Come comprenderlo e come nominarlo?
di Stefanie Prezioso, docente di storia contemporanea all’Università di Losanna e autrice di vari saggi, da Marx21 (di prossima pubblicazione su Jacobin US)
Riprendiamo, dal blog “Refrattario e Controcorrente”, questo articolo di S. Prezioso. Mi permetto un piccolo appunto. In questo articolo, come praticamente in tutti quelli che la sinistra dedica al fenomeno dell’estrema destra, l’elenco, più o meno completo, dei paesi in cui le forze fasciste o fascistoidi sono al potere o sono vicine a prenderlo, esclude, chissà perché, quello che schematicamente possiamo chiamare il “mondo musulmano”. Eppure che cosa sono i regimi di Arabia Saudita, Afghanistan, Iran, Siria, Qatar, ecc. se non regimi d’estrema destra (anche se è difficile definirli fascisti in senso proprio, essendo caratterizzati da quel “rifiuto della modernità” che, invece, almeno in parte, era una delle tendenze – vedi il futurismo marinettiano – del fascismo storico), tra l’altro ben più duraturi e consolidati di quelli “occidentali”, dell’India, dell’America Latina, della Russia o dell’Ucraina. Si può dire, anzi, che è proprio nelle società musulmane (e pour cause!) che la destra (più o meno estrema) gode di un potere totale, senza eccezioni significative (dopo l’involuzione della Tunisia post 2011). Questa rimozione dell’estrema destra islamica (e islamista) è diventata ormai insostenibile, sia dal punto di vista analitico che dell’agire politico. La paura di apparire “islamofobi” (nel senso razzista del termine) non può giustificare questa colpevole “dimenticanza”. [FG]
Decenni fa, lo storico Tim Mason lanciò l’allarme. In un articolo intitolato “Che fine ha fatto il fascismo?”, deplorò quella che definì “la scomparsa di teorie o concetti illuminanti sul fascismo dagli studi e dagli scritti”. Riconsiderando il rapporto tra fascismo italiano e nazionalsocialismo, esortò gli studiosi a non confondere i due movimenti, ma piuttosto a identificarne le “specifiche” somiglianze e differenze e a stabilirne le ragioni, pur mantenendo quello che definì “un rigido agnosticismo” sulla radicale singolarità di ciascun regime.
Come chiamare la nuova estrema destra?
A prima vista, i dibattiti di quasi quarant’anni fa possono sembrare lontani dall’attuale clima politico. Eppure, le domande sollevate da Mason risuonano con forza nel contesto attuale. Con l’estrema destra che guadagna terreno in tutto il mondo, è diventato urgente analizzare questa rinascita con rigore intellettuale e profondità storica.
Lo spettro del fascismo sembra aleggiare di nuovo nel mondo: dall’America Latina all’India, dagli Stati Uniti alla Russia, passando per tutta Europa. L’influenza e la presa dei partiti di estrema destra continuano a crescere e l’elezione di Donald Trump ha dato nuova linfa alla loro grammatica politica, rafforzando al contempo la loro presenza in luoghi dove non sono ancora al potere; in Francia, Germania e Portogallo, sono a un passo dal prenderlo.
Una volta superato lo shock, resta l’imperativo di intervenire, di allertare, di mobilitare le forze sociali necessarie per contrastare la loro agenda politica; ma come? Comprendere le ragioni di questo apparente “ritorno del fascismo” non è scontato. Del resto, è davvero così? L’uso del termine “fascismo” per descrivere fenomeni contemporanei è oggetto di ampio dibattito. Per alcuni, il suo utilizzo è essenziale perché offre un quadro predittivo; ma, come sappiamo, mentre la storia illumina il presente, non può in alcun modo predire il futuro.
L’attuale inflazione di varianti del termine non cessa di sollevare interrogativi. Fascismo (tardivo, preventivo, della fine dei tempi, fossile, trumpista, ecc.) “neo, post, para, semi, micro, tecno-fascismo”: non mancano i qualificatori per cercare di definire questo nemico che avanza imperturbabile. Questa valanga concettuale, tuttavia, non riesce a nascondere il disorientamento dell’analista di fronte a una situazione che, pur ricordando per molti versi le ore buie del XX secolo, è tuttavia radicalmente nuova.
