Per quelli che ancora credono alle favole sui “popoli” al di là delle classi sociali.

A inizio luglio il “Wall Street Journal”, in collaborazione con il “Jerusalem Post”, ha pubblicato una lunga intervista a Wadee al-Jaabari, uno dei circa venti sceicchi di Hebron, maggior centro economico della Cisgiordania, 750 mila abitanti e un terzo del PIL dei territori palestinesi. Al-Jaabari, insieme ad altri quattro sceicchi locali, si sarebbe candidato a guidare Hebron quale «emirato indipendente» dall’ANP, in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico e di un’Intesa su una «spartizione territoriale» in sostituzione degli accordi di Oslo. Lo sceicco denuncia l’ANP come «un’entità corrotta» ed estranea all’autentica «leadership locale», esistente sin «dai tempi di Saladino» e successivamente intermediaria con l’impero ottomano. Tale proposta sarebbe stata elaborata in accordo con Nir Barkat, ministro dell’Economia israeliano. Questi, imprenditore nel settore hi tech, è stato per dieci anni sindaco di Gerusalemme, dapprima come esponente della società civile in quota Kadima — la defunta formazione centrista creata da Ariel Sharon negli anni Duemila — e poi per il Likud. Come al-Jaabari, ha legami con le organizzazioni dei coloni locali.

Barkat avrebbe promesso la creazione di una «zona economica congiunta di circa mille acri» al confine tra Hebron e Israele, capace di occupare sino a «cinquantamila lavoratori palestinesi»; la risposta al dilemma tra <<uno Stato o due Stati» sarebbe la «soluzione degli emirati», elaborata da Mordechai Kedar, accademico con un passato nei servizi di intelligence militari: in pratica dar vita in Cisgiordania a una confederazione di sette emirati palestinesi, sul modello degli UAE, che riconoscerebbero Israele. Per Kedar, gli unici modelli di successo di Stati arabi sono le monarchie del Golfo, sorrette da «singole famiglie tradizionali».

L’iniziativa Jaabari-Barkat è stata definita come «un pallone sonda» dal “Jerusalem Post”, ed è osteggiata dai servizi di sicurezza, che contano sulla «collaborazione dell’ANP per tener sotto controllo la Cisgiordania» e paventano il rischio di scatenare una «guerra civile» palestinese. In definitiva, appare come un aggiornamento del modello dei «sindaci della Cisgiordania» con i quali, negli anni Settanta e Ottanta, Tel Aviv tentava di sfruttare i notabili locali per contrastare Fatah; o qualcosa di simile al modello dei «bantustan» cui ricorse il Sud Africa dell’apartheid, usando il particolarismo tribale.

Tutto vero, e l’iniziativa potrebbe restare lettera morta. Ma si tratta di una conferma di quanto la nostra analisi affermava nei primi anni ’80: «Le popolazioni palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, sotto occupazione militare israeliana, hanno un insediamento stabile e una stratificazione sociale che culmina in una borghesia proprietaria i cui esponenti influenzano alcune correnti dell’OLP con una mano, e, con l’altra, collaborano economicamente con la borghesia israeliana in un mercato che, malgrado uno stato permanente di guerra, è in piena espansione» (Arrigo Cervetto, “La contesa mondiale”). Una riprova di come nell’ecatombe di Gaza, e nelle faide mediorientali di

sangue e petrolio, il principio internazionalista e di classe sia l’unica bussola. C’è una borghesia e c’è un proletariato: in Palestina, in Israele e ovunque nel Medio Oriente.

Da “Lotta Comunista” Settembre 2025


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