A 1000 giorni dall’inizio della “Grande Guerra” (si era nel gennaio del 1917) milioni di uomini erano già stanchi di massacrarsi a vicenda per i profitti dei pescicani (come li si chiamava allora), dei capitalisti profittatori. E le numerose rivolte, diserzioni, fraternizzazioni (con conseguenti decimazioni e fucilazioni alla schiena) stavano preparando quel triennio rivoluzionario che doveva iniziare poco più di un mese dopo a Pietrogrado. Oggi, purtroppo, i segnali di crisi dei “fronti interni” non sono a quel livello, anche se non manca la parte passiva (le diserzioni e la stanchezza diffusa). Pubblichiamo una riflessione del compagno Gangarossa su questi mille giorni di guerra russo-ucraina.
La guerra ucraina sta concludendosi come era prevedibile si concludesse.
Con una ridefinizione dei confini e delle alleanze e lo spostamento delle trincee di qualche decina di chilometri.
Una INUTILE STRAGE che non cambia, se non in maniera irrilevante la geografia del pianeta, né incide sui rapporti di forza fra i due blocchi imperialisti dominanti data la scarsa importanza strategica delle nazioni-cuscinetto interessate.
Ben altra cosa dal Medio e dall’Estremo Oriente dove si gioca la partita principale.
Ben altra cosa dal Canale di Suez, da dove passa il 12% del commercio e il 30% del traffico container mondiale. Il 10% del petrolio e l’8% del gas liquefatto.
E per restare a casa nostra, il 40% del traffico mercantile nazionale.
Il massacro di una intera generazione di giovani ucraini e in parte (ma solo per un fatto meramente statistico legato alla preponderanza numerica della popolazione) di una intera generazione di giovani russi.
La distruzione di un territorio trasformato in un deserto di macerie.
L’esodo di milioni di civili costretti a abbandonare la loro casa, la fuga di decine di migliaia di disertori, nell’uno e nell’altro campo, esuli dalle loro patrie ostili.
Lo dicevamo all’inizio di questa guerra.
Nell’epoca delle armi nucleari non è possibile vincere una guerra convenzionale.
A un certo punto bisogna fermarsi e trovare una soluzione di compromesso o fare “il salto nel buio”. La guerra totale con l’uso di tutte le armi di distruzione di massa che si possiedono.
L’ Armageddon.
La fine del mondo, almeno di quello che abbiamo imparato a conoscere. E probabilmente la fine dell’umanità espulsa da un pianeta ormai diventato invivibile.
Paradossalmente l’opzione nucleare è l’unico strumento di “pace” capace di fermare l’escalation della guerra.
Non potrà più esserci una Hiroshima senza che dall’altra parte non si scateni un’attacco parimenti distruttivo.
E per quanto qualche inutile idiota, dell’uno o dell’altro campo possa pensarlo, non vedremo le “armate teutoniche” assediare Mosca né l’armata russa alle porte di Berlino.
La guerra finirebbe molto prima con la totale distruzione dei due contendenti.
Gli stessi attori di questa guerra moderna portata avanti con i metodi delle guerre passate lo sanno benissimo.
Nessuno è convinto di poter vincere, come si vinceva nel secolo scorso con l’eliminazione del nemico e il saccheggio delle sue risorse materiali e umane.
Ognuno spera e punta le sue carte sul crollo del fronte interno dell’avversario.
Sulla sua incapacità di continuare a sostenere lo sforzo bellico.
Sulla sua “resa” e il ridimensionamento delle sue pretese.
Ma i primi a rischiare il crollo sono i vasi di coccio, gli anelli deboli: l’Ucraina che si è dissanguata e che ormai sopravvive a sé stessa solo grazie all’assistenza dei suoi interessati alleati.
E poi l’Europa, questa miscellanea rissosa di nazioni in concorrenza, uniti solo dalle banche che ne amministrano i profitti e spartiscono i dividenti.
Dalla finanza e da una moneta dietro la quale non ci sta nulla. Né uno Stato, né una organizzazione militare, né una politica dettata da un comune interesse.
La guerra economica alla Russia fino a ieri partner privilegiato del velleitario imperialismo europeo, le sanzioni, come avrebbe capito un qualsiasi studentello universitario, hanno fatto più male alla sua economia manifatturiera che si è trovata di colpo senza materie prime, senza energia, e con un pezzo del suo mercato naturale chiuso.
Per le nazioni e i governi europei è stato un pessimo affare. Un grande bluff che oggi si rivela in tutta la sua avventurosa insussistenza. Il “dopo guerra” vissuto mentre ancora si combatte sul campo con tutte le sue nefaste conseguenze.
Dalla crisi economica alla crisi politica.
L’Europa ha puntato tutto sulla “carta americana”. Nonostante gli Usa, preoccupati da ben altri e più pericolosi scenari, abbiano sempre escluso un loro intervento diretto e trattato questa guerra come una guerra “per procura”.
Pence lo ha spiegato quando non era ancora il vice di Trump.
“Vorremmo ma non possiamo”.
Gli Usa sono realisti.
Al momento, con gli impegni militari che “la nazione più potente del mondo” ha, l’industria bellica del paese non è più in grado di sostenere la guerra ucraina.
Oggi i fanfaroni di Bruxelles, ammesso che riescano a mettersi d’accordo e a mettere insieme quel governo che non sono riusciti a varare da 5 mesi, hanno una sola carta se vogliono “vincere”. Mandare i loro soldati, i giovani tedeschi, francesi, italiani nel mattatoio ucraino.
Non lo faranno perché sanno che finirebbero appesi ai lampioni.
La guerra è impopolare nell’Europa che ne ha vissute due.
E perfino i nazionalisti e i fascisti del vecchio continente sono per la pace con la Russia, e reclamano il ritorno ai “bei tempi” del passato quando il gas era a buon mercato e la “locomotiva” correva sui binari.
Se i “grandi” hanno deciso che è ora di finire di darsele ed è il tempo di sedersi attorno a un tavolo e ridefinire un equilibrio precario e transitorio, l’Europa a questo tavolo avrà il ruolo del cameriere tontolone a cui si dà la mancia solo per consolarlo della fatica che dovrà fare nel lavare i piatti sporchi.
…
Eppure questa guerra a qualcosa è servita. A dare una boccata di ossigeno alla asfittica e perennemente in crisi economia mondiale.
A rivitalizzare le borse. A rimettere in circolazione i capitali.
A rilanciare gli investimenti in quello che ormai è l’unico settore produttivo capace di valorizzare il capitale.
L’industria bellica.
I produttori di armi, a est come ad ovest, festeggiano da mille giorni ormai.
I magazzino sono stati svuotati e vanno riforniti
E il circolo “virtuoso” che si è creato col riarmo accelerato di tutte le potenze mondiali lascia ben sperare per gli anni a venire.
La produzione bellica è ormai il settore trainante di tutte le economie degne di questo nome.
Non è al servizio delle guerre ma è essa stessa che crea il “bisogno” delle guerre.
Non serve la nazione ma è condizione, componente essenziale della sua natura imperialista.
Finita una guerra se ne fa un’altra, muoiono gli uomini e le donne, si distruggono le città e le fabbriche. Si desertificano le regioni e si cacciano i sopravvissuti.
Rimane il “profitto”, nell’ultima avventura della borghesia che si cannibalizza al suo interno per sopravvivere.
Per gli inutili idioti c’è la retorica ormai stantia e la propaganda dei prezzolati commessi viaggiatori dei produttori di morte.
“Sdradicare il fascismo dall’Ucraina” strillano gli uni. “Difendere la democrazia e la libertà” rispondono gli altri.
L’anonimo azionista in vacanza in qualche paradiso fiscale stacca la sua cedola, anche quest’anno gli è andata bene.
E gli andrà sempre bene fin quando ci saranno dei coglioni disposti a combattere e crepare per la “patria” dei propri oligarchi.
Mario Gangarossa
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