Permettetemi una breve riflessione “moralista”. Non so se sono un buon rivoluzionario. Di sicuro ho sempre creduto, forse sbagliando, di essere UN rivoluzionario, magari mediocre. E ho sempre pensato che questa frase di Guevara fosse una specie di “carta d’identità” del vero rivoluzionario. Quel “in qualsiasi parte del mondo” mi è sempre sembrata uno spartiacque. Da un lato i rivoluzionari (buoni, discreti, mediocri, ecc.), gli internazionalisti. Dall’altra la categoria di coloro (la gran maggioranza degli esseri umani) capaci di sentire “nel più profondo” alcune ingiustizie, ma non tutte. Per moltissimi solo l’ingiustizia che li colpisce personalmente (o al massimo gli affetti più vicini, per esempio amici o famigliari). In questo caso spesso l’ingiustizia è solo percepita soggettivamente, e tanto basta all’individuo in questione. Temo siano la grande maggioranza. Per altri (sempre del gruppo che “seleziona” le ingiustizie), già un po’ meno individualisti e “generosi”, è l’ingiustizia che colpisce il gruppo “etnico” (o religioso, culturale, ecc.) di riferimento o appartenenza. È la grande, confusa e contraddittoria confraternita dei nazionalisti, dei credenti, dei “tribali”. Che comprende sia quelli che addirittura sostengono l’ingiustizia commessa contro il “gruppo” (etnia, religione, “nazione”, ecc.) avverso (o percepito come tale) sia quelli, un po’ meno accecati dall’ideologia nazional-religiosa, che si limitano alla parte, diciamo così, in positivo: non approvano l’ingiustizia contro il “nemico”, ma “muovono il culo” solo per i “loro”. In questa seconda sottocategoria mi è successo, talvolta, di scivolare, anche se ho sempre cercato di recuperare in seguito.
In questa sottocategoria c’è un sacco di gente “di sinistra” (quelli apertamente di destra di solito stanno nella prima sottocategoria) che si indigna a fasi alterne e con intensità diversificata. Per cui solo i bambini palestinesi assassinati dai sionisti meritano la nostra rabbia (o i bambini ucraini per gli uni, russi per gli altri, e via esemplificando). Per il sottoscritto, che si incazza per il massacro dei palestinesi come per quello dei sudanesi, che pensa che il 7 ottobre 2023 sia stato un pogrom, che vorrebbe che i soldati ucraini e quelli russi come minimo disertassero in massa, che si è incazzato per il mini-pogrom effettuato dai due islamo-fascisti a Sydney (certo, molto più per Matilda, la bambina di 10 anni, o per l’87enne Alex Kleitmann, sopravvissuto all’Olocausto, che per il rabbino sionista) la frase del “Che” Guevara riportata nel titolo è alla radice del mio impegno politico, e mi indigna vedere “gente di sinistra” (preferisco non chiamarli “compagni”) che scrive su Facebook, commentando il mio post in cui definisco antisemiti e non antisionisti i due assassini islamofascisti, testualmente “Poche idee ma ben confuse. Gli attacchi sono innanzi tutto antisionisti poiché tesi a rispondere alle nakba e colonizzazioni in atto da parte di Israele, ovvero dalla popolazione compattamente concorde nel rubare terre e vite essendo loro il popolo eletto“. O un’altra, più soft, che, su una chat “di movimento”, risponde al mio post con immagini del rabbino sionista sostenitore del genocidio. So benissimo che molta gente, fra la “compagneria”, la pensa in questo modo e se ne sbatte completamente della frase succitata del “Che”, che mette la mano sul cuore quando vede sventolare una bandiera “nazionale” (russa, ucraina, palestinese, israeliana, venezuelana, ecc.). Ecco, patrioti di tutte le sfumature e latitudini, forse non sarò un buon rivoluzionario, ma di certo non ho più voglia di “marciare al vostro fianco”.
Vittorio Sergi
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