di Alessandro Esotico

Per quello che può valere, in tempi non sospetti scrissi che la condanna del 7 ottobre è ascrivibile proprio in ragione del suo carattere resistenziale, a differenza di coloro che l’hanno condannata, salvaguardando l’immagine teologica della “resistenza”, tanto osannata dalle nostre parti.

Personalmente sono poche le idee davvero chiare che mi frullano per la testa, ma tra queste vi è la distinzione tra essa e la rivoluzione proletaria: una distinzione tanto fondamentale quanto politicamente esiziale, qualora la si trascuri.

I comunisti non rifiutano la violenza. Sanno che la storia è lotta di classe e che solo l’abbattimento del potere che opprime l’uomo nella sua condizione di proletario potrà liberare l’umanità dal giogo del capitale. I comunisti questo lo sanno, e lavorano in questa direzione.

La violenza, tuttavia, non è esente da una deriva di astrattezza se non viene calata nel contesto concreto in cui è esercitata. Gli apologeti delle narrazioni resistenziali — coloro che hanno sostituito la lotta di classe con la grammatica dei popoli oppressi e degli oppressori — trovano la loro pezza d’appoggio nel giustificazionismo storico-etico, riannodando i fili del “primo colpo di fucile”, del “primo lembo di terra strappato con la forza”, in spregio alle convenzioni e al diritto internazionale.

In fondo è questa la motivazione che fonda l’avallo politico all’azione di Hamas. Dicono che bisogna contestualizzare, andare alla radice del dramma palestinese, risalire alla genealogia del peccato che avrebbe interrotto una supposta dimensione edenica di una Palestina libera prima del 1948. Così dicono.

A me, però, risulta estremamente difficile adottare i loro parametri di contesto. Parametri che consentono loro di restare sereni di fronte all’orrore, che permettono di scomodare Machiavelli per poi voltarsi dall’altra parte; di considerare quei morti come parte del saldo della storia, di accettare tutto così com’è.

Ritengo invece che l’unica contestualizzazione accettabile per un comunista debba essere quella di classe, rifuggendo da ogni forma di relativismo storico che manda in malora qualsiasi possibilità di analisi fondata sul rapporto tra sfruttatori e sfruttati.

Ammazzare decine di ragazzi presenti a un rave, sequestrarne altri; violentare e uccidere donne; eliminare anche decine e decine di operai — cosa che è effettivamente accaduta il 7 ottobre — in che modo, e in quale misura, può essere ascrivibile a un uso rivoluzionario della violenza?

Vi è stato un assalto al potere? Sono stati colpiti i capitalisti? È stata bloccata la produzione? Occupata la Knesset?

Cosa di tutto questo è stato fatto? Nulla.

Eppure, lorsignori dispongono dell’alibi morale degli invasi, intriso nelle sure del Corano.

Se ho deciso di partire dal 7 ottobre per parlare di quanto accaduto in Australia poche ore fa è perché, in fin dei conti, fatte le dovute proporzioni tra forze in campo e ideologia di riferimento, la mattanza avvenuta presenta tratti analoghi a quella compiuta da Hamas: sparare su una folla di ebrei riuniti. Proletari, padri di famiglia.

Una strage che reca tutti i crismi della matrice resistenziale in salsa islamista; e se non verrà etichettata come tale è solo perché avvenuta fuori dalla Palestina, e verrà ascritta alla follia di due persone radicalizzate.

Eppure, io non ravviso alcuna differenza nella composizione sociale tra gli ebrei sterminati il 7 ottobre e le vittime di poche ore fa.

Alcuni sono corsi ai ripari cavillando sulla distinzione tra attacco antisemita e resistenza antisionista. Altri nemmeno si sono presi la briga di farlo, giustificando la mattanza in virtù del genocidio che Israele sta compiendo tra Gaza e la Cisgiordania, reo di aver alimentato l’odio contro l’ebreo in tutto il mondo.

A mio modo di vedere si tratta di due facce della stessa medaglia: che si uccidano gli ebrei in quanto ebrei, o che li si uccidano in quanto presunti portatori di una Weltanschauung coloniale e vessatoria, a nome di un “popolo” oppresso e della sua “autodeterminazione”, poco importa ai fini della lotta di classe.

Anzi, dirò di più: entrambe le posture sono profondamente deleterie per la causa comunista.

Qui, accanto a me, ho l’Anti-Dühring di Engels, che mi ricorda per che cosa bisogna combattere, distruggere e, all’occorrenza, anche uccidere.

In questo gioco al rilancio tra massacri, tenete bene a mente la merda che vi lanciate addosso come se fossero medaglie di cui andare fieri.

L’unico terrore giustificabile è quello che voglio leggere negli occhi della classe dominante, consapevole della propria fine.

Non quello di un proletario passato per le armi, né quello di una bambina a cui è stata negata la possibilità di diventare donna.

I socialsciovinisti che affollano la rete e le piazze insisteranno nel politichese della distinzione tra la caccia al sionista e la caccia all’ebreo.

Ma il sionismo è un ideologia e come tale abbraccia trasversalmente sfruttatore e sfruttato.

Faccio presente che la maggioranza dei proletari vive sotto l’egida dell’ideologia borghese tout court, e non per questo i comunisti si premurano di andare ad ammazzarli.

Se appoggiate il 7 ottobre, abbiate almeno il coraggio di appoggiare anche quanto accaduto a Bondi Beach.

In entrambi i casi — per quel che vale il mio giudizio — sarete delle carogne e dei nemici di classe giurati ai miei occhi.

E non vi riscatterà l’eventuale vostra coerenza o il coraggio di alimentare fino in fondo la merda di cui vi nutrite.

Canaglie siete e canaglie resterete.


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