devastante. Il Covid non è un semplice virus influenzale, ha provocato milioni di morti in tutto il mondo (solo recentemente l’UNICEF ha stimato l’esistenza di oltre un milione di orfani in Africa a seguito del Covid). Si tratta di una malattia che colpisce maggiormente (anche in Svizzera) i ceti sociali meno garantiti aggravando il divario tra ricchi e poveri. È importante quindi riconoscere la dimensione emergenziale nella quale siamo senza sottovalutare la gravità di questa malattia.

La gestione della pandemia in questo anno e mezzo è stata evidentemente fallimentare in tutti i paesi del mondo, compreso il nostro che vanta il record di mortalità in Europa con il Ticino ad essere uno dei primi della classe in questa triste classifica tra cantoni con il maggior tasso di mortalità.

Una gestione che ha affrontato la questione non in termini di salute pubblica, ma unicamente in un’ottica la cui maggiore e fondamentale preoccupazione è stata di non fermare la macchina produttiva e di sfruttamento capitalista.

Le attività produttive più importanti (grandi imprese e edilizia) non si sono praticamente mai fermate diventando spesso luoghi di contagio e di diffusione del virus. Le attività che hanno dovuto chiudere e gli indipendenti che si sono trovati senza lavoro non sono stati sostenuti con forme adeguate e reali di sostegno ai redditi persi.

Il telelavoro ha sicuramente permesso di evitare la diffusione del virus, ma ha anche sottoposto i dipendenti e le dipendenti a ritmi spesso massacranti, orari allungati e isolamento sociale.

L’obiettivo di fondo di quasi tutte le misure, adottate, anche quando sono state presentate come misure tese a salvaguardare la salute di cittadini e cittadine, era di fatto quello di permettere all’economia di continuare a funzionare e a chi detiene il capitale di continuare a fare profitti. Obiettivo del resto raggiunto: una gran parte delle aziende e delle multinazionali hanno fatto profitti esorbitanti, mentre il prezzo della crisi l’hanno pagato ancora una volta i lavoratori e le lavoratrici.

Tutte le decisioni prese dal governo miravano a sostenere la responsabilità dei singoli nella diffusione del virus: chi non porta la mascherina, chi non mantiene le distanze, chi crea assembramenti; senza mai considerare che nella stragrande maggioranza dei casi, sui luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici e in numerosi luoghi pubblici questa responsabilità individuale non poteva essere esercitata.

In tutto questo periodo non si è poi voluto garantire una vera possibilità di testare, e quindi di tracciare, i positivi; pensiamo, ad esempio, al rifiuto di testare periodicamente nelle scuole (pratica che ha permesso ad alcuni cantoni di eliminare l’obbligo della mascherina) o di introdurre test sistematici nelle grandi aziende o ancora di predisporre centri cantonali per l’esecuzione dei tamponi.

Il sistema sanitario, messo sotto pressione per un anno intero, si ritrova a operare con risorse limitate e sottoposto da anni a politiche di smantellamento e di privatizzazione che non fanno altro che peggiorare la qualità del servizio. Il personale è sottoposto a ritmi e condizioni di lavoro infernali e massacranti senza nessun riconoscimento salariale per il lavoro svolto.

Le scuole sono rimaste aperte, ma non hanno vissuto (come pretende il capo del Dipartimento) un anno “normale”: insegnare e andare a scuola con la mascherina non è normale, dover affrontare quarantene di didattica mista, colloqui e riunioni online non è normale. E a pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico, nessuno sa quale potrà essere il suo grado di “normalità” …

Ora siamo di fronte a una nuova situazione. La campagna vaccinale è cominciata, ma allo stesso tempo (ben prima di poter garantire una vera copertura vaccinale) si è riaperto praticamente tutto…perché l’economia doveva ripartire e i risultati di questa scelta sono ormai evidenti a tutti/e.

Il vaccino sembra essere una delle armi per combattere il virus, i primi risultati scientifici sembrano permetterci di sostenere che i vaccini funzionano e permettono di evitare forme gravi, ricoveri e decessi legati al Covid. La vaccinazione di massa in tutti i paesi del mondo potrebbe aiutare a sconfiggere, o per lo meno contenere, la diffusione di questo virus.

Sarebbe quindi importante che un numero massimo di persone scegliessero di vaccinarsi senza alcuna pressione, come un atto di salute pubblica e non come un mezzo per poter continuare poi a godere della “libertà” (di consumare e essere sfruttato).

Gli scettici del vaccino (soprattutto le persone giovani o quelle maggiorente fragilizzate) vanno ascoltati e consigliati. Diventa importante offrire a tutti e tutte la possibilità di discutere e capire come e perché vaccinarsi (non è un caso che i primi dati a disposizione dimostrano che le persone che non sono ancora vaccinate o iscritte sono persone che appartengono alle fasce più deboli della società e che hanno meno accesso ai mezzi di comunicazione e informazione). Questo lavoro richiede risorse e tempo e non può essere evitato imponendo il vaccino attraverso la promessa di poter accedere ai ristoranti, al cinema agli spettacoli o alla possibilità di andare in vacanza.

In realtà, anche in questo caso la campagna di vaccinazione è stata condotta mirando essenzialmente alla responsabilità individuale, senza permettere ai cittadini e alle cittadine di discutere seriamente, di informarsi e decidere in coscienza.  I paesi dove la campagna vaccinale ha funzionato meglio sono quelli che hanno puntato sulla prevenzione, sulla medicina di prossimità e non sull’obbligo. Si tratta quindi di mettere in gioco i medici di famiglia, i pediatri e i centri medici per informare e rassicurare. La discussione sull’obbligo vaccinale non fa altro che infuocare un clima sociale e politico già incandescente e dar visibilità e sostegno alle più svariate e deliranti teorie complottiste, negazioniste che inneggiano alla libertà contro una fantomatica dittatura sanitaria. Posizioni, anche queste, che si basano in realtà sulla scelta individuale e rifiutano di considerare la lotta alla pandemia come una questione di salute pubblica.  

Diventa inoltre fondamentale portare avanti la rivendicazione della fine sui brevetti sui vaccini in modo da permettere a tutti i paesi del mondo di averne accesso, obbligando anche i paesi che hanno accumulato dosi in eccesso (tra cui la Svizzera) a destinare le proprie dosi ai paesi poveri che si trovano oggi in una situazione disastrosa.

Se la quarta ondata ci sarà (ed è praticamente certo che sarà così) non sarà quindi per responsabilità dei singoli cittadini e cittadine che si sono o meno vaccinati, che si sono o meno assembrati e così via; ma sarà, ancora una volta, responsabilità del governo che all’inizio dell’estate ha esultato per la “fine della pandemia”, revocando praticamente tutte le restrizioni, dando via libera a un pericolosissimo “liberi tutti” in nome della necessità della ripartenza economica. Oggi costoro tentano di correre ai ripari cercando di obbligare le persone a vaccinarsi non perché sia giusto farlo, ma perché altrimenti non si potrà avere accesso a determinati servizi. Una politica reazionaria e ottusa che ancora una volta si pone l’obiettivo di salvaguardare gli interessi economici di pochi a scapito della salute di tutti e tutte.

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