Mentre si profila la vittoria di Trump alle presidenziali USA (con 68 milioni di voti, 6 in meno di quattro anni fa, ma 4 in più rispetto alla Harris – che perde 17 milioni di voti rispetto a Biden del 2020) ripubblichiamo l’articolo uscito sul blog Refrattario e Controcorrente 3 giorni fa. [FG]
Lo storico marxista americano Paul Le Blanc ha elaborato un interessante saggio in occasione di un convegno della Marx Memorial Library di Londra, che si inetrroga sulla possibilità di definire “fascista” il candidato presidente repubblicano. Le Blanc analizza il progetto politico di Trump e della destra americana e lo mette a confronto con le elaborazioni classiche sul fenomeno marxista sorico. Ma analizza anche le responsabilità politiche del Partito Democratico e della sinistra socialista del paese. Lo pubblichiamo qua sotto.
di Paul Le Blanc, storico e saggista sulla storia del movimento operaio, sulla sinistra e sulle varie correnti politiche marxiste, ex attivista della disciolta International Socialist Organisation, da Europe Solidaire Sans Frontières
Donald Trump rappresenta un tipo di politica che ha trasformato in modo potente le realtà politiche degli Stati Uniti, un tipo di politica che alcuni definiscono “trumpismo”. Questa utile etichetta ci aiuta a capire che, a prescindere da ciò che accadrà a Donald Trump – che vada finalmente in prigione o che assuma nuovamente il comando della presidenza degli Stati Uniti, che viva per un altro decennio o che muoia domani – il trumpismo ci accompagnerà per molto tempo. Prima di esaminare il trumpismo, soffermiamoci sulla persona con il cui nome si identifica questo “ismo”.
Un approccio a questo compito potrebbe essere quello di lavorare attraverso l’alfabeto. Iniziando con la lettera “A” – e mettendo da parte le imprecazioni maleducate e offensive – ci imbattiamo nella parola “arrogante”, che certamente si adatta, anche se questa qualità, purtroppo, non è esclusiva di Trump.
Le qualità di Donald Trump includono certamente dinamiche che riflettono le tre B: bigot, bully e braggart (bigotto, prepotente e spaccone). Il suo bigottismo riflette correnti profonde nella cultura, negli atteggiamenti e nella struttura psicologica di milioni di persone negli Stati Uniti. Ha dimostrato che, quando gli fa comodo, può assumere un atteggiamento e un tono da bullo prepotente, che costringe molti alla sottomissione – intimidendo alcuni, deliziando altri. La sua vanagloria assume molte forme: un’ambizione che sottolinea compulsivamente i suoi successi, ma che sostiene anche di essere andato più lontano e di aver ottenuto più di quanto non sia in realtà; un ignorante che glorifica la sua ignoranza (“Non leggo libri!”) sostenendo di sapere molto più di quanto sappia; qualcuno che esagera la stima che la gente ha di lui e si prende il merito di risultati che non sono suoi. Si dovrebbe aggiungere una quarta “b”: billionaire, miliardario, che aggiunge lustro, risorse e autorità a tutto ciò che è coinvolto nell’autocostruzione narcisistica della persona che è Donald Trump.
Prendendo la “C”, la successiva lettera dell’alfabeto, possiamo notare che Trump è per antonomasia, e molto orgogliosamente, un capitalista, e ci sono trentaquattro condanne penali che fanno sì che molti lo etichettino anche come un crook, un truffatore.
Trump e il trumpismo
Proseguendo nell’alfabeto, alcuni critici insistono sul fatto che Trump sia un fascista. Altri si chiedono se sia abbastanza coerente da interpretare il ruolo di un Benito Mussolini o di un Adolf Hitler. Il termine fascista è diventato un insulto liberamente utilizzato per etichettare idee, pratiche e persone che rifiutiamo. Lo stesso Trump lo usa (mescolandolo a termini come “marxisti”, “comunisti”, “terroristi” e “very bad people”, persone molto cattive) per denunciare i nemici che si nascondono nelle aule di tribunale, nei media, nel governo e nel Partito Democratico.
Quanto è disciplinato e determinato Trump come leader politico? Difficilmente può essere paragonato a un Winston Churchill o a un Ronald Reagan, per non parlare di un Mussolini o di un Hitler. “Nella primavera del 2020”, secondo l’editorialista del New York Times Maggie Haberman, “era chiaro a molti dei suoi principali consiglieri che la spinta di Trump a minare i sistemi esistenti e ad abbattere le istituzioni per adattarsi ai suoi obiettivi era accompagnata da un comportamento fantastico e da livelli di rabbia che costringevano gli altri a cercare di tenerlo in carreggiata quasi ogni ora di ogni singolo giorno”.
