di Mario Gangarossa

L’UE non esiste più, semmai sia esistita, al di là dell’unione delle sue banche private e della sua moneta, su cui non ha nemmeno la sovranità essendo la BCE un organismo “indipendente” le cui scelte dipendono da meri calcoli economici e dagli andamenti del mercato.

Dalle borse.

Il fatto che l’asse portante della sua architettura, Francia e Germania, si riunisca a Londra in una sede extraterritoriale, nell’Inghilterra della brexit, da plasticamente il senso dell’ irrilevanza dei suoi istituti e delle sue capitali. Le classi dirigenti europee hanno puntato tutto sulla guerra alla Russia. Lo hanno scritto sui loro documenti ufficiali, certificato coi voti del loro parlamento.

“Nel breve periodo lo scontro è inevitabile”.

L’intero sviluppo della sua esangue economia si basa sugli 800 miliardi di risorse investite nel riarmo e sul suo piano di reindustrializzazione che ha come volano la sua industria bellica e come mercato interno la militarizzazione della società. È una scelta strategica dalla quale non torna indietro. Tornare indietro significa prendere atto che la competizione pacifica con le altre potenze economiche è finita con la sua sconfitta, con la sua espulsione dal novero delle nazioni che contano e costruiscono il Pil mondiale, prendere atto del declino che si porterà dietro la sua implosione. La corsa dei suoi rissosi staterelli a cercarsi un nuovo e più affidabile protettore. Da questo punto di vista la sconfitta nella guerra ucraina è solo un accidente momentaneo. Una battaglia persa, in una guerra che è diventata la stessa ragione di esistenza dell’imperialismo europeo. L’idea dei “volenterosi”, sponsor dello scontro totale con una potenza nucleare quale è la Russia, è continuare la guerra di logoramento a spese del popolo ucraino che ci mette il sangue e la carne da cannone, fino a quando l’Europa non sarà pronta a mettere gli scarponi sul terreno senza che i suoi soldati diventino facile bersaglio del prossimo tiro al piccione. Il problema per le canaglie guerrafondaie, per il laburista Starmer, per il centrista Macron, per il popolare Merz e per il liberare Tusk è che il gioco di condurre una guerra per procura è durato troppo a lungo e ha logorato le loro nazioni dove il loro problema principale è la crescente impopolarità e una crisi economica senza precedenti che si aggrava di giorno in giorno.

Gli ucraini sono stati decimati. Il paese distrutto. Gli Usa che avrebbero dovuto sostenere il maggior sforzo militare si defilano e scendono a patti col nemico. L’Europa che ha sposato la tesi della possibile, anzi certa, vittoria di Zelensky – tesi che porta dritti dritti alla guerra mondiale – si ritrova nella disperata situazione del giocatore che pur continuando a perdere non può alzarsi dal tavolo perché fuori lo aspettano i creditori pronti a fargli la pelle. I dirigenti europei sono stupidi ma non perché stanno portando i loro paesi sull’orlo del disastro, quella è la scelta obbligata di ogni imperialismo sconfitto e in declino.

Sono stupidi perché pensano di poter continuare questo gioco all’infinito.

La decisione di disinteressarsi dello scenario europeo non è una bizzarria di Trump. Già Biden, il regista della ritirata dall’Afghanistan, lo aveva spiegato fin dalle prime battute di questa insensata guerra. Nessun soldato americano sul suolo ucraino, mai, e nessun coinvolgimento diretto nella guerra. La scelta dell’imperialismo Usa è anch’essa una scelta strategica. Non cambierà cambiando il presidente. Vance lo ha spiegato chiaramente a Monaco in un ragionamento passato in secondo piano. “Anche se volessimo, non possiamo”. Impantanarci in Europa è il maggior regalo che possiamo fare alla Cina. Non ci sono le risorse per coprire tutti gli scenari e visto che la coperta è corta qualcuno, non noi, dovrà rimanere col culo esposto. Lo scontro nell’area del pacifico è tale che non possiamo distrarre nessuna risorsa da quello scacchiere. L’Europa è stata per 80 anni un costo che pretendeva di diventare un concorrente. Ed è questo il peccato più grande che gli Usa rimproverano all’Europa, l’essere stati ingrati. Di essersi alleata coi loro mortali nemici per rimpiazzarli nella leadership dell’Occidente. Di aver voluto sostituire il dollaro con l’euro. Di aver fatto concorrenza all’alleato grazie agli ottimi rapporti commerciali col nemico.

