Trentamila: questa è la cifra dei manifestanti che girava in tarda mattinata a Brescia. Difficile dire se sia corretta, viste le dimensioni. Qualcuno ha parlato addirittura di 50 mila. Quando sono arrivato in fondo a via San Faustino, stamattina alle 9,30 ed ho visto che già in piazza Rovetta c’era pieno di gente, con centinaia di bandiere rosse (oltre alle onnipresenti bandiere palestinesi e della pace), ho capito che piazza Loggia aveva esaurito lo spazio, cosa che non succedeva da molti decenni. Nella mia memoria sono dovuto tornare al maggio 1974, dopo la strage fascista e di Stato, per avere la stessa impressione. Neppure le enormi manifestazioni contro il primo attacco alla scala mobile del 1983/84 e contro il definitivo affossamento della stessa nel 1992/93 avevano queste dimensioni. E credo (visto che in quegli anni non ero in Italia) che neppure quelle del Brescia Social Forum del 2001/2003 fossero così nutrite. Il gigantesco corteo che ha percorso la città stamane, e che ha bloccato la tangenziale, con tutti i sindacati degni di questo nome, ha stupito un po’ tutt*, a partire dal sottoscritto. Si vedeva che la marea stava montando nelle ultime settimane, ma non pensavo fosse così rapida e così alta. Ci sarà da riflettere sul perché centinaia di migliaia (se non milioni) di persone sono scese in sciopero e in piazza proprio a partire da qualcosa che, apparentemente, è lontano dai propri interessi immediati (ai miei tempi di sarebbe detto “tradeunionisti”). L’indignazione crescente di fronte ad un vergognoso genocidio trasmesso in tempo reale (cosa che non avveniva per la guerra del Vietnam, per fare un paragone che viene spontaneo) è certamente la scintilla che ha dato fuoco alle polveri, e l’attacco pirata della marina sionista alla flottiglia ha ulteriormente fatto crescere la rabbia. Ma sicuramente c’è qualcosa di più profondo, di più radicale per i tantissimi giovani e meno giovani che hanno riempito le strade di Brescia e di tutte le altre città in Italia e in molti altri paesi. Il disagio sociale, la rabbia di fronte a una palese ingiustizia, la stessa durezza delle forme di lotta (occupazione di stazioni e autostrade, in spregio al decreto repressione ex 1660) che spinge molti a mettere in discussione TUTTE le ingiustizie, è da sempre il motore delle rivolte di massa. La “capa” del governo, con la sua greve ironia da osteria, ha parlato, se non erro, di “rivoluzione” da week-end lungo. Non faccia tanto la spiritosa da quattro soldi, perché il suo sorrisetto arrogante da donna di potere potrebbe trasformarsi prima o poi in un ghigno di disgusto e timore. Sappiamo benissimo che la strada per far maturare, in un movimento per certi versi così acerbo e con poca o nulla esperienza politica, la consapevolezza della necessità di andare oltre la semplice (e giustissima) indignazione contro una delle tante ingiustizie (forse la più eclatante in questi ultimi due anni) è ancora lunga. Per fare i necessari passi verso la comprensione che, alla radice di questa e delle altre ingiustizie, c’è quella che Marx chiamava “l’ingiustizia assoluta”: quella dello sfruttamento dell’essere umano da parte di un altro essere umano. Solo se questa consapevolezza diverrà diffusa a livello di massa, con tutte le conseguenze politiche ed organizzative, la battuta della Meloni si trasformerà, per lei e i suoi sodali (e per i suoi burattinai) in un incubo. Ma come diceva qualcuno: ben scavato, vecchia talpa!
Flavio Guidi



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