Il 19-20-21 aprile si terrà a Chianciano il IV congresso di Sinistra Anticapitalista, l’organizzazione a cui aderiscono molt* compagn* dell’area che ha dato vita a questo blog, ormai più di 8 anni fa. Un congresso che si tiene in uno dei periodi più bui degli ultimi decenni, non solo in Italia, ma nel mondo intero. Guerre, crisi ambientale sempre più devastante, crisi sanitaria, crisi economica che, con alti (pochi) e bassi (molti) ha colpito la maggior parte dei paesi dopo il 2007/08: questo è il quadro desolante che abbiamo di fronte. E, a livello politico generale, l’affermarsi dell’autoritarismo e delle idee di destra (spesso estrema) in quasi tutte le aree del pianeta, che sembra ridurre lo “scontro” ideologico alle due varianti del pensiero borghese: il liberalismo (più o meno conservatore) da un lato, la reazione più nera (in versione pseudo-laica o religiosa poco importa) dall’altro. Il terzo incomodo, il pensiero socialista, sembra respinto sullo sfondo, quasi impercettibile agli occhi delle grandi masse, soprattutto in Italia, ma non solo. Ovviamente questa tendenza alla barbarie non è, per fortuna, inarrestabile. Seppur con difficoltà, esistono delle controtendenze, anche nel nostro paese, un tempo “faro” della sinistra europea (o quasi) ed ora fanalino di coda (per lo meno nella parte più avanzata del continente). Controtendenze che, come rivoluzionari, non possiamo che sforzarci di sviluppare ed estendere. Ostinatamente controcorrente.
Ecco le tesi proposte dal Comitato Politico Nazionale, che sono in discussione in queste settimane nei vari circoli. Il circolo di Brescia, nella prima riunione precongressuale tenutasi il 19 febbraio, ha proposto due brevi emendamenti riguardanti la valutazione sulla guerra russo-ucraina e sull’aggressione sionista in Palestina, che troverete in grassetto e sottolineati in basso. Il congresso, come è evidenziato nelle tesi stesse, è aperto a simpatizzanti e militanti di altre organizzazioni rivoluzionarie.
Quarto congresso nazionale di Sinistra Anticapitalista
Tesi del CPN da sottoporre alla discussione congressuale
La ricostruzione della sinistra anticapitalista per il rilancio di un progetto di società ecosocialista, femmi-nista e internazionalista
Indice
Preambolo 2
–Tesi 1: Il nostro internazionalismo è solidarietà tra le classi lavoratrici e con i popoli oppressi nella lotta contro tutti gli imperialismi
–Tesi 2: Il progetto reazionario del governo Meloni va sconfitto con la mobilitazione di massa
–Tesi 3. Le lotte in difesa dell’ambiente dalla devastazione capitalistica sono una priorità per la classe lavo-ratrice
–Tesi 4. Nelle lotte femministe per un movimento internazionale contro patriarcato e capitalismo
–Tesi 5. La classe lavoratrice unita e indipendente deve riconquistare diritti e salario e tornare protagonista per rovesciare i rapporti di forza sociali
–Tesi 6. Partecipiamo alla costruzione di movimenti sociali indipendenti e radicali
–Tesi 7. Difendiamo e rilanciamo la sanità pubblica e lo stato sociale, finanziato con la tassazione di profitti e grandi patrimoni
–Tesi 8. Per una nuova istruzione e ricerca pubblica indipendente dalle esigenze del capitale
–Tesi 9. Inauguriamo l’università ecosocialista d’estate
–Tesi 10. Una comunicazione efficace, partecipata e controcorrente
–Tesi 11. Per una organizzazione che valorizzi la partecipazione e il contributo di tutte e tutti nella costruzione dell’alternativa politica e sociale
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Preambolo
La sopravvivenza della specie umana sulla terra è oggi in questione. Il sistema capitalistico sta producen-do una devastazione ambientale che potrebbe avere conseguenze disastrose per il genere umano nel gi-ro di un paio di generazioni. L’attività economica così come è organizzata nel capitalismo, con la sovrapproduzione sistematica di beni materiali, spesso inutili, sta determinando un cambiamento clima-tico che ha già raggiunto un punto di non ritorno. Le catastrofi naturali sono già in corso e i loro effetti hanno una caratterizzazione sociale evidente.
