Domani sera, alla Casa delle Associazioni di via Cimabue, parteciperò all’ennesima iniziativa di solidarietà con i palestinesi, contro il genocidio in atto causato dal governo Netanyahu. Anzi, ho contribuito ad organizzarla, come ho contribuito ad organizzare quella di due settimane fa con Moni Ovadia, Sandro Moiso, Najaf Alrabi. Dall’ottobre 2023 ho perso il conto delle mobilitazioni anti-sioniste a cui ho partecipato. Alcune piccole (poche decine di persone), altre enormi, con decine di migliaia di partecipanti, molti dei quali sventolavano la bandiera palestinese. E, tutto sommato, siamo riusciti a smuovere qualcosa, anche se non abbiamo impedito al boia Netanyahu di vincere (per ora) la sua guerra di sterminio. Da qualche mese prima del 7 ottobre un altro massacro era però già in atto (oltre allo stillicidio di morti a Gaza, Cisgiordania, Siria, ecc. ecc.). Si tratta del Sudan, con un numero di morti (compresi i bambini) simile (se non superiore, visto che si parla di 150 mila) a quello di Gaza, e con un numero di sfollati cinque volte (!) superiore a quello dei gazawi (11 milioni!). E, nonostante qualche articolo qua e là, non ho potuto partecipare a nessuna mobilitazione in difesa dei poveri sudanesi massacrati dalle milizie arabe, dalle Forze di Intervento Rapido (sostenute dagli Emirati Arabi Uniti e, pare, pure dallo Yemen) o dall’Esercito Sudanese (sostenuto dall’Egitto e, a quanto pare, pure dalla Turchia). Perché? Semplicemente perché non ce ne sono state. Evidentemente non sono solo i sionisti e i governi che li sostengono ad usare due pesi e due misure, per cui un morto israeliano vale dieci o cento volte un morto palestinese. Anche per molti di quelli che sono scesi in piazza, giustamente, per fermare il genocidio a Gaza, un morto palestinese pare valga molto di più di un morto sudanese (per non parlare di uno congolese!). Colpa dei media? Certo, anche. Relativa maggior conoscenza e vicinanza della Palestina rispetto al Sudan? Probabilmente anche questo è vero. Ma a volte mi assale il dubbio che, nel caso israelo-palestinese, l’attribuzione del ruolo dei “mostri” di turno risulti molto più facile tra di noi, “popolo di sinistra”, abituati allo scenario seguente: “colonialisti” (o neo-colonialisti), “bianchi” (non come colore della pelle ma come adesione allo schemino etno-geopolitico che li -ci- vuole come “occidentali”) contro “colonizzati”(dagli indigeni americani in poi, dalla Polinesia alla Groenlandia). E quando a compiere i genocidi (come in Ruanda 31 anni fa, in Indonesia 60 anni fa, in Myanmar pochi anni fa) sono arabi, africani, asiatici, ecc., gente dalla pelle nera o di qualsiasi altro “colore” (purché non “bianca”) o dalla cultura tutt’altro che “occidentale” (a cominciare da quella islamica) qualcosa, nel facile terzomondismo fuori tempo massimo che ancora va per la maggiore tra le vittime dei sensi di colpa di casa nostra, si inceppa. L’indignazione c’è, sicuramente, non lo metto in dubbio. Ma, chissà perché, non riesce a dar vita a movimenti neppur lontanamente paragonabili a quelli che siamo riusciti a mettere in piedi negli ultimi due anni. Certo, le immagini di Gaza martoriata entrano (o entravano, perché con la “tregua” farlocca i media di regime hanno spento i riflettori) ogni sera nelle nostre case, mentre le immagini dei neri del Darfur o del Kordofan massacrati dalle milizie arabo-islamiche ce le dobbiamo andare a cercare su Nigrizia o su Inprecor. E sappiamo benissimo come, in un’epoca come la nostra, se non hai le luci dei riflettori addosso, anche a sinistra fan fatica a vederti. Ma c’è pure un problema più di fondo, di tipo culturale, legato ancora al mito rousseauiano del “buon selvaggio” e al paternalismo nutrito anche dalla geopolitica (che ha sostituito il marxismo, d’altronde mai stato troppo popolare, al di là delle mode effimere ormai dimenticate da quasi mezzo secolo) e dal senso di colpa giudaico-cristiano. Provate, solo per fare un piccolo esempio, a chiedere ad un qualsiasi “occidentale” di media cultura (soprattutto se di sinistra) qualcosa sulla piaga dello schiavismo in Africa. Scommetto ciò che volete che vi parlerà della deportazione di 20 o 25 milioni di neri africani, tra il XVI e il XIX secolo, nelle Americhe, ad opera dei trafficanti di schiavi europei. Molto difficilmente parlerà della cifra analoga (o addirittura superiore) di neri africani deportati, tra il VII e il XX secolo (con qualche rimasuglio fino all’inizio del XXI secolo!) dai trafficanti arabi o turchi verso i paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. Va beh, scusate lo sfogo tipico d’un vetero-internazionalista rozzo. Comunque, domani sera ritornerò a parlare di Palestina e ascolterò Renzo Ulivieri e il suo appello al boicottaggio d’Israele. Magari proporrò anche di boicottare il Sudan, o gli Emirati Arabi Uniti, o lo Yemen, o l’Arabia Saudita, i cui governi mi fanno altrettanto schifo di quello di Netanyahu.
FG
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Sono d’accordo ma si manifesta contro qualcuno/qualcosa su cui si pensa di poter avere un’influenza e, per quanto la situazione del Sudan mi angosci fatico a capire contro chi potremmo manifestare se non contro chi sta distruggendo gli organismi internazionali che dovrebbero poter intervenire non mediazione, interposizione, aiuti umanitari (e allora non sono sono gli stessi contro cui manifestiamo per Gaza?)
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Manifestare innanzitutto contro i massacratori islamisti e contro gli Emirati Arabi Uniti. Boicottare Dubai, Air Emirates, ecc.
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Un post che ci mette di fronte alle nostre piccole eppure grandi responsabilità. Grazie.
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