Fin da piccolo ho sempre preferito il Primo Maggio al 25 aprile. Forse perché mio padre, partigiano comunista, mi portava ad entrambe le manifestazioni, ma il primo maggio mi comperava un garofano rosso e me lo metteva all’occhiello della giacca del “vestito della festa”. O forse perché già allora, mentre ascoltavo la banda che suonava davanti al corteo, mi piaceva di più “L’inno dei lavoratori” (del riformista Turati, ma allora non lo sapevo) a “Bella Ciao” (che continuo a cantare anche se continua a non piacermi molto, tranne nella versione dei Modena City Ramblers). O magari perché mi piaceva di più, già allora, il rosso delle bandiere rispetto al tricolore che riempiva Piazza della Loggia. Può darsi che, dopo tanti anni, la mia memoria di bambino si sovrapponga a quella successiva, di adolescente e poi giovane militante. Crescendo, ed acquisendo una cultura e una coscienza politica “autonoma”, questa dicotomia tra le due feste “nostre” si è accentuata. Andavo senza troppo entusiasmo a tutti i 25 aprile dove, dai 15-16 anni in su, mi trovavo a dissentire (con fischi, slogan, canzoni) da molti dei discorsi fatti dal palco, soprattutto se a farli erano i “nemici” democristiani. E andavo invece molto più volentieri alla sfilata del Primo Maggio, che percepivo come veramente “mia”, con le bandiere rosse e il canto dell’Internazionale. Poi, dopo il 1977 (quando fummo buttati fuori da Piazza Loggia dal servizio d’ordine di CGIL-CISL-UIL) smisi di partecipare a quella che mi sembrava una cerimonia retorica, istituzionale, tricolorata, per nulla attrattiva. Mentre al contrario ho continuato a sfilare il Primo Maggio, a Brescia come a Bruxelles, a Barcellona come a Marsiglia, ovunque mi trovassi nella “Giornata dei Lavoratori”, sentendomi tra compagni, figli della stessa classe sociale internazionale. Negli ultimi 10 anni però le cose sono un po’ cambiate. Un po’ perché i fascisti si sono fatti sempre più numerosi, fino ad arrivare al governo qui ed in altri paesi. E questo ha certamente cambiato la percezione, mia e di altre centinaia di migliaia di persone, del pericolo e della necessità di risposta, anche simbolica. Un po’ perché, per lo meno a Brescia, con l’iniziativa di Carmine Resistente, si è creata una sana tradizione di 25 aprile “alternativo”, senza tricolori (o quasi) e colorato di rosso, che ha portato alla crescita non solo della gioiosa festa al Carmine, ma anche al corteo combattivo e sempre più numeroso che, sfilando per le vie del centro, finiva nella “nostra” Piazza Loggia. Anche oggi, dopo aver portato la mia solidarietà agli antifascisti di Maclodio (vedi l’articolo “Maclodio Kaputt Mundi”) indignati dall’atteggiamento dell’omuncolo che funge da sindacuccio del paesello, ed aver contestato il suo penoso discorsetto da terza elementare (nella versione di “Cuore”, patriottardo e filo-fascista) ho partecipato alla festa al Carmine ed al grande corteo (nonostante la pioggia torrenziale) che è terminato in Piazza Loggia. Un corteo che non si è limitato a ricordare la sconfitta dei nazifascisti di 80 anni fa, ma che ha sottolineato la pericolosa deriva fascistoide del cosiddetto “decreto sicurezza”. Contento di esserci stato. Anche se, absit iniuria verbis, continuo a sentirmi più a mio agio quando canto a squarciagola L’Internazionale o “Nostra patria è il mondo intero” nel “mio” Primo Maggio, che per me resta sempre rosso e internazionalista.
Flavio Guidi
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