Occorre invertire il disastroso processo di surriscaldamento climatico e di ecocidio capitalista.
L’umanità si trova oggi di fronte ad una scelta radicale: ecosocialismo o barbarie!
La nostra proposta politica ecosocialista corrisponde a una trasformazione sociale rivoluzionaria
attraverso un profondo passaggio da criteri economici quantitativi ad altri qualitativi, con il
dominio del valore d’uso piuttosto che del valore di scambio. È qui, nel nuovo rapporto tra l’essere umano e la natura, che sta la doppia valenza dell’ecosocialismo: nell’emancipazione dallo sfruttamento capitalista dell’uomo sull’uomo e sulla donna e nell’emancipazione dallo sfruttamento dell’uomo sulla natura.
Il capitalismo è uscito dal secolo scorso presentandosi come unico modello sociale possibile, dopo il collasso dei regimi burocratici dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati. La fine del cosiddetto “socialismo reale” è stato in realtà il fallimento di quella degenerazione che ha gettato fango sulle aspirazioni e sulle idee rivoluzionarie di larghe masse di lavoratrici e lavoratori, di sfruttate/i e oppresse/i, di giovani e di donne che in tutto il mondo nel corso del Novecento hanno lottato per un’alternativa di società, per un vero socialismo. Tuttavia quel fallimento ha screditato non solo le degenerazioni burocratiche del socialismo, ma la stessa idea che si potesse rovesciare il capitalismo e costruire un mondo più giusto, in una parola l’idea stessa della rivoluzione.
In Italia, la sinistra politica a sinistra del PD è ridotta ai minimi termini e, analogamente a quanto avviene in altre parti del mondo, oscilla con varie sfumature tra due opzioni ugualmente sbagliate.
Da una parte quelle formazioni politiche che nei fatti hanno accettato l’ineluttabilità del capitalismo e che sono disposte ad alleanze con i partiti della borghesia, nell’illusione che sia possibile governarlo ed attutirne le contraddizioni. Abbiamo definito questa parte “sinistra ornamentale”, perché la sua funzione si limita ad abbellire con qualche proposta progressista i programmi politici di chi vuole comunque perpetuare l’oppressione e lo sfruttamento dei pochi sui molti e sulle molte e sulla natura.
Dall’altra parte ci sono quelle formazioni politiche, più radicali nelle proposte ma anche queste non sempre coerenti nelle alleanze, che si richiamano nostalgicamente ad un passato travisato, a gruppi dirigenti che hanno infangato il socialismo, e/o peggio ancora travisano il presente, individuando come punti di riferimento politici regimi che con il socialismo non hanno mai avuto niente a che vedere, che magari possono contrapporsi, per motivi di interessi contingenti, all’imperialismo dominante, ma mettono in pratica una barbarie reazionaria fondata sul nazionalismo, sul fondamentalismo religioso o sulla volontà di potenza neoimperiale. Anche questa sinistra, che potremmo definire passatista o campista, disorienta le avanguardie ed è condannata a rimanere ininfluente per un’ipotesi di cambiamento rivoluzionario.
Il trionfo del capitalismo e la sua capacità egemonica non significa però che si sia liberato dalle sue stesse contraddizioni. Anzi, queste sono ancora più evidenti e profonde nel XXI secolo di quanto non lo fossero in precedenza. Contro la barbarie della guerra, della devastazione ambientale, dell’oppressione di genere e dello sfruttamento di classe, oggi più che mai è necessaria una rivoluzione politica e sociale! La sola opzione corretta per una sinistra anticapitalista è quella della rottura rivoluzionaria con il capitalismo e con le sue istituzioni statali, pensate per garantire lo sfruttamento di classe della borghesia sul prole-tariato, sulle donne e sulla natura e la presa del potere delle lavoratrici e dei lavoratori autorganizzate/i. Per questo proponiamo di ricostruire una sinistra anticapitalista, nel solco tracciato dalle idee di Marx ed
Engels, di Rosa Luxemburg e Lenin, di Antonio Gramsci, di Trotskij e Che Guevara, ma soprattutto
prendendo ispirazione dalle grandi lotte anticapitaliste che hanno visto protagoniste le masse delle sfruttate/i e delle oppresse/i: la rivoluzione d’ottobre, la resistenza antifascista, il sessantotto, le lotte femministe, il movimento altermondialista all’inizio del nuovo millennio.