Come ha scritto lo storico Eric J. Hobsbawm, “quando gli uomini si trovano di fronte a qualcosa per cui il passato non li ha in alcun modo preparati, brancolano alla ricerca di parole per nominare l’ignoto, anche quando non possono né definirlo né comprenderlo” (da Il secolo breve. 1914-1991, l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, 1995). L’analogia avrebbe il vantaggio di consentire l’analisi dell’ignoto partendo da un terreno familiare, fornendo al contempo un quadro per la necessaria mobilitazione delle forze di resistenza.
Combattere, sì. Ma contro chi e contro cosa?
Eppure è proprio sulla determinazione del nemico che il dibattito inciampa. Combattere sì, ma contro chi e contro cosa? L’ingiunzione a guardare il pericolo negli occhi sembra implicare l’invito a usare il termine fascismo, altrimenti sembriamo nella migliore delle ipotesi dei sognatori, nella peggiore delle ipotesi degli scettici inguaribili. Eppure, l’uso del termine non ci inchioda forse a letture del passato e ci impedisce di analizzare rigorosamente i fenomeni politici attuali per rispondere ad essi nel modo più efficace possibile? Quanto alla valutazione del pericolo, come sottolinea lo storico Daniel Bessner (nell’articolo “Trump, un fascista?”, pubblicato nell’aprile 2025 su Marx21), “le cose possono essere spaventose – lo sono – senza essere fasciste. Anzi, potrebbero essere persino più spaventose”.
Negli anni Venti e Trenta, la stragrande maggioranza di coloro che definirono il fascismo non ne colse la novità; è proprio questo che dobbiamo evitare oggi. Invece di proporre una risposta preconfezionata, non dovremmo iniziare ponendo il problema? La questione della persistenza e/o del ritorno del fascismo si ripropone a intervalli regolari sulla scena politica, in particolare in Italia negli ultimi trent’anni. Dopo le recenti elezioni americane e il ritorno di Donald Trump alla guida del governo, è negli USA che il problema si è fatto più acuto. E il dibattito è acceso, mentre il presidente sembra aver notevolmente ampliato le sue prerogative, mettendo in discussione i fondamenti stessi della Costituzione degli Stati Uniti.
I libri che denunciano la (nuova) minaccia fascista riempiono gli scaffali delle librerie e il numero delle pubblicazioni continua a crescere. Il posto centrale occupato dal fascismo nella storia del XX secolo e nel suo “territorio mentale” spiega in parte questa onnipresenza. Altrettanto importante è la volontà di collocare nel suo contesto storico la rinascita dell’estrema destra nel corso del XXI secolo (vedi Il Giorno della vittoria e lo spettro del fascismo, di Enzo Traverso, su Jacobin). Gli storici sono chiamati a rispondere, in qualità di “esperti”, se un dato leader o movimento mondiale possa essere definito fascista o meno. Ma tutti inciampano rapidamente sulla definizione. Il termine “fascismo” rimane senza dubbio il più vago del lessico politico. Rimane, ha scritto lo storico Emilio Gentile, un oggetto misterioso, “che sfugge a ogni tentativo di definizione storica chiara e razionale nonostante le decine di migliaia di pagine che sono state e continuano a essere dedicate a questo fenomeno”. Eppure, troppo spesso, questo avvertimento serve da alibi per proporre una nuova definizione.
Fin dalla sua comparsa sulla scena politica alla fine della Prima Guerra Mondiale, questo nuovo fenomeno di fusione tra società di massa e autoritarismo ha dato origine a interpretazioni diverse, caratterizzate dal fatto di concentrarsi su questo o quell’aspetto costitutivo o pensato come tale, sia esso storico, politico, economico, sociale o persino morale. In effetti, la maggior parte delle definizioni contiene un elemento di verità, ma tutte relegano necessariamente in secondo piano gli elementi che non corrispondono a una data situazione. Se dovessi fornire una “formula tascabile”, direi che il fascismo è un movimento politico di estrema destra che ha trovato la sua piena espressione in Italia e in Germania negli anni Venti, Trenta e Quaranta, violentemente antimarxista, razzista, antisemita, imperialista, basato sulla distruzione dei diritti e delle libertà democratiche, sul rifiuto dell’uguaglianza, sulla stigmatizzazione dei più deboli e sull’offensiva contro le donne.
