di Gianni Sartori

Giornalista di origine curda, militante della sinistra radicale e rifugiata politica, Zehra Kurtay (53 anni) vive in Francia ormai da 18 anni.

Su di lei pende una spada di Damocle, con la prospettiva di venir estradata in Turchia. Dove, oltre alla detenzione (forse a vita), rischia di subire maltrattamenti e torture.

Già perseguitata in patria (varie volte arrestata e imprigionata per alcuni articoli), nei suoi confronti stato emesso un OQTF (Obligation de Quitter le Territoire Français).

In Turchia nei primi anni novanta, all’Università, aveva collaborato con un gruppo di giornalisti militanti riuniti attorno a una rivista chiamata Le Combat (in francese).

Arrestata una prima volta nel 1994 assieme ad altri colleghi, successivamente a Istanbul partecipa alla creazione di un giornale nel quartiere di Gazi: La Voce di Gazi e nel 1998 diventa capo redattore di Kurtuluş, apertamente di sinistra. Nel corso di una perquisizione della redazione alcuni giornalisti, tra cui Zehra, rimangono feriti mentre in un’altra successiva vengono arrestati per sospetti legami con il THKP-C (Türkiye Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi). Rinchiusa nel carcere di Ümraniye, con altri prigionieri politici organizza la protesta contro la riforma con cui il governo intendeva modificare la situazione carceraria . Sostituendo le grandi camerate-dormitorio (dove era possibile la socialità, il confronto, lo studio collettivo…) con l’isolamento delle celle di “tipo F”.

Dopo “un anno di dibattiti e discussioni tra noi detenuti per avere una linea comune, abbiamo deciso di iniziare gli scioperi della fame”. Nel 2000 Zehra Kurtay fa parte del primo gruppo di Hunger Strikers. Giunta al sessantesimo giorno viene prelevata di forza dalla polizia, insieme a molte altre persone che partecipavano alla protesta. Di fronte alla loro resistenza si scatena un vero massacro. Solo nel suo carcere cinque prigioniere perdono la vita. In totale (la protesta coinvolgeva una ventina di penitenziari e circa duecento militanti) alla fine si conteranno una trentina di vittime tra i prigionieri.

Dato che sia Zehra Kurtay che altri detenuti proseguivano nello sciopero, al suo 181° giorno di digiuno viene sottoposta all’alimentazione forzata (per Amnesty International “una forma di tortura”, condannata dal Diritto internazionale). Nel corso di questo e di altri scioperi della fame successivi (tra il 2000 e il 2007) almeno 600 dissidenti turchi e curdi che l’avevano subita risultarono pesantemente danneggiati, sia fisicamente che psicologicamente.

Anche per Zehra il trattamento non rimane senza conseguenze. Riporta “lesioni neurologiche irreversibili e serie difficoltà per spostarsi autonomamente”.

A causa delle sue condizioni può uscire di prigione e rientrare a casa. Ma quatto anni dopo “nonostante non fossi ancora ristabilita, il governo e i medici hanno deciso che stavo meglio e volevano rimettermi in prigione”.

Grazie ai famigliari che le procurano un passaporto falso nel 2007 riesce a raggiungere la Francia ottenendo lo status di rifugiata.

Ma nel 2012 veniva condannata a cinque anni per il suo precedente impegno politico e rinchiusa nella prigione di Fleury-Mérogis (praticamente in isolamento).

Nel 2021 scopre che le era stato tolto lo status di rifugiata politica (oltretutto senza informarla).

Per “difendere i miei diritti, ottenere l’asilo politico che mi è stata usurpato” dal 3 luglio di quest’anno Zehra Kurtay è in sciopero della fame (in data 5 dicembre siamo ormai al 157° giorno).

E fatalmente il suo stato di salute va deteriorandosi. Pesa solo 38 kg., con una significativa diminuzione delle riserve muscolari e altre serie complicazioni.

Finora solo la mobilitazione solidale di una quindicina di associazioni che si è andata sviluppando intorno alla sua tenda di resistenza a Porte de Saint Denis (Boulevard Saint Denis, Parigi) ne ha impedito l’espulsione.

Gianni Sartori


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