Siamo la sezione italiana della Quarta internazionale, una corrente politica rivoluzionaria che ha aggre-gato nel Novecento tante e tanti marxiste/i, che hanno lottato contro il capitalismo, ma anche contro la degenerazione burocratica e riformista del socialismo rappresentata dallo stalinismo. Una corrente che è stata in prima linea nei movimenti sociali e che ha aggiornato l’analisi e le proposte del marxismo sulla base delle istanze del femminismo e della liberazione sessuale, dei movimenti LGBTQIA+ e infine con quelle dei movimenti ambientalisti, mettendo al centro la proposta ecosocialista e la lotta contro a devastazione capitalistica dell’ambiente e della natura.
Oggi la Quarta internazionale è un importante spazio di discussione e di elaborazione a cui partecipano organizzazioni rivoluzionarie da tutti i continenti. Parteciperemo al diciottesimo congresso mondiale della Quarta internazionale, che si terrà nel 2025, costruendo una campagna di approfondimento programma-tico intorno al manifesto ecosocialista che verrà adottato in quella sede. Ne vogliamo discutere insieme alle altre correnti politiche che si richiamano in Italia allo spazio della Quarta internazionale ed a tutte le militanti e i militanti sociali che hanno chiara la necessità di una prospettiva mondiale del cambiamento.
Le nostre lotte sono intersezionali, perché pensiamo che una liberazione autentica dallo sfruttamento e dall’oppressione sia tale solo se non lascia indietro nessuna e nessuno. Le lotte antimperialiste, demo-cratiche, di classe, transfemministe, libertarie, devono trovare una comune radice, relazionarsi e rafforzarsi l’una con l’altra e costruire insieme un progetto comune.
Avanziamo una proposta politica ecoscocialista, cioè di un percorso di lotta verso una futura società basata sulla cooperazione su scala mondiale tra gli esseri umani liberi/e ed uguali, nel rispetto dell’am-biente naturale e degli animali, sulla pianificazione democratica e partecipata dell’economia ad ogni livello. Apriamo il nostro congresso e ci rivolgiamo alle militanti ed ai militanti dei movimenti sociali ed a tutti coloro che come noi pensano che non sia più rinviabile un cambiamento rivoluzionario. Costruiamo insieme un’organizzazione politica che lavori su questa prospettiva.
Tesi 1: Il nostro internazionalismo è solidarietà tra le classi lavoratrici e con i popoli oppressi nella lotta
contro tutti gli imperialismi.
La nostra idea di convivenza tra le donne e gli uomini nel mondo è basata sulla solidarietà tra i popoli, nel diritto di ciascuno a decidere del proprio destino, collaborando per costruire dappertutto una società più giusta e rispettosa dell’ambiente. Il capitalismo è da sempre andato nella direzione opposta, fomentando le contrapposizioni tra i diversi imperialismi e producendo guerra e devastazione ambientale. Il cosiddetto multipolarismo spesso invocato a sproposito anche a sinistra, è in realtà una situazione di caos geopoli-tico, in cui le potenze imperialiste minori ed emergenti, come quelle dei Paesi BRICS, contendono sfere d’influenza all’imperialismo USA e aumentano i rischi di guerre locali e globali. La costruzione e l’allargamento dei Brics è parte della ridefinizione dei rapporti di forza su scala mondiale, in cui numerosi paesi cercano di disporre di strumenti economici, finanziari e politici maggiori per difendere gli interessi delle loro classi dominanti rispetto agli imperialisti maggiori; partecipano anch’essi alla corsa al riarmo. La
maggior parte di loro conoscono regimi o governi dispotici, fortemente patriarcali ed anche fascisti, caratterizzandosi, a loro volta, per lo sfruttamento e l’oppressione delle loro classi lavoratrici e popolari.