È istruttivo esaminare l’esperienza di Steve Bannon, uno dei più importanti ideologi di estrema destra che ha ricoperto il ruolo di consigliere centrale nella fase iniziale dell’amministrazione Trump nel 2016. Michael Wolff [giornalista e scrittore specializzato in politica statunitense] ha raccontato quanto segue:
Parte dei compiti di Bannon nella nuova Casa Bianca era quella di essere il custode delle promesse di Trump, meticolosamente consegnate al tavolo bianco del suo ufficio. Alcune di queste promesse Trump le ricordava con entusiasmo, altre non le ricordava affatto, ma era felice di riconoscere che le aveva fatte. Bannon ha svolto il ruolo di discepolo e ha promosso Trump al rango di guru – o di imperscrutabile Dio.
Alla fine Bannon si è esasperato e disilluso, rendendosi conto che i contenuti del programma populista di destra da lui definito “dipendevano interamente dalla disattenzione e dagli sbalzi d’umore di Trump”. Bannon aveva imparato da tempo che a Trump “non importava nulla dell’agenda, non sapeva quale fosse l’agenda”. [Anche se poi Steve Bannon, uscito di prigione qualche giorno fa, martedì 29 ottobre dopo quattro mesi di detenzione, ha iniziato immediatamente a fare campagna elettorale per Donald Trump e a intervenire nella campagna elettorale una settimana prima delle elezioni presidenziali, ndr].
Si rimane colpiti dai resoconti della cosiddetta conferenza stampa di Trump del 31 maggio 2024, dopo le sue condanne penali. Lungi dall’essere un appello di sfida alla destra o al fascismo, “la cosa è stata un po’ una passeggiata”, secondo A.O. Scott del New York Times. Scott aggiunge: “Il signor Trump non è mai stato un oratore ordinato o un costruttore metodico di argomentazioni; egli improvvisa e scommette sul suo successo, associa liberamente e si ripete, allontanandosi da qualsiasi copione possa essere a portata di mano”. Scott riferisce che “il suo modo di fare è stato sommesso” e “curiosamente piatto: una rivisitazione del processo, con qualche gesto verso la posta in gioco politica più grande”. Rex Huppke di USA Today è stato meno caritatevole, descrivendolo come “un pasticcio sconclusionato e incoerente”, con Trump che ha affermato che i testimoni del suo processo sono stati “letteralmente crocifissi”, che il presidente Joe Biden vuole “impedire agli americani di avere automobili” e che il giudice che lo giudicherà è “davvero un diavolo”. Hafiz Rashid del New Republic ha commentato: “A volte, le sue parole erano difficili da seguire, poiché il primo ex presidente condannato partiva per la tangente con frasi senza un fine chiaro”.
Ma ciò che può essere definito “trumpismo” trascende le disfunzioni di questo individuo ormai anziano. Ci sono diversi elementi chiave che contribuiscono a definire ciò che chiamiamo trumpismo.
Una cosa è certa: è armato e pericoloso. Le forze che si sono riunite per assaltare il Campidoglio il 6 gennaio 2021, che comprendevano i Proud Boys, gli Oath Keepers, alcune delle componenti più militanti del movimento Tea Party, gli epigoni della vecchia Confederazione del Sud, vari gruppi nazisti e suprematisti bianchi. Il generale americano Mark Milley, allora presidente degli Stati Maggiori Riuniti, elencò questi gruppi in un quaderno del gennaio 2021, con il commento “Sono una grande minaccia: terrorismo interno”. Secondo Bob Woodward e Robert Costa del Washington Post: “Alcuni erano le nuove camicie nere, in versione statunitense, concluse Milley, dell’ala paramilitare del partito nazista che sosteneva Hitler. Era una rivoluzione pianificata. La visione di Steve Bannon che prende vita. Abbattere tutto, far esplodere, bruciare e riemergere con il potere”. Questi elementi, un tempo marginali, sono entrati nel mainstream politico e sono cresciuti in modo sostanziale, con l’incoraggiamento attivo di Donald Trump e di chi lo circonda. Ma questo individuo astuto, avaro e profondamente limitato e i suoi accoliti sono difficilmente in grado di controllarli.
Un secondo elemento essenziale nella composizione del trumpismo si trova in un gruppo abbastanza diverso di entità e individui conservatori riuniti nel Progetto 2025 della Heritage Foundation, che è diventato il programma della campagna presidenziale. Fondata negli anni ’70, la Heritage Foundation è stata un centro per accademici, intellettuali e politici conservatori fin dalla presidenza di Ronald Reagan. Il suo ultimo sforzo è un volume di 900 pagine, Mandate for Leadership: The Conservative Promise, destinato a fungere da guida politica per una seconda amministrazione Trump, che viene presentato così:
“Questo libro è opera di oltre 400 studiosi ed esperti di politica provenienti da tutto il movimento conservatore e da tutto il paese. Tra i collaboratori figurano ex rappresentanti eletti, economisti di fama mondiale e membri di quattro amministrazioni presidenziali. Questa è un’agenda preparata da e per i conservatori che saranno pronti fin dal primo giorno della prossima amministrazione a salvare il nostro paese dall’orlo del disastro”.
Vale la pena notare che Trump non è affatto il fulcro di questo documento – piuttosto si fa riferimento al “prossimo presidente conservatore”. Trump viene citato spesso e con grande rispetto, ma la Heritage Foundation, i suoi collaboratori e il suo programma sono inquadrati come entità che trascendono questa persona. Le citazioni sono tratte dalla presentazione del progetto.
(Da notare anche alcune stranezze di questa “promessa conservatrice”, tra cui un’apparente sopravvalutazione della “sinistra” e un apparente prestito di idee di sinistra, che verranno discusse nella sezione finale di questa analisi).
Il terzo elemento essenziale del trumpismo è l’attuale Partito Repubblicano. Le figure di spicco e i collaboratori di questo partito – come nel caso del mainstream conservatore nel suo complesso – non hanno iniziato come sostenitori di Trump. Tim Miller, un esperto operativo repubblicano, descrive l’accaduto in questo modo:
Quando sono iniziati i Trump Troubles, non c’era nessuno tra i nostri ranghi che avrebbe mai detto di essere dalla sua parte. Lo trovavamo sgarbato, ripugnante e al di sotto della dignità del servizio pubblico, che noi osservavamo con grande rispetto. Non lo prendevamo sul serio… E non ci avreste mai trovati con uno di quei vistosi berretti da baseball rossi. Ma, prima gradualmente e poi improvvisamente, quasi tutti abbiamo deciso di assecondarlo. Le stesse persone che in privato hanno bollato Donald Trump come una minaccia incompetente hanno servito le sue balle rancide in pubblico quando era opportuno. Hanno continuato a farlo anche dopo che la folla da lui convocata ha macchiato il partito, i nostri ideali e le sale del Campidoglio con la loro merda.
Miller offre una visione da insider del terribile cinismo che permea la leadership del Partito Repubblicano e che ha contribuito al trionfo di Trump tra le sue fila. Considerando l’arena politica come “un grande gioco” attraverso il quale – vincendo – “si aggiudicavano il controllo dello stato, la classe dirigente repubblicana ha ignorato la situazione di coloro che stava usando, diventando sempre più a suo agio nell’usare tattiche che li infiammavano, mettendoli contro i loro simili”. Miller e altri operatori “avanzavano argomenti a cui nessuno di noi credeva” e “facevano sentire la gente in difficoltà per questioni che non avevamo intenzione o capacità di risolvere”. Confessa che spesso veniva utilizzato un razzismo silenzioso e non riconosciuto. E che “queste tattiche sono diventate non solo incontrollate, ma anche amplificate da un ecosistema mediatico di destra con cui eravamo in sintonia e che aveva i suoi incentivi nefasti, risucchiando click e visualizzazioni attraverso la rabbia senza alcuna intenzione di fornire qualcosa che potesse portare valore alla vita della gente comune”. Conclude Miller:
Dovrebbe essere una sorpresa che un ciarlatano che ha passato decenni a ingannare le masse per farle aderire ai suoi schemi piramidali e a comprare i suoi prodotti di merda possa eccellere in un ambiente del genere? Qualcuno che aveva una propria piattaforma mediatica e un istinto rettiliano per la manipolazione? Qualcuno che non esitava a proclamare a voce alta quello che tanti pensavano in silenzio?
“Donald Trump non può avere successo da solo”, ha osservato Liz Cheney, “Dipende da collaboratori e sostenitori”. Cheney, repubblicana conservatrice da sempre ed ex membro del Congresso del Wyoming che ha resistito – più ostinatamente di molti altri – agli sforzi di Trump per spingere il Partito Repubblicano a sostenerlo, ha finito per lamentarsi del fatto che “abbiamo ormai imparato che la maggior parte dei repubblicani attualmente al Congresso farà ciò che Donald Trump chiede, non importa che cosa… Sono molto triste nel dire che l’America non può più contare su un corpo di repubblicani eletti per proteggere la nostra Repubblica”.
Tim Miller ne individua le ragioni psicologiche parlando di una sua amica, tale Caroline. “Caroline è stata risucchiata dal culto”, conclude, “è ossessionata da Trump e lo adora, per quanto ciò possa sembrare sbagliato”. Vede una dimensione molto oscura in questo: “È la seguace masochista che sente il bisogno di essere messa alla prova, abusata e costretta a dimostrare di essere meritevole dell’amore del leader più e più volte”.