E il mastro che prende atto che il suo migliore apprendista gli sta facendo le scarpe, rubandogli il mestiere e i clienti e decide che è giunto il momento di tagliargli le gambe. In previsione dello scontro col suo maggiore concorrente, l’unico che veramente fa paura ai circoli imperialisti americani perché li insidia nel portafoglio, nei profitti, l’imperialismo Usa si ristruttura. Taglia i rami secchi, i costi improduttivi, scioglie i nodi e le contraddizioni che possano distrarlo, si libera degli impacci che possono frenarne lo sviluppo e condizionarne le decisioni. È una scelta di guerra, non certo di pace, ma è una guerra in cui gli interessi del dollaro confliggono con quelli dell’euro. Gli interessi dell’imperialismo Usa con quelli degli imperialisti di Bruxelles. Gli “scrocconi” europei hanno pensato di sedersi alla tavola imbandita dal sangue delle popolazioni ucraine e dalla deterrenza militare del generoso paparino che pagava qualsiasi loro capriccio, l’Ucraina se l’erano perfino divisa in zone di influenza su cui dirottare i futuri investimenti e spartirsi gli utili della ricostruzione. Un recente studio del Norwegian Institute of International Affairs è arrivato alle conclusioni che all’Europa costerebbe meno la continuazione della guerra, fino alla (ipotetica) vittoria dell’Ucraina sulla Russia, che la pace con gli oneri della ricostruzione della parte “libera” dell’Ucraina e dei costi per il mantenimento di una forza sufficiente a rappresentare un deterrente contro una Russia vincitrice. Secondo questo studio, 95 brigate equipaggiate, 8 milioni di droni, 1.500-2.500 carri armati, 2.000-3.000 pezzi d’artiglieria, 10-20 mila veicoli blindati, missili a lungo raggio, scudo aereo esteso su tutta l’Ucraina occidentale costringerebbero i russi a più miti consigli e a scendere a patti più vantaggiosi per l’Europa. Ovviamente si tratta di uno studio teorico che non tiene conto di ciò che produrrebbe nei paesi interessati un simile impegno militare. Di fronte a questi scenari rimane il semplice conto della serva che deve tener conto del suo borsellino. Servono 145 miliardi di euro, pronto cassa, per permettere all’Ucraina di continuare a combattere il prossimo anno.

E nessuno è disposto a metterceli.

Rimane l’idea davvero disperata di utilizzare gli asset russi nella folle speranza che le cose cambino da qui a un anno. I mercati internazionali si basano sulla fiducia reciproca se no i capitali non si muovono dalle casseforti in cui vengono conservati. E se anche nell’immediato non si verificheranno le conseguenze paventate o auspicate, gli investitori cominceranno a considerare l’Europa una zona ad alto rischio di esproprio. E la paura di essere espropriati è il peggior scenario che si possa prospettare a chi quei capitali li detiene. E’ bruciarsi i ponti dietro le spalle mentre quello che fino a ieri era l’alleato più affidabile, quei ponti col nemico li sta ricostruendo. In guerra ci sta sempre un aggressore e un aggredito solo che ad aggredire e a difendersi non sono i popoli, men che meno i proletari, sono le classi dominanti.

Le classi dominanti europee hanno perso la loro guerra.

Abbandonate dagli amici e beffeggiate dai nemici. Sono un esercito in rotta, sbandato, alla ricerca di un bunker dove poter esalare l’ultimo respiro. Le classi dominate non sono ancora in grado di cancellarle dalla storia. Ed è questa la questione che deve preoccuparci. Nel vuoto di potere che si è creato vecchi fantasmi e nuove suggestioni prendono il sopravvento. Fra qualche anno la Germania avrà l’esercito più potente d’Europa ma saranno i neonazisti a gestirlo. E saranno i fascisti francesi a governare la deterrenza nucleare del paese che fu di De Gaulle. Le armi che ci accingiamo a produrre sono merci che vanno consumate e se il mercato esterno non ne richiede più perché finisce la guerra ai suoi confini, il mercato interno europeo ha il numero sufficiente di sovranisti disposti a usarle.

