di Gianni Sartori
Da un comunicato del 3 settembre di AFP da Al-Qāmishlī, si apprende che le forze di sicurezza curde nel nord-est della Siria (asayis) il giorno prima avevano sventato un tentativo di evasione di massa (oltre una cinquantina di persone) dal campo di al-Hol.
Gestito dall’amministrazione autonoma curda, anche a più di sei anni dalla disfatta dello Stato islamico (Daesh) rinchiude decine di migliaia di familiari dei miliziani jihadisti (o presunti tali) in condizioni oggettivamente difficili.
Il tentativo è avvenuto “a bordo di un veicolo di grandi dimensioni (un camion, un autobus…? nda) che è stato intercettato mentre tentava di forzare l’entrata principale”. Tutti gli aspiranti evasi sarebbero stati catturati.
Stando ai dati forniti dalla direzione del campo, attualmente qui vi sarebbero circa 27.000 persone. Di cui 15.000 siriani e circa 6300 donne e bambini stranieri (almeno 42 diverse nazionalità).
Come è noto sono soprattutto i paesi occidentali che si rifiutano di riprendersi i loro compatrioti ex jihadisti.
Nel 2014 Daesh aveva occupato una vasta area di territorio in Siria e in Iraq e anche dopo la disfatta subita nel 2019 (in gran parte per merito dei curdi) alcune “cellule dormienti” rimangono nascoste nei deserti siriani.
Da dove periodicamente fuoriescono per colpire (ultimamente soprattutto nella zone di Deir ez-Zor) i posti di controllo degli asayis. Con imboscate, bombardamenti, cecchinaggio… allo scopo di destabilizzare la regione (oltre un centinaio gli attacchi dall’inizio dell’anno).
Provocando decine di vittime tra le Forze democratiche siriane e tra i civili.
Il 3 agosto le Unità di protezione del popolo (YPG) annunciavano di aver arrestato nel villaggio di Hassaké un leader dell’Isis incaricato dell’addestramento delle milizie e e nell’identificazione degli obiettivi.
Sempre in agosto le Unità di protezione delle donne (YPJ) confermavano di aver condotto oltre 60 operazioni speciali contro i mercenari jihadisti dall’inizio del 2025, arrestando 64 mercenari, tra cui tre dirigenti.
Altre nuvole oscure si vanno intanto addensando sul nord-est della Siria. Almeno stando alle recenti dichiarazioni del presidente di MHP (Partito del Movimento Nazionalista, Milliyetçi Hareket Partisi), forse propedeutiche a un’operazione congiunta di Ankara e Damasco contro le Forze Democratiche Siriane (SDF), le YPJ e le YPG.
In quanto, secondo Devlet Bahçeli, non si sarebbero allineate all’appello di Ocalan e alla sua richiesta (almeno inizialmente rivolta a tutte le organizzazioni curde) di deporre le armi e procedere all’auto-dissoluzione.
Devlet Bahçeli (il principale alleato di Erdogan e tra i fondatori dei Lupi Grigi) è il soggetto politico responsabile del tentativo in corso (almeno da parte curda) di una “soluzione politica” del conflitto. Aveva infatti chiesto espressamente a Ocalan il disarmo volontario del PKK e delle altre milizie curde.
Richiesta finora respinta al mittente da FDS, YPG e YPJ. In quanto, come dichiarava il 14 agosto Çiğdem Doğu (esponente della Comunità delle Donne del Kurdistan – KJK) “In un contesto del genere (in riferimento ai ripetuti massacri perpetrati dai filogovernativi nelle regioni alavite e druse nda) solo pensare di imporre la resa delle armi alle Forze democratiche siriane significa semplicemente dire “Venite a farvi sgozzare”.
Tanto che anche Pervin Buldan, membro della delegazione del Partito DEM a Imralı, si è sentito in dovere di ricordare che “Abdullah Öcalan aveva approfondito con loro a situazione nel nord e nell’est della Siria”. Spiegando che pur avendo parlato soprattutto della politica turca aveva anche ripetuto che “ La Siria e il Rojava sono la mia linea rossa. Per me questo ambito è diverso”.
Intendendo – presumo – rispetto al Bakur. Il minimo sindacale direi.
Gianni Sartori
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