Analogie con il fascismo storico
All’inizio del XX secolo, il fascismo poté essere dispiegato solo quando il movimento operaio non rappresentò più una minaccia imminente. Non poteva essere concepito senza le crisi politiche, sociali ed economiche che colpirono le società europee negli anni Venti e Trenta. Movimento autonomo, “un partito organizzato per i propri obiettivi, che mirava a conquistare il potere per i propri fini”, era eversivo, cioè al tempo stesso rivoluzionario e restauratore, un’espressione moderna del rifiuto della democrazia e dell’Illuminismo.
Non può trionfare senza l’azione combinata della violenza paramilitare e della repressione statale; senza lo sviluppo di un autentico movimento di massa. Non può conquistare le menti senza questa fusione senza precedenti di elementi apparentemente disparati di conservatorismo e modernità, ben rappresentata dall’espressione “romanticismo d’acciaio” di Joseph Goebbels. Utilizza la violenza, il terrore, ma anche l’indottrinamento per imporre una nuova gerarchia tra gli esseri umani.
Esistono chiari elementi di continuità storica tra l’estrema destra odierna e il fascismo, ma il fascismo storico aveva chiari elementi di continuità con la destra nazionalista reazionaria del XIX secolo. I movimenti di destra radicale contemporanei condividono con il fascismo storico nazionalismo, razzismo, imperialismo, omofobia/lesbofobia, virilismo, autoritarismo, antimarxismo – inteso come rifiuto del conflitto di classe in nome dell’unità della nazione e del popolo –. Intendono distruggere i diritti e le libertà fondamentali e, più in generale, i movimenti sociali che non controllano direttamente. Stanno conducendo un’offensiva contro i diritti delle donne e designando capri espiatori (ebrei, musulmani).
Chiunque non si adatti alla loro visione della nazione, che si tratti di minoranze o oppositori politici, viene stigmatizzato, criminalizzato e utilizzato come leva di mobilitazione elettorale; questo è particolarmente vero oggi per migranti e musulmani, con la fantasia della “grande sostituzione”. Questo rifiuto dell’altro si accompagna a un discorso identitario escludente, che mira a legittimare politiche autoritarie pretendendo di difendere una nazione “minacciata”. In questo senso, le strategie discorsive ed elettorali di figure come Donald Trump, Giorgia Meloni, Viktor Orbán o Javier Milei sono simili a quelle utilizzate da Mussolini o Hitler.
Il fascismo storico e gli attuali movimenti di estrema destra emergono in contesti simili di crisi economica e sociale di lunga durata, messa in discussione delle forme di rappresentanza, tra cui la legittimità dei partiti politici tradizionali, perdita di orientamento e crisi culturale e morale, di cui la messa in discussione della razionalità scientifica è solo un aspetto.
Eppure non viviamo nella stessa epoca…
Oggi, tuttavia, il contesto è molto diverso e la crisi sociale e politica non è la stessa. Il fascismo storico è emerso all’indomani della Prima Guerra Mondiale e dopo la Rivoluzione d’Ottobre, quando l’URSS rappresentava un orizzonte di aspettative per milioni di lavoratori. Non c’è nulla di paragonabile oggi.
Il fascismo storico sosteneva un sistema totalitario o, come lo definì la filosofa Hannah Arendt, una fusione senza precedenti di indottrinamento e terrore. L’attuale estrema destra è ultraliberale in patria e intende rafforzare massicciamente le funzioni repressive dello stato. Javier Milei ed Elon Musk brandiscono una motosega come simbolo della distruzione della “burocrazia”, in realtà della previdenza sociale e dei servizi pubblici, per quanto deboli possano essere, radicalizzando il neoliberismo dei decenni precedenti, che aveva presentato lo stato come un ostacolo allo sviluppo economico; si ricordi il discorso di Ronald Reagan del 1981 in cui affermava che “lo stato non è la soluzione, ma il problema”.
Il fascismo storico si basava su movimenti di massa, organizzati attorno a un’ideologia e strutturati da gruppi paramilitari (come le SA in Germania o le Camicie Nere in Italia) che contavano centinaia di migliaia di membri in uniforme. Il loro obiettivo era in particolare quello di distruggere sindacati, partiti e associazioni operaie, che all’epoca contavano milioni di iscritti e centinaia di migliaia di attivisti che difendevano un orizzonte socialista. Oggi, questa organizzazione del mondo del lavoro non esiste più nella stessa scala e l’estrema destra odierna non si basa più su movimenti di massa comparabili.
Sebbene esistano effettivamente gruppi di estrema destra attivi e violenti, i loro numeri sono incomparabili a quelli del periodo tra le due guerre e non sono centralizzati, almeno per il momento, come le forze armate specifiche di uno o dell’altro di questi partiti. L’influenza di questi ultimi si manifesta principalmente durante le elezioni. È essenzialmente elettorale.
È vero che l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte dei sostenitori di Donald Trump ha sollevato timori di un tentativo di colpo di stato. L’evento è stato persino paragonato al fallito putsch di Adolf Hitler del 1923. Oggi, alcuni avvertono che l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) potrebbe fungere da forza armata organizzata a disposizione di Trump. In India, il primo ministro Narendra Modi si affida al Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un’organizzazione paramilitare di strada con profonde radici ideologiche. E in Italia, i violenti attacchi da parte di membri del gruppo neofascista Forza Nuova, tra cui il saccheggio della sede del sindacato CGIL nell’ottobre 2021, suggeriscono preoccupanti possibilità di future mobilitazioni.
Tuttavia, se vogliamo parlare di fascismo oggi, si tratta di un fascismo in gran parte svuotato del suo movimento di massa, ma che, come scrive Alberto Toscano (in Tardo fascismo. Le radici razziste delle destre al potere, Derive e approdi, 2024), conserva l’idea della rinascita nazionale e della promozione delle sue classi produttive, operai e padroni, fianco a fianco. All’inizio del XX secolo, il riferimento al fascismo rimandava a un nuovo fenomeno politico di cui occorreva individuare i contorni, il potenziale di trasformazione e le possibilità di traduzione in altre realtà nazionali. Qual è la situazione oggi?
Il grembo ancora fertile da cui è nata la bestia immonda
Ciò che rende le cose ancora più confuse è il fatto che quella che potremmo definire la “pancia” di alcuni di questi movimenti è composta proprio da persone che si associano apertamente al nazismo e al fascismo (simboli, gesti, abbigliamento, ecc.). Le recenti manifestazioni neofasciste di Parigi o Milano sono solo l’anticamera di questo fenomeno. Se qualche anno fa potevano essere relegate a un fenomeno marginale, a una vaga reminiscenza nostalgica, stanno attualmente acquisendo un significato completamente diverso, che va misurato. Non tanto per ciò che queste manifestazioni ci dicono su chi le guida, quanto per ciò che ci insegnano sul rapporto che le nostre società hanno con il passato.
Umberto Eco (in Il fascismo eterno, La nave di Teseo, 2018) sosteneva trent’anni fa: “Sarebbe così comodo per noi se qualcuno apparisse sulla scena mondiale e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere tornino a sfilare nelle piazze italiane’. Ahimè! La vita non è così semplice”. Oggi queste manifestazioni non appaiono più solo come il volto smorfiato della «maschera fascista dell’Europa», per dirla con la politologa Nadia Urbinati, ma anche (e soprattutto!), come frutto di trent’anni di cancellazione del passato, di banalizzazione dell’orrore e di proclamata equivalenza tra chi si batteva per i diritti democratici, le libertà, l’uguaglianza, l’emancipazione, in gran parte ignaro della sordida realtà dell’URSS stalinista, e chi incarnava l’esatto opposto di questi valori.
