di Mario Gangarossa
Non si può affrontare la questione della guerra dal punto di vista del partigiano che cerca le ragioni e i motivi del conflitto.
Chi è l’aggressore e chi l’aggredito, chi ha iniziato per primo, chi ci guadagna o ci perde o, peggio ancora, chi è dalla parte del diritto e chi no.
Nello scontro fra le nazioni ognuno ha i suoi buoni motivi per fare la guerra.
Le sue “ragioni di Stato” che si equivalgono.
Ogni nazione si definisce in concorrenza con le altre, ogni nazione mette al primo posto i suoi interessi.
Bisogna capire che di questo si tratta, degli interessi delle classi dominanti la nazione che si costituiscono in Stati.
Delle scelte politiche di chi quegli Stati li governa.
Sono gli oligarchi, le borghesie dominanti, che si fanno la guerra.
I popoli, se combattono, lo fanno perché costretti o convinti.
Sono i governi che si aggrediscono e si difendono.
I governanti russi hanno tutte le ragioni per sentirsi accerchiati dall’aggressiva Europa, cosi come i governanti europei hanno tutte le ragioni per sentirsi minacciati dall’aggressiva Russia.
Ragionando da russo, da ucraino, da europeo, da americano, da italiano, ragionando da nazionalista non c’è nessuna alternativa alla guerra.
La crisi economica morde a est come a ovest e qualcuno deve pagarla. E qual qualcuno sta oltre i confini della propria patria.
Ragionando da borghese che vuole mantenere e perpetuare l’ordine sociale esistente, che garantisce alla classe dominante i suoi privilegi, i suoi profitti, i suoi lussi, non c’è nessuna alternativa al riarmo e alla guerra.
Ragionando dal punto di vista del proletariato, della classe dominata, che vive la sua condizione di oppressione e di sfruttamento indifferentemente da chi governi i suo paese, dal punto di vista di chi vende il suo lavoro al capitale anonimo e non sa nemmeno più dove vanno a finire i profitti da lui prodotti e quale multinazionale li incassa, la guerra è solo una oscena tragedia recitata sulla sua pelle per decidere chi deve continuare a vessarlo.
La questione è proprio questa.
Chiunque vince o perde le guerre in cui si confrontano le nazioni in concorrenza, per i proletari non cambia nulla.
Che vengano pagati in euro o in rubli, in dollari o in yuan, la loro condizione di merce al servizio del capitale non cambia.
Qualsiasi “ordine mondiale” ci venga apparecchiato, i proletari sono destinati a svolgere la parte degli “schiavi”.
Il contratto di compravendita della forza lavoro, e la subordinazione del lavoro al capitale, non si tocca. Quello è “eterno e immutabile” che ci sia la democrazia o la dittatura.
Tutte le guerre servono solo a cambiare padrone.
Convincere i propri “schiavi” a crepare per una Patria, per qualche chilometro di terra contestata, per una bandiera, per le fortune dei propri generali, per le sorti della propria economia, è il più nefasto inganno che le classi al potere hanno immaginato per garantirsi la continuità e la sopravvivenza.
E chi soffia sul fuoco del riarmo e della guerra è un infame, un criminale, qualsiasi siano i panni con cui si riveste.
Hic Rhodus hic salta.
E’ il momento di fare le proprie scelte.
E scavare un fossato profondo e invalicabile, fra chi si schiera con uno dei briganti in campo fosse anche il proprio brigante nazionale, il proprio Stato, il proprio governo “democraticamente” eletto.
E chi si schiera dalla parte dei “proletari di tutti i paesi” per i quali la guerra è sempre il male peggiore.
I nazionalisti di tutti i colori, neri, rossi, gialli, a pois, vanno isolati e nessun compromesso, nessuna ambiguità, nessuna alleanza è possibile con loro.
Non c’è nessun nemico esterno.
Il nemico è lo Stato in cui siamo condannati a vivere. L’organizzazione militare e burocratica dei nostri padroni.
Non un soldo non un uomo per la sua difesa.
Non un soldo non un uomo per la guerra.
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