En passant …

Ci voleva Trump per spiegare, alla sinistra piccolo borghese che infesta da 80 anni il vecchio continente, che i rapporti fra Usa e Europa non erano rapporti COLONIALI ma rapporti INTERIMPERIALISTI.

Che gli Stati europei non erano colonie ma Stati sovrani che sgomitavano sull’arena internazionale per guadagnarsi il loro posto al sole.

Che dietro l’apparente unità “ideale” dell’Occidente ci stava la concorrenza fra Stati capitalisti che giocavano a “fregarsi” a vicenda.

Non bastavano le analisi economiche, i dati sull’interscambio, l’esistenza di una moneta, l’euro, che era visto oltre oceano come un concorrente pericoloso, al pari dello yuan e molto meno del rublo.

Nemmeno la lettura del pamphlet di Lenin che, che cosa è l’imperialismo, lo spiegava agli operai analfabeti di 100 anni fa, che non si limitavano a leggere il titolo di quel libro.

E niente. L’Europa continuava a essere una COLONIA.

Serva sciocchi del padrone americano. Una colonia con una sua moneta che faceva concorrenza alla moneta del “colonizzatore”?

Una emerita sciocchezza!

Una emerita sciocchezza nata sul terreno dell’opportunismo politico, del nazional-comunismo, che serviva solo a negare l’esistenza del nemico che se ne stava comodamente seduto a casa nostra.

L’esistenza dell’imperialismo europeo.

Ci voleva Trump per spiegare ai teorici della “lotta all’imperialismo”, quello che se ne sta oltre le frontiere delle nostre nazioni, che la guerra ucraina non era una “guerra della Nato”, una guerra degli “americani” ma una guerra degli europei.

Che Zelensky era una creatura di Bruxelles e non di Washington.

Che era l’imperialismo “straccione” europeo che puntava all’escalation e allargamento del conflitto, perché era l’unico modo che aveva per sopravvivere di fronte a una crisi che si annunciava devastante.

Che i governanti europei quando andavano in pellegrinaggio a Kiev non eseguivano nessun “ordine”, non erano eterodiretti dal “grande Satana”, ma agivano da commessi viaggiatori dell’industria bellica e delle economie dei propri paesi.

Che la Nato era un contenitore obsoleto, una alleanza piena di contraddizioni che sarebbe stata rottamata dai suoi stessi ispiratori.

Che il nemico era ed è A CASA NOSTRA.

E che la guerra, quella contro la Russia e quella di oggi contro gli Stati Uniti, è la guerra del capitale europeo che cerca di prevalere sugli altri capitali, l’unico modo che ha per non essere fagocitato.

E ci vuole la pazienza e la testardaggine degli internazionalisti per ripetere che con l’imperialismo di casa propria NON CI SI ALLEA, ne quando combatte contro i russi ne quando combatte contro gli “americani”.

E nemmeno ci si schiera con il nazionalismo “antifascista” Europeo per combattere i nazionalismi da cortile, i fascismi, che sono il risultato della sconfitta militare e della fine delle velleità di “grandeur” di Bruxelles.

… poi ti guardi in giro e scopri che fra la compagnieria non è cambiato nulla.

Le solite minchiate spacciate con l’arrogante prosopopea di sempre.

Nemmeno al supermercato elettorale riescono a vendere la loro merce ammuffita ma testardamente continuano a ripetere le stesse litanie di ieri.

“Non esistono proletari in Ucraina” “sono tutti fascisti”.

Tranquilli, lo diventeranno quando scopriranno che dovranno lavorare da schiavi per i prossimi 200 anni per pagarsi i debiti di guerra.

La “vecchia talpa” non smette mai di scavare.


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