Di questo passato non ci sono più testimoni luminosi, per usare l’immagine di Pier Paolo Pasolini (in Scritti corsari, Garzanti, 1975), sono scomparse le lucciole. La fluidità dei riferimenti ha trasformato il racconto in una sorta di stagno che “contiene tutto e il suo contrario”. Così, chi in Occidente ritiene che fomentare il pericolo fascista sia il miglior strumento di mobilitazione si trova sempre più spesso di fronte a una popolazione indifferente, o nella peggiore delle ipotesi condizionata dai modi di pensare e dal vocabolario dell’estrema destra.
Dal “Buongiorno Dittatore” lanciato da Jean-Claude Junker, allora presidente della Commissione europea, a Viktor Orbán, fino alla banalizzazione delle radici politiche di Giorgia Meloni, che lei non nasconde, non si può più apertamente presumere il radicale rovesciamento dei valori, almeno proclamati, su cui si fondano le società occidentali dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Oggi, questo campo politico si sforza di garantire la propria egemonia culturale attraverso il revisionismo storico, l’anti-intellettualismo, la disinformazione e la censura. Per farlo, si affida a una vasta rete di comunicazione – che include siti web, social media, podcast, canali televisivi, giornali e think tank – mentre conduce quella che potrebbe essere definita una “campagna algoritmica permanente”, una nuova forma di potere pervasivo che plasma efficacemente la vita quotidiana, tanto più efficacemente perché si rivolge a una società profondamente atomizzata.
Un termine che evoca più calore che luce
Il filosofo e storico italiano Enzo Traverso sostiene che il concetto di fascismo è al tempo stesso indispensabile e inadeguato, sottolineando, seguendo Reinhart Koselleck, che esiste una tensione tra i fatti storici e la loro trascrizione linguistica. A partire dagli anni Trenta, il fascismo è diventato sinonimo di tutte le forme di reazione oscurantista, di conservatorismo e di autoritarismo, anche in assenza dei suoi “tratti distintivi”.
Alcuni autori estendono l’uso del concetto ben oltre il fascismo storico. In questo caso, si tratta piuttosto di “un insieme più generale di abitudini culturali, istinti e impulsi oscuri che si sono manifestati e potrebbero manifestarsi di nuovo nei più diversi contesti storici e nazionali, anche in assenza di un movimento o regime fascista”. Il concetto di fascismo diventa, in questa prospettiva, un’astrazione incapace di rendere conto di fenomeni concreti, inscritti nel loro tempo, in particolare nei periodi di accelerazione e di “brusche svolte”.
Così, lo storico Robert Paxton ha ribadito di recente in un’intervista al New York Times che l’uso del termine suscita più scalpore che luce, perché “la parola fascismo è stata ridotta allo status di epiteto, il che la rende uno strumento sempre meno utile per analizzare i movimenti politici del nostro tempo”.
Le condizioni economiche cambiano spesso più rapidamente della coscienza umana, giustificando la conservazione di forme morali i cui fondamenti materiali non esistono più. In questo contesto, chiedersi se Trump, Milei, Orbán, Putin, Meloni e Le Pen siano fascisti non contribuisce molto a comprendere le condizioni politiche, economiche e sociali, il terreno, l’ambiente in cui hanno potuto e possono ancora svilupparsi: un XXI secolo segnato dall’impotenza politica di governi e parlamenti nell’influenzare, anche solo minimamente, le politiche decise presumibilmente “dai mercati”, in realtà al servizio degli interessi di una cricca di super-ricchi che regna sovrana sui principali poli del potere globale: Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Giappone e Russia.
Nel Sud, queste politiche portano a guerre senza fine, distruzioni di massa e povertà endemica. Nel Nord, alimentano programmi di austerità sempre più duri, un forte aumento delle disuguaglianze, l’accelerazione della distruzione dello stato sociale o di ciò che ne rimane, giustificando l’ascesa di un autoritarismo che tende all’abbandono delle conquiste democratiche e all’instaurazione di un clima di violenza.
L’ultimo rapporto della Civil Liberties Union for Europe (Clue) colloca il governo di Giorgia Meloni tra quelli che «minano sistematicamente e intenzionalmente lo stato di diritto» attaccando la magistratura, le libertà e i diritti democratici (libertà di stampa e dei media, diritto di manifestazione, diritto di sciopero) a cui si aggiungono «gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani», senza dimenticare la più evidente tendenza alla concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo.
Per quanto riguarda gli USA, per fare solo questi due esempi, i primi cento giorni del secondo governo di Donald Trump lasciano pochi dubbi sullo strangolamento in corso delle libertà democratiche: espulsioni di massa di migranti, licenziamenti massicci nella pubblica amministrazione, attacchi alle leggi sul diritto di voto (vedi in proposito l’articolo su Democracy Docket), censura e tagli al bilancio della ricerca, militarizzazione delle città americane… Oggi Donald Trump sta usando l’omicidio di Charles Kirk come pretesto per guidare una più ampia repressione della sinistra americana.
Comprendere gli attuali cambiamenti nel capitalismo
L’attuale ondata reazionaria e autoritaria globale non è nata dal nulla. È stata caratterizzata da una radicalizzazione delle politiche e dei discorsi neoliberisti dopo la crisi del 2008, da un forte aumento delle disuguaglianze, dall’accelerazione della distruzione delle vestigia dello stato sociale e dall’espulsione di milioni di lavoratori in lavori precari.
L’insicurezza, la paura, la sofferenza, la frustrazione, l’alienazione, l’impossibilità di pianificare il futuro hanno alimentato “un risentimento di classe senza coscienza di classe”. Questa disuguaglianza è solo aumentata negli ultimi anni. Secondo l’ultimo rapporto Takers Not Makers, la ricchezza dei miliardari è cresciuta tre volte più velocemente nel 2024 rispetto al 2023, mentre l’1% più ricco ha accumulato collettivamente più di 33.900 miliardi di dollari in asset dal 2015. All’altro estremo dello spettro, 3,6 miliardi di persone, ovvero il 44% dell’umanità, vivono ora al di sotto della soglia di povertà definita dalla Banca Mondiale.
Oggi, tuttavia, il “nazionalismo del disastro” di cui parla il saggista Richard Seymour ha compiuto un ulteriore passo verso la catastrofe sociale e climatica, che egli nega vigorosamente: “I furiosi attacchi di Trump a tutte le strutture progettate per proteggere il pubblico dalle malattie”, scrivono Naomi Klein e Astra Taylor: “cibo pericoloso e disastri [creano] una moltitudine di nuove opportunità di privatizzazione e profitto per gli oligarchi che stanno alimentando questa rapida distruzione dello stato sociale e delle sue leggi”.
La necessità di comprendere questi sconvolgimenti politici ed economici globali ha dato origine a una serie di dibattiti e studi sulle trasformazioni in corso del capitalismo e sui loro impatti politici, sociali ed ecologici, recentemente ripresi dalla New Left Review. David Riley e Robert Brenner parlano di un nuovo “capitalismo politico”, caratterizzato dalla penetrazione di grandi gruppi privati nelle sfere autoritarie del potere, che ora consente loro di ottenere notevoli profitti in eccesso in un periodo di lenta crescita economica.
La presenza all’insediamento di Donald Trump dei vertici di Meta, Amazon, Google, quelli che l’economista Cédric Durand definisce i “signori tecno-feudali”, costituisce la punta dell’iceberg. Se l’autoritarismo può rappresentare anche, in parte, un’espropriazione politica della borghesia, allora bisogna analizzare anche i difetti, le debolezze e le divisioni interne alla borghesia, come ha dimostrato recentemente l’intervista al miliardario gestore di hedge fund Ray Dialo sul Financial Times.
Di fronte al disastro imminente, si apre un nuovo e importante campo di ricerca sulla svolta del periodo che stiamo vivendo. Superare l’ossessione per il dibattito sul “fascismo” (quell’“altro” la cui semplice menzione sembra garantire la moralità e la legittimità dei partiti e dei sistemi esistenti), analizzando “storicamente” (una parola bandita dall’amministrazione Trump) come siamo arrivati a questo punto. Questa è la sfida che ci attende. E abbiamo il nostro bel da fare.
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