Adam Kinzinger, ex deputato repubblicano dell’Illinois, riflette sulla psicologia di alcuni suoi colleghi, commentando: “Più che temere la morte, temono di essere cacciati da una tribù e di perdere un’identità”. La tribù è il Partito Repubblicano, e per quanto riguarda l’identità: “Perderete la vostra identità di membri del Congresso”. Secondo Liz Cheney: “L’amore per il potere è così forte che uomini e donne che un tempo sembravano ragionevoli e responsabili sono improvvisamente disposti a violare il loro giuramento alla Costituzione per convenienza politica e fedeltà a Donald Trump”.
Naturalmente, il Partito Repubblicano ha una storia lunga e complessa. Proprio come nel caso degli altri elementi essenziali del trumpismo, non è iniziato con Trump e non finirà con lui. Gli si può attribuire la responsabilità di aver contribuito a mettere insieme questi elementi, ma a prescindere da ciò che accadrà a Trump, il fenomeno più ampio del “trumpismo” ci accompagnerà ancora per qualche tempo.
Il fascismo del passato… e il fascismo in divenire
Un’altra cosa. Abbiamo a che fare con un fenomeno globale, notato da molti e diversi osservatori, che coinvolge potenti movimenti e, a volte, governi in una sempre più lunga serie di paesi (Argentina, Brasile, Francia, Grecia, Ungheria, India, Italia, Russia, Turchia, Stati Uniti e altri ancora). Una combinazione di termini descrive ciò che sta accadendo – populismo di destra, ultranazionalismo autoritario e xenofobo, ecc. – indicandone il contenuto complesso. A volte si usa la parola “fascismo”, ma il termine “para-fascismo” sembra più appropriato. Il prefisso para- indica la “somiglianza” e il fatto di “avere alcune, ma non tutte le caratteristiche di”. Il termine para-fascismo, nel momento attuale, può essere inteso come “fascismo in divenire”.
Il fascismo è stato molto analizzato e dibattuto, sia tra gli studiosi che tra i teorici e gli attivisti di sinistra. In questa sede ci limiteremo a citare una delle prime analisi del 1923 di Clara Zetkin (compagna di Rosa Luxemburg e pioniera del comunismo tedesco), seguita dai commenti di Leon Trotsky del 1940. [Tutte le successive citazioni sono tratte dall’articolo “Il Fascismo” scritto da Clara Zetkin nel 1923 e che il Refrattario ha tradotto e pubblicato lo scorso anno in occasione del 100° anniversario dalla sua prima pubblicazione. Si nota che tra le citazioni e il testo integrale possono esserci alcune differenze linguistiche, visto che si tratta di due diverse traduzioni]
La qualità globale di questo sviluppo è stata colta nella frase di apertura dell’analisi di Zetkin del 1923: “Il fascismo è l’espressione concentrata dell’offensiva generale intrapresa dalla borghesia mondiale contro il proletariato”. Va ricordato che questa particolare “espressione concentrata” non fu abbracciata dall’intera classe capitalista – settori più ampi della borghesia britannica preferirono sostenere Neville Chamberlin o Winston Churchill piuttosto che il fascista inglese Oswald Mosley, per esempio, e negli Stati Uniti alcuni elementi della classe capitalista contribuirono alla realizzazione del programma del New Deal avanzato da Franklin D. Roosevelt. Ma non possiamo comprendere le realtà di quel periodo, e del nostro, se non ci confrontiamo con la dimensione globale sottolineata da Zetkin.
Questa dimensione globale è inseparabile da un altro aspetto della realtà che Zetkin identifica come radice primaria dello sviluppo fascista, “la disintegrazione e la decadenza dell’economia capitalista, e il sintomo della dissoluzione dello stato borghese”. Aggiunge che “i sintomi di questa decadenza del capitalismo sono stati osservati anche prima della Guerra Mondiale del 1914-18”. Ma la guerra catastrofica “ha distrutto l’economia capitalista fino alle sue fondamenta”. Il risultato fu “non solo… il colossale impoverimento del proletariato, ma anche… la profonda miseria della piccola borghesia, dei piccoli contadini e degli intellettuali”. Come nota Zetkin, “a tutti questi elementi era stato promesso che la guerra avrebbe portato un miglioramento delle loro condizioni materiali. Ma è accaduto l’esatto contrario”, con non solo la devastazione della guerra, ma anche un’improvvisa e massiccia proletarizzazione, unita alla disoccupazione di massa, tra ‘le ex classi medie’. Osserva: “Fu tra questi elementi che il fascismo reclutò un contingente abbastanza considerevole”.
Secondo Zetkin, “la seconda radice del fascismo risiede nel ritardo della rivoluzione mondiale a causa dell’atteggiamento infido dei leader riformisti”. Si riferisce qui ai massicci partiti e sindacati socialdemocratici. Vale la pena di considerare a lungo ciò che descrive:
Un gran numero di piccoli borghesi, compresi i ceti medi, aveva abbandonato la psicologia del tempo di guerra per una certa simpatia verso il socialismo riformista, sperando che quest’ultimo avrebbe portato a una riforma della società secondo linee democratiche. Le loro speranze sono state deluse. Ora possono constatare che i leader riformisti sono in benevolo accordo con la borghesia, e il peggio è che queste masse hanno perso la fiducia non solo nei leader riformisti, ma nel socialismo nel suo complesso. A queste masse di simpatizzanti socialisti delusi si aggiungono ampie fasce di proletariato, di lavoratori che hanno perso la fiducia non solo nel socialismo, ma anche nella propria classe. Il fascismo è diventato una sorta di rifugio per i senza tetto politico.
Questo è il quadro analitico della comprensione del fascismo da parte di Zetkin. L’autrice fa una distinzione importante tra il fascismo e la violenza autoritaria di destra, come quella impiegata dalle forze intorno al leader militare reazionario Miklós Horthy, che nel 1919 represse selvaggiamente i lavoratori socialisti e comunisti in Ungheria, sostituendo un governo operaio abortito con una dittatura di destra.
Zetkin insistette sul fatto che non si trattava di fascismo: “Sebbene i metodi di entrambi siano simili, nella sostanza sono diversi”. Ha spiegato:
Il Terrore di Horthy fu istituito dopo che la rivoluzione vittoriosa, anche se di breve durata, del proletariato era stata soppressa e fu l’espressione della vendetta della borghesia. I capi del Terrore Bianco erano una piccola cricca di ex ufficiali… Al contrario, il fascismo non è la vendetta della borghesia per l’aggressione proletaria, ma è la punizione del proletariato per non aver portato avanti la rivoluzione iniziata in Russia. I capi fascisti non sono una casta piccola ed esclusiva; si estendono profondamente in ampi strati della popolazione.
Zetkin offre una comprensione complessa ed espansiva del significato del fascismo:
La borghesia vuole ricostruire l’economia capitalista. Nelle attuali circostanze, la ricostruzione del dominio di classe della borghesia può avvenire solo a costo di un maggiore sfruttamento del proletariato da parte della borghesia. La borghesia è consapevole che i socialisti riformisti dalla lingua morbida stanno perdendo rapidamente la loro presa sul proletariato e che non le resterà altro da fare che ricorrere alla violenza contro il proletariato. Ma i mezzi di violenza degli stati borghesi cominciano a fallire. Hanno quindi bisogno di una nuova organizzazione della violenza, che viene loro offerta dall’accozzaglia del fascismo. Per questo motivo la borghesia offre tutta la forza a sua disposizione al servizio del fascismo. Il fascismo ha caratteristiche diverse nei vari paesi. Tuttavia, ha due caratteristiche distintive in tutti i paesi: la pretesa di un programma rivoluzionario, abilmente adattato agli interessi e alle richieste delle grandi masse, e, d’altra parte, l’applicazione della violenza più brutale.
L’analisi di Zetkin divenne influente all’interno della prima Internazionale Comunista, anche se fu gradualmente adulterata, dogmatizzata e diluita negli anni che vanno dal 1923 allo scioglimento del Comintern nel 1943. Ma è chiaramente evidente nello sforzo di Leon Trotsky, alla fine della sua vita, di riassumere l’essenziale nella sua discussione del 1940 sulle prospettive politiche negli Stati Uniti. La linea di fondo per i rivoluzionari – che costituiva un titolo di questa sezione del documento – si compone di otto parole: “Il fascismo arriverà solo se noi falliremo”. Ma, naturalmente, Trotsky ha molto altro da dire. Due estratti, tuttavia, saranno sufficienti [queste citazioni sono tratte da Some Questions on American Problems, appunti redatti da Leone Trotsky il 7 agosto del 1940]. Ecco il primo:
In tutti i paesi in cui il fascismo ha vinto, abbiamo avuto, prima della crescita del fascismo e della sua vittoria, un’ondata di radicalismo delle masse, degli operai e dei contadini più poveri e della classe piccolo-borghese. In Italia, dopo la guerra e prima del 1922, abbiamo avuto un’ondata rivoluzionaria di dimensioni enormi; lo stato era paralizzato, la polizia non esisteva, i sindacati potevano fare tutto quello che volevano – ma non c’era un partito capace di prendere il potere; come reazione è arrivato il fascismo”.
Ecco il secondo estratto:
Non dobbiamo identificare la dittatura di guerra – la dittatura della macchina militare, del personale, del capitale finanziario – con la dittatura fascista. Per quest’ultima è necessario innanzitutto un sentimento di disperazione di grandi masse del popolo. Quando i partiti rivoluzionari li tradiscono, quando l’avanguardia dei lavoratori si dimostra incapace di condurre il popolo alla vittoria, allora i contadini, i piccoli imprenditori, i disoccupati, i soldati, ecc. diventano capaci di sostenere un movimento fascista, ma solo allora”.
Il fascismo descritto da Zetkin e Trotsky non si è cristallizzato negli Stati Uniti, ma è plausibile sostenere che gli elementi convergenti del trumpismo rappresentino un “fascismo in fieri”.
Il potere, il fallimento e il futuro della sinistra statunitense
Ci sono interrogativi a cui rispondere. Uno riguarda proprio l’applicazione delle prospettive di Zetkin e Trotsky alla realtà degli Stati Uniti. Un altro riguarda le già citate caratteristiche del documento “Promessa conservatrice” della Heritage Foundation per il 2025. Rispondendo a questi interrogativi, si spera di ottenere una migliore percezione della realtà politica degli Stati Uniti, nonché del potere, del fallimento e del possibile futuro della sinistra statunitense.
Abbiamo già notato le dimensioni globali – non meno di quanto fosse vero ai tempi di Zetkin e Trotsky – della questione che stiamo trattando. Inoltre, stiamo assistendo, nel nostro come nel loro tempo, a una crisi pluridecennale del capitalismo che ha generato politiche capitalistiche dannose per gli standard di vita e per la qualità della vita dei milioni di lavoratori in molti paesi, compresi gli USA – la ristrutturazione pluridecennale dell’economia associata alla “globalizzazione”. Anche gli impatti catastrofici del degrado ambientale globale e la violenza imperialista su più fronti sono sotto gli occhi di tutti.
D’altra parte, almeno superficialmente, la sinistra organizzata (sia essa guidata da partiti socialisti o comunisti, sindacati militanti o altro) è ben lontana dal rappresentare una minaccia rivoluzionaria o dal mantenere una presenza credibile – almeno nella patria di Donald Trump, gli Stati Uniti d’America. Questo fa sì che il documento “Promessa conservatrice” della Heritage Foundation appaia come un esercizio assurdo, allarmistico e calunnioso quando (nello stesso momento in cui attacca il Partito Democratico) solleva un polverone sulla “sinistra” e sui “marxisti”.
La promessa apparente di Trotsky era che noi della sinistra avremmo avuto la possibilità di fare una rivoluzione prima che la minaccia del fascismo diventasse seria. È così che molti di noi hanno inteso l’asserzione che “il fascismo arriverà solo se falliremo”. La possibilità che il trumpismo si trasformi in fascismo sarebbe così preclusa. Ma questo implica un grave fraintendimento della nostra storia, che in modo unico corrisponde allo sviluppo descritto da Zetkin e Trotsky. In un senso importante, i conservatori allarmisti della Heritage Foundation hanno ragione.
Nel secolo scorso, la sinistra organizzata ha avuto un impatto potente, influenzando la politica, le leggi, la coscienza e la cultura degli Stati Uniti. Il movimento sindacale, le ondate di femminismo, i movimenti antirazzisti e per i diritti civili, le lotte contro la guerra del Vietnam, i vari movimenti studenteschi e altri ancora – che hanno contribuito a portare cambiamenti di vasta portata sulla scena americana nel corso di molti decenni – non sarebbero stati altrettanto efficaci (e non sarebbero potuti nascere) senza gli sforzi organizzativi essenziali degli attivisti di sinistra.
A questo si accompagnava però un altro sviluppo. Sebbene un elemento significativo tra gli attivisti di sinistra insistesse sulla necessità di un’indipendenza politica dai partiti politici filocapitalisti, esso fu ampiamente sopraffatto da una profonda tendenza adattazionista. Nel decennio rosso degli anni ’30, la convergenza tra le forze di orientamento socialista e un social-liberalismo in qualche modo espansivo fu particolarmente accelerata, poiché il Partito Democratico sotto Franklin D. Roosevelt “rubò” molte componenti di riforma dal programma socialista. Ciò fu fatto, come insistette Roosevelt, per salvare il capitalismo durante gli anni della rabbiosa depressione, ma anche per garantire la sua popolarità e la sua elezione. Inoltre, la maggior parte della sinistra organizzata fu assorbita dalla coalizione del New Deal.
Nell’arco di mezzo secolo, sei punti di snodo decisivi hanno reso quasi completo l’assorbimento della sinistra organizzata nel Partito Democratico.
- Il movimento sindacale degli anni ’30 – in particolare il nuovo Congress of Industrial Organizations, dinamicamente orientato a sinistra – strinse una solida alleanza con i Democratici del New Deal di Roosevelt.
- La decisione dell’Internazionale Comunista di Joseph Stalin, nel 1935, di formare un’alleanza di “Fronte Popolare” con i capitalisti liberali come Roosevelt, portò i fino ad allora dinamici comunisti statunitensi nella coalizione del Partito Democratico.
- All’inizio della Guerra Fredda, la maggior parte del movimento sindacale organizzato (insieme alla maggior parte dei socialisti moderati) abbracciò il programma anticomunista e liberalcapitalista del Partito Democratico, portando a un ampio “patto sociale” e consenso liberalcapitalista, dalla fine degli anni Quaranta agli anni Cinquanta.
- La coalizione per i diritti civili dei primi anni Sessanta divenne intimamente legata al partito di John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson.
- Negli anni Settanta e Ottanta, gran parte della “nuova sinistra” degli anni Sessanta si impegnò nell’ala riformista del Partito Democratico.
- Con l’inizio del XXI secolo, nuove ondate di giovani attivisti si sono unite a quelle più anziane, tra promesse radicali e speranze vertiginose, per portare Barack Obama alla Casa Bianca.
Fin dall’inizio del XX secolo, la sinistra organizzata è stata una forza dinamica di notevole importanza negli Stati Uniti. Tra i lavoratori e gli oppressi, ha mobilitato lotte efficaci che hanno ottenuto vittorie autentiche. Ha ispirato la speranza di ulteriori lotte efficaci che avrebbero fatto avanzare i diritti umani, migliorato la vita della maggioranza della classe operaia e fatto nascere un mondo migliore. Tra i ricchi e i potenti, naturalmente, ha ispirato paura e rabbia.
Alla fine del secolo, attraverso il processo che abbiamo tracciato, la sinistra organizzata era in gran parte evaporata. Parte della sua retorica, molti dei suoi valori e gran parte del suo programma di riforme (spesso in forma diluita) potevano essere ritrovati nel Partito Democratico. Tuttavia, un impegno sincero e concreto per sostituire la dittatura economica del capitalismo con la democrazia economica del socialismo non era più sul tavolo. Ciononostante, tra i ricchi e i potenti c’era chi provava ancora paura e rabbia, ma anche una profonda determinazione a recuperare il terreno perduto.
Le analisi di Zetkin e Trotsky possono essere adattate a questo contesto molto diverso. Secondo Zetkin, negli anni Venti, “i socialisti riformisti dalla voce morbida stanno perdendo rapidamente la loro presa sul proletariato”, soprattutto perché “i leader riformisti sono in benevolo accordo con la borghesia”. Cento anni dopo, negli Stati Uniti, una “avanguardia operaia” altamente compromessa nei sindacati (AFL-CIO) e nell’ala “progressista” del Partito Democratico aveva, probabilmente, dimostrato “la sua incapacità di condurre il popolo alla vittoria”, in particolare mentre l’economia capitalista globale entrava in un lungo periodo di crisi. I partner capitalisti dei riformisti – inizialmente così generosi – si sono sentiti costretti a ristrutturare l’economia a spese della classe operaia, e i riformisti si sono sentiti in grado di fare poco più che adattarsi. Quando le imprese “troppo grandi per fallire” hanno fatto crollare l’economia nel 2008-2009, il neoeletto riformista radicale Barack Obama si è affrettato a salvare l’élite imprenditoriale a spese della maggioranza della classe operaia. In una situazione del genere – quando la sicurezza, la stabilità e la qualità della vita cedono il passo alla catastrofe sociale ed economica – masse di persone disilluse da questa variante della cosiddetta “sinistra” sono inevitabilmente portate a cercare alternative tra i demagoghi di destra.
I demagoghi possono essere rozzi come Trump, ma anche raffinati come la Heritage Foundation. Questo ci porta a un’altra strana piega del documento “Promessa conservatrice”. Abbiamo visto la logica della sua “sopravvalutazione” della sinistra. Ma più di una volta, il documento suona una nota apparentemente di sinistra, come in questa descrizione radicalmente fiorita della “Rivoluzione americana”:
La Repubblica americana è stata fondata su principi che danno la priorità e massimizzano i diritti degli individui a vivere la loro vita migliore o a godere di ciò che i “Framers” , i padri costituenti, chiamavano “le benedizioni della libertà”.
È questa uguaglianza radicale – libertà per tutti, non solo di diritti ma anche di autorità – che i ricchi e i potenti, le élite hanno odiato della democrazia in America fin dal 1776. Non sopportano l’audacia degli americani nell’insistere che non abbiamo bisogno di loro per dirci come vivere. È questo diritto inalienabile di autodirezione – l’opportunità di ciascuno di dirigere se stesso e la propria comunità verso il bene – che la classe dirigente disprezza”.
La nota apparentemente di sinistra viene suonata ancora e ancora. “Le élite al potere si scagliano contro le restrizioni e le responsabilità che vengono loro imposte”, ci viene detto. “Centralizzano il potere verso l’alto e lontano dal popolo americano”. Il “Progetto 2025” adotta il tono di molti agitatori di sinistra: “Le élite aziendali e politiche americane non credono negli ideali a cui è dedicata la nostra nazione: autogoverno, stato di diritto e libertà ordinata. Di certo non si fidano del popolo americano e disprezzano le restrizioni della Costituzione alle loro ambizioni”. Approfittando del fatto che gran parte della cosiddetta “sinistra” si è unificata con il liberalismo pro-capitalista dell’élite del Partito Democratico, il documento denuncia che “i socialisti… sono quasi sempre benestanti”, insistendo sul fatto che “quelli di sinistra non credono che tutti gli uomini siano creati uguali – pensano di essere speciali”, aggiungendo: “Più la sinistra dirige la politica federale e le istituzioni d’élite, più la nostra sovranità, la nostra Costituzione, le nostre famiglie e la nostra libertà sono un passo più vicine a scomparire”.
Nonostante gli sforzi radical-democratici del “Progetto 2025”, tuttavia, la linea di fondo è una difesa del capitalismo sfrenato. L’obiettivo primario per il presidente degli Stati Uniti, ci viene detto, dovrebbe essere quello di liberare “il genio dinamico della libera impresa”, perché nei paesi in cui c’è “un alto grado di libertà economica, le élite non comandano perché tutti comandano”. Per questo “Progetto”, ‘elitarismo, la corruzione, l’avidità e il disprezzo per la gente comune che prevalgono nella sfera politica sono miracolosamente assenti nella sfera economica. La “libera impresa” capitalista è davvero meravigliosa: “Le persone lavorano, costruiscono, investono, risparmiano e creano secondo i propri interessi e al servizio del bene comune dei loro concittadini”.
Da alcune cose che il “progetto” dice, e da quelle che non dice, si può solo supporre che gli autori del documento sarebbero lieti di ricevere qualsiasi sostegno alla realizzazione di questa visione luminosa da parte delle forze che si sono mobilitate il 6 gennaio 2021 per mantenere Donald Trump in carica – Proud Boys, Oath Keepers, milizie di destra, contingenti nazionalisti bianchi, ecc.
C’è sicuramente un potenziale fascista nella situazione attuale – alcuni elementi sembrano essersi cristallizzati sotto i nostri occhi. A prescindere dal fatto che questa cristallizzazione sia completata o meno, sembra chiaro che per la sinistra sia necessario un percorso diverso da quello di rimanere intrappolata in un accomodamento con il capitalismo, soprattutto in questo lungo periodo di crisi e catastrofe capitalista. I rivoluzionari faranno tutto il possibile per ricostruire e rinnovare un orientamento, un insieme di lotte, un movimento e un’organizzazione coerenti con le intuizioni di Clara Zetkin e Rosa Luxemburg, di Leon Trotsky e Vladimir Lenin e di molti altri che hanno riconosciuto che ci troviamo di fronte alla fatidica scelta tra un socialismo genuino e una barbarie orribile.
Crisi di fondo, oppressioni profonde e rabbia repressa hanno periodicamente portato a sorprendenti esplosioni di attivismo – come il movimento Occupy Wall Street e le rivolte di Black Lives Matter – che hanno spinto la realtà politica qualitativamente verso sinistra. Questo dà energia ed espande il numero di coloro che fanno parte della sinistra attivista. Naturalmente, tali sviluppi inevitabilmente approfondiscono anche la paura e aumentano la determinazione di coloro che sono a destra – non c’è modo di fermarli. I partigiani del trumpismo useranno sempre queste cose per i loro scopi.
Il problema è che la rabbia e le energie di massa della sinistra – che non possono essere sostenute all’infinito – attualmente non hanno dove andare, una volta che il polverone si sarà posato, se non in una delle due direzioni: o la quiescenza apatica o i canali riformisti. Questi canali sono compromessi dal liberalismo imprenditoriale e si sono dimostrati incapaci di trascendere il sistema economico che genera le crisi, le oppressioni e la rabbia. La creazione di qualcosa di migliore e più efficace sembra essere all’ordine del giorno.
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Guarda che lo spoglio è ancora in corso. Ora Trump ha 72 milioni 600 mila voti e manca un pò Arizona, di Nevada e mezza California. Probabilmente supererà i 74 milioni del 2020. Kamala Harris, anche qui probabilmente , chiuderà con 8/9 milioni meno di Biden. L’affluenza sarà quasi sicuramente inferiore al 2020. A Paul Le Blanc, nel suo articolo, sembra che stia più a cuore riaffermare una certa ortodossia che non capire cos’è il trumpismo al di là di singolari definizioni di para-fascismo e fascismo in fieri.
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Avevo introdotto con i dati provvisori di ieri sera
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