Una giornata quasi primaverile, con un cielo terso (così bello quand’è bello, Manzoni dixit) e una temperatura decente. E migliaia e migliaia di lavoratori, metalmeccanici, dei trasporti, del pubblico impiego, e così via, come non si vedevano da molti anni. Landini parla di mezzo milione. Non so se la cifra sia credibile. A Brescia eravamo molti, qualcuno parla di 10 mila persone. Difficile dirlo, ma Piazza del Duomo (perché non Piazza Loggia? Per non urtare la suscettibilità di prefetto, questore e sindaca?) era piena, con una marea di bandiere rosse (e pure centinaia di quelle – peraltro brutte – blu della UIL). Non solo CGIL (che comunque era largamente maggioritaria) e UIL, ma anche buona parte del sindacalismo di base (soprattutto COBAS e CUB), una novità senz’altro positiva. E l’arcipelago dei gruppi e gruppetti dell’estrema sinistra, con i loro volantini e i giornali venduti in maniera militante, come ai vecchi tempi. Non si può dire che la mancata adesione del sindacalismo giallo, CISL in primis, abbia avuto serie ripercussioni nella partecipazione, a parte la visibile assenza delle ridicole bandiere a strisce tricolori (ancor più brutte di quelle della UIL, che almeno sono a tinta unica) dei burocrati cislini.
Quando sono arrivato in piazzale Cesare Battisti (per inciso lo storico luogo di concentramento delle manifestazioni studentesche dei miei tempi), alle 9.05, il corteo era già partito, anche se il grosso era ancora fermo. Ho intuito subito, dalla folla presente, che non era come le altre volte, una sfilata di apparati o poco più. E ho pensato dove infilarmi, col mio cartello “Nessuna guerra tra i popoli, nessuna pace tra le classi”. Per un attimo ho pensato di mettermi in coda, con i compagni del mio sindacato (COBAS scuola) e lo spezzone “NO al ddl 1660”, nato dalle assemblee dell’ultimo mese. Poi un compagno della Bassa mi ha visto e mi ha detto “Andiamo con gli operai della Pasotti di Pompiano”. E il richiamo della foresta (sono un operaista impenitente) mi ha spinto, con alcuni altri di Brescia Anticapitalista, a raggiungere le tutte blu della Pasotti, l’unica fabbrica metalmeccanica che ha avuto il coraggio di scioperare l’8 marzo (e non è la prima volta), e l’unica, nel bresciano, dove è egemone l’opposizione di sinistra nella FIOM. Insieme a questi compagni ho sfilato fino alla fine, cercando ogni tanto (sfidando l’impianto voci che Lino portava sul groppone) di lanciare qualche slogan storico, come quello inventato dai compagni della Breda negli anni ’70: “Lè ura de mocala, töcc i padrù a pic e pala”. Con scarso successo, devo ammettere. Ma è troppo tempo, ormai, che la mia, la nostra classe è stata “silenziata”, resa afona. E ci vorrà del tempo perché riprenda a rialzare la voce, a pretendere ciò che è suo: la fabbrica, la terra, la vita e l’abbondanza, come cantava Lolli. Forse una rondine non fa primavera, ma oggi è stata una bella giornata di lotta. Bentornata, classe operaia!
Flavio Guidi
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