Le contraddizioni tra le potenze imperialiste stanno trascinando il mondo ancora una volta sull’orlo di una guerra mondiale, potenzialmente ancora più devastante delle due grandi guerre del secolo scorso. La produzione di armamenti, sempre più devastanti, non è mai stata ai livelli odierni e il complesso industriale-militare ha voce in capitolo sulla politica estera e sulla difesa non più solo degli USA. Non è ultima in questo neanche l’Italia, che con il governo Meloni ha messo a capo della difesa il ministro Crosetto, rappresentante dell’associazione degli industriali delle armi. L’Europa ha deciso di dare vita alla missione nel Mar Rosso, la missione Aspides, di cui l’Italia assume il comando tattico. Con questa mis-sione L’Ue e l’Italia tentano di ritrovare un loro protagonismo, difendendo quelle vie commerciali che ritengono di cruciale interesse.
Ci opponiamo con forza all’aumento delle spese militari attuato in particolare in Europa con il pretesto della guerra scatenata da Putin in Ucraina, così come all’ingerenza dell’imperialismo statunitense, a tutt’oggi ancora dominante nel mondo e che vuole mantenere il suo dominio a tutti i costi, a cui sono subalterne anche le potenze europee.
L’imperialismo statunitense, ha colto la guerra russa contro l’Ucraina come un’opportunità per rafforzarsi ulteriormente. Si tratta del tentativo di strumentalizzare l’Ucraina nella rivalità interimperialista con la Russia. La NATO ha colto l’occasione per ingrandirsi e gli Stati membri della NATO stanno usando l’inva-sione russa come pretesto per aumentare massicciamente i loro bilanci militari. Vogliamo l’immediato scioglimento della NATO e della CSTO. Questi blocchi militari di Stati imperialisti sono nemici dell’eman-cipazione sociale e nazionale.
Sosteniamo il diritto del popolo ucraino a resistere all’invasione e ad autodeterminarsi e condanniamo fermamente il neoimperialismo russo. [sostituire queste righe con: Sosteniamo il diritto di tutti i popoli dell’Ucraina, della Russia (e di ogni altro stato e territorio) all’autodeterminazione e condanniamo fermamente il neoimperialismo russo, che appare sempre più seguire le orme del vecchio imperialismo zarista. Lungi dall’essere una espressione di resistenza all’imperialismo di USA e Nato, la politica neoimperiale di Putin è l’avanguardia della destra nazionalista nel mondo, oltre ad essere un regime antipopolare e oppressivo al proprio interno. Sosteniamo la sinistra di classe in Ucraina e in Russia nella loro lotta comune contro Putin e nell’opposizione alla linea politica liberista, atlantista e autoritaria del governo Zelensky. [sostituire con: Sosteniamo la sinistra di classe in Ucraina e Russia nella loro lotta comune contro Putin e contro il governo Zelensky.] [aggiungere inoltre: SIAMO PER IL DISFATTISMO BILATERALE, COME FURONO I SOCIALISTI INTERNAZIONALISTI A ZIMMERWALD E KIENTHAL OLTRE UN SECOLO FA]
Sosteniamo le femministe russe che si sono schierate contro il governo Putin, per il loro diritto alla libertà e per la loro forte opposizione alla guerra e all’invasione dell’Ucraina, fortemente represse e costrette a fuggire per portare avanti una protesta che soprattutto le giovani donne portano avanti con gravi rischi. Crediamo che sia necessario che la guerra si fermi immediatamente con un cessate il fuoco e che le truppe russe abbandonino i territori occupati in Ucraina. [aggiungere: Per quanto riguarda in particolare i territori russofoni già appartenuti all’Ucraina sosteniamo il diritto alla libera autodeterminazione, senza la presenza di truppe russe o ucraine].
In Palestina a partire dallo scorso 7 ottobre si sta consumando il massacro sistematico del popolo pale-stinese nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, un vero e proprio genocidio come denunciato anche dal governo Sudafricano. Sosteniamo la resistenza del popolo palestinese e il diritto di quel popolo a poter autogovernarsi in uno stato multiculturale, crediamo che all’interno del campo delle forze palestinesi vadano sconfitte politicamente le tendenze reazionarie delle forze fondamentaliste islamiche come Hamas [aggiungere: ALTRETTANTO NEMICHE DELLA LIBERTA’ DEL POPOLO PALESTINESE QUANTO IL SIONISMO”] e che si costruisca uno Stato basato sulla tolleranza religiosa e sulla solidarietà tra le lavoratrici e i lavoratori ebrei e palestinesi, che consenta il ritorno alle generazioni di palestinesi costretti ad abban-donare la Palestina a causa del colonialismo sionista dello Stato d’Israele, sostenuto con forza dagli USA e dalle potenze imperialiste occidentali. Chiediamo il cessate il fuoco immediato e la fine delle politiche di apartheid e coloniali dello Stato d’Israele. Aderiamo alla campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro le imprese israeliane e le multinazionali che sostengono le politiche coloniali.
Il nuovo (dis)ordine imperialista non ha portato solo alle guerre in Ucraina e in Palestina.
Assistiamo al moltiplicarsi di situazioni di guerra in tutto il mondo, come in Siria, nello Yemen, in Sudan e nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, per non parlare delle guerre civili palesi o mascherate, come la guerra civile in Myanmar, primo esempio di quelle che verranno, e della guerra permanente degli Stati latinoamericani contro le organizzazioni criminali.
Questa situazione di conflitto sta avanzando nella geoeconomia e nella geopolitica dell’Africa, dove la Russia compete economicamente e militarmente con Francia e Stati Uniti, in particolare nelle ex colonie francofone dell’Africa occidentale. Da parte sua, la Cina continua a cercare di aumentare la propria influenza economica in tutte le parti del continente africano.
In medio Oriente le donne sono state protagoniste negli ultimi anni di movimenti di massa e rivolte. Siamo a fianco alle donne iraniane che hanno coraggiosamente contestato la corruzione, il carovita, la repressione e la mancanza soffocante di libertà, agita dal pugno di ferro del regime della repubblica islamica. Lo slogan JIN JIYAN AZADÎ, DONNA VITA LIBERTA’, proviene dalle donne combattenti curde e si diffonde in tutte le città iraniane perché le donne curde del Rojava sono un modello per la gioventù iraniana. Le donne iraniane hanno visto nelle donne curde il contropotere, la resistenza e il progetto politico. Le donne afghane traggono molte ispirazioni dalle donne iraniane e sono per loro una vera speranza. Attraverso l’associazione femminista rivoluzionaria Rawa, le donne afghane è da lungo tempo che combattono, prima l’occupazione sovietica, poi il regime talebano, poi la guerra della NATO e l’occupazione militare ed ora di nuovo il regime talebano, a cui gli Stati Uniti hanno riconsegnato il Paese. La lunga battaglia contro i regimi confessionali integralisti le tiene legate a doppio filo alle sorelle iraniane. Quando è iniziata la rivolta in Iran le donne afghane sono andate a protestare sotto l’ambasciata iraniana, in solidarietà con le donne iraniane, nonostante il rischio altissimo a cui sono sottoposte anche
soltanto ad uscire di casa. Anche qui, come in Iran, le donne hanno rappresentato un’ipotesi di avan-guardia politica contro il regime confessionale integralista.
Dal 2008 movimenti e partiti di una presunta “rinnovata” estrema destra si sono rafforzati e moltiplicati nel mondo con importanti vittorie elettorali, fino all’elezione di Milei in Argentina e con il rischio di una rielezione di Trump. Oggi anche il Parlamento europeo rischia di vedere eletta una salda maggioranza reazionaria. Si presentano come contro-sistemici, anche se sono (ultra)neoliberali, conservatori nei loro costumi, nazionalisti, xenofobi, razzisti, misogini, nemici dei diritti LGBTQIA+, transfobici e massicciamente ispirati o sostenuti dal fondamentalismo religioso.
Diffondono il negazionismo scientifico sui cambiamenti climatici. L’avanzata di questa costellazione di estrema destra, neo o post-fascista, è il risultato di decenni di crisi delle democrazie (neoliberali) e delle loro istituzioni, dovuta all’aumento delle disuguaglianze e all’incapacità di questi regimi di fornire risposte soddisfacenti alle aspirazioni dei popoli e dei lavoratori. Le politiche unitarie della sinistra (fronti uniti) sono una parte centrale del nostro repertorio in questi tempi, senza mai negoziare o accettare la perdita della nostra indipendenza politica, né quella dei movimenti sociali. In questo contesto, l’iniziativa, sostenuta anche dalla Quarta internazionale, di organizzare in Brasile un’ampia conferenza di attivisti contro il fascismo nel 2025 è di grande importanza per noi. Dovrebbe far parte delle nostre priorità
d’azione sostenere e rafforzare questa idea anche in Italia e in Europa.
Continueremo ad analizzare più compiutamente le dinamiche mondiali del capitalismo e la crisi
multinazionale che si sta producendo nel quadro delle discussioni per il prossimo congresso della
Quarta Internazionale e dei documenti specifici prodotti nell’ultima riunione del suo Comitato
Internazionale.
Tesi 2: Il progetto reazionario del governo Meloni va sconfitto con la mobilitazione di massa
Abbiamo scritto ampiamente sulle caratteristiche del governo Meloni, che si è insediato in Italia dopo le elezioni del 2022. La combinazione tra un ceto politico di tradizione fascista, leghista e liberista è oltremodo pericolosa. Se dal punto di vista delle politiche economiche e sociali il governo Meloni è in sostanziale continuità con le politiche dei suoi predecessori, in particolare del governo Draghi, sostenuto da quasi tutto l’arco di forze parlamentari, invece sui terreni della compressione dei diritti civili, della repressione violenta delle lotte sociali e dell’attacco alla democrazia i progetti che sta mettendo in campo costituiscono un salto di qualità reazionario. La democrazia rappresentativa in Italia non è più da tempo quella immaginata dall’Assemblea costituente del 1946. E’ dagli anni 90, con l’introduzione del sistema elettorale maggioritario, che la sovranità popolare è solo un simulacro di ciò che stabilirebbe l’articolo 1 della Costituzione. La riforma del titolo V in senso regionalista, voluta anche questa sia dalle forze di destra che da quelle della sinistra borghese, ha dato un colpo pesante alla solidarietà tra i cittadini delle Regioni più ricche e quelli delle Regioni più povere. La stessa autonomia differenziata è stata chiesta dalle
Regioni amministrate dalla destra come dal centrosinistra. La rappresentatività del Parlamento è stata ulteriormente colpita con la riforma voluta dal Movimento 5 stelle che ha tagliato drasticamente il numero dei parlamentari.
Oggi però la maggioranza parlamentare fascioleghista ha la possibilità di portare a termine un
progetto antidemocratico e antipopolare senza precedenti. Da una parte con il disegno di legge
Calderoli si introduce l’autonomia differenziata delle Regioni, legittimando definitivamente un divario sociale che è destinato ad approfondirsi, puntando a dividere la classe lavoratrice ed a reintrodurre le gabbie salariali tra Nord e Sud. Dall’altra il progetto di riforma costituzionale che introdurrebbe il cd. “premierato” darebbe un colpo decisivo alla possibilità del popolo di autogovernarsi e aprirebbe ancora di più la strada ai governi autoritari, liberati anche dall’incombenza di doversi guadagnare il sostegno di una maggioranza in Parlamento.
Saremo impegnati nelle campagne contro ogni forma di autonomia differenziata e contro la riforma presidenzialista, sottolineando la debolezza della posizione di quelle forze politiche borghesi che hanno aperto queste strade negli anni passati, consentendo oggi al governo delle destre di portare a compimento un progetto reazionario che fino a qualche decennio fa era il progetto eversivo della loggia P2 e dei settori politici di estrema destra. E’ necessario che a partire da queste campagne si ricostruisca una coscienza popolare davvero democratica, nelle istituzioni statali e prima ancora nei luoghi di lavoro, dove lo strapotere dei padroni è prevalso da tempo annullando ogni forma di di democrazia e reprimen-do ogni tentativo di autorganizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Continueremo a cercare convergenze su questo ed altri temi anche con le altre forze della sinistra di classe. Fin dalle elezioni del 2018, in cui siamo stati impegnati nella costruzione della lista di Potere al popolo, abbiamo proposto un ambito unitario stabile con queste forze, un forum della sinistra politica e sociale di classe. I nostri appelli sono rimasti inascoltati, spesso si è preferito mettere l’accento sulle divergenze anziché sulle possibili battaglie comuni, salvo poi riproporre cartelli elettorali sempre nuovi ad ogni scadenza istituzionale. La nostra priorità non è quella della presenza nelle istituzioni borghesi o della partecipazione a tutti i costi in tutte le competizioni elettorali, che consideriamo come un’utile tribuna di massa nel caso in cui si riesca a costruire un progetto utile a fare da risonanza alle istanze dei movimenti sociali e alle idee e progetti anticapitalisti. In ogni caso abbiamo sempre dato indicazioni elettorali anche per il voto a cartelli elettorali che non hanno visto una nostra partecipazione diretta, per far emergere anche nelle elezioni la critica e punti di vista di sinistra rispetto alle forze politiche borghesi e reazionarie.
Crediamo che sia l’ora di mettere in campo, nelle battaglie di resistenza in difesa della democrazia così come in tutti i movimenti sociali, una idea radicalmente diversa dalla democrazia rappresentativa bor-ghese, che è ormai una democrazia solo formale, in cui solo chi ha ingenti risorse economiche riesce ad essere visibile e ad incidere, in cui si sceglie tra finte alternative che in realtà non mettono in discussione gli interessi dei poteri economici dominanti. Ci vuole una democrazia vera a partire dai luoghi di lavoro e in tutti gli ambiti sociali, una democrazia diretta che consegni alle lavoratrici e ai lavoratori il potere di decidere su tutte le questioni politiche, sottraendo potere decisionale ai mercati e alle istituzioni capitalistiche. A queste vanno contrapposte, partendo dalla radicalizzazione delle lotte in campo, forme di contropotere dal basso costruite sulla base di assemblee popolari nei territori e di lavoratrici e lavoratori nei luoghi di lavoro, che eleggano consigli di delegate/i revocabili a tutti i livelli, in cui le funzioni esecu-tive vengano svolte a rotazione in modo da evitare la riproduzione di una casta burocratica. La demo-crazia diretta può sembrare un progetto ambizioso e futuristico, ma è parte della migliore storia del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dall’esperienza della Comune di Parigi, che ha attraversato i movimenti rivoluzionari del secolo scorso e che è stata ripresa dai movimenti sociali e dalle esperienze più avanzate del nuovo millennio. Queste esperienze vanno praticate e sperimentate da subito nell’autorganizzazione delle lotte sociali così come nella costruzione stessa delle organizzazioni anti-capitaliste e rivoluzionarie.
Tesi 3. Le lotte in difesa dell’ambiente dalla devastazione capitalistica sono una priorità per la classe lavoratrice
Il mondo capitalista è stato costretto dai movimenti a prendere coscienza con colpevole ritardo della catastrofe ambientale e climatica in cui siamo immersi. Le soluzioni che sono in discussione negli incontri COP, oltre ad essere tardive, sono largamente insufficienti, quando non sono addirittura contro-producenti. Il problema è alla radice di quello stesso modo di produzione capitalistico che ha avuto un ruolo decisivo nel generare l’inquinamento e il surriscaldamento del pianeta. Il profitto privato e l’accu-mulazione capitalistica impediscono l’adozione di soluzioni pianificate democraticamente.
La mercificazione del diritto ad inquinare attraverso i meccanismi delle compensazioni, la privatizzazione delle risorse naturali e del ciclo dei rifiuti, le opere mastodontiche di stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo, la transizione energetica e digitale a suon di sfruttamento di risorse minerarie per costruire batterie nelle gigafactory, il consumo di suolo per l’eolico e il solare, il ritorno dell’energia nucleare, la colpevolizzazione delle economie meno sviluppate e dei comportamenti dei consumatori: queste sono alcune delle linee su cui i capitalisti propagandano il loro finto ambientalismo.
Ogni scelta del capitale verso quella che viene definita transazione ecologica si concentra sulla
necessità di farne pagare i costi alla classe, lo vediamo sulla produzione automobilistica, sulla
produzione agricola e financo nelle città con l’imposizione delle ZTL alle quali va contrapposta
l’idea del trasporto collettivo pubblico e gratuito.
La loro propaganda è tanto più insostenibile alla luce della realtà del riarmo e della guerra, devastante anche per l’ambiente, del ritorno alle fonti fossili più inquinanti come il carbone, dell’estrattivismo, degli allevamenti intensivi, dell’industria del turismo di massa, delle grandi opere inutili e devastanti, dalla TAV al ponte sullo Stretto, della mobilità individualizzata, della produzione globalizzata di merci alla ricerca di un costo del lavoro sempre più basso, precipitando larghe masse di lavoratrici e lavoratori in condizioni di miseria e di insicurezza.
Negli ultimi anni, a partire dai Fridays for future di Greta Thunberg, le giovani generazioni si sono mobi-litate con la coscienza che un’azione per fermare tutto ciò è necessaria e urgente. Noi stiamo con quelle e quei giovani, con le attiviste/i di Ultima generazione ingiustamente criminalizzati, con i movimenti No TAV e No Ponte e tutti i movimenti in difesa del territorio. Siamo con le lavoratrici e i lavoratori dell’ex Ilva e le loro famiglie, a cui è stata strappata la salute e che vedono a rischio anche il posto di lavoro; siamo per dismettere la produzione a ciclo integrale, per passare alla produzione con forni elettrici, utilizzando tecnologie già disponibili e in uso in altri stabilimenti su scala mondiale. È l’unica possibilità che rimane, ai lavoratori, per mettere un punto sull’inquinamento, a partire dalla salute di chi opera sugli impianti e delle/dei cittadine/i dei quartieri vicini al siderurgico. Siamo con i lavoratori ex GKN, che nel corso di una lotta straordinaria e unificante per difendere il lavoro, hanno messo in campo un progetto concreto di
riconversione industriale dal basso.
Di fronte questo collasso serve la costruzione di una prospettiva ecosocialista che si basa sulla produzione pianificata espressa in forma democratica e autogestita, basata sulla partecipazione collettiva nella decisione di quanto, come e cosa produrre. In generale, occorre sia una diminuzione della produzione energivora di merci superflue e di lusso, con un conseguente aumento della produzione di beni e servizi necessari e fondamentali ai fini dello sradicamento mondiale della povertà e della grave deprivazione materiale. È da questi bisogni, così espressi, che diventa necessario passare a una produzione basata sull’utilizzo delle energie rinnovabili, eoliche e solari, superando logiche colonialiste e assumendo logiche solidali con la condivisione in rete delle energie. Non serve quindi una decrescita in termini indifferenziati, è invece necessario distinguere tra le classi sociali e tra il Nord e nel Sud del mondo. Sud del mondo che paga per primo gli effetti dei cambiamenti climatici anche con le migrazioni forzate dalla necessità di
sopravvivenza.
Le nostre lotte in difesa dell’ambiente includono la difesa delle specie non umane, siamo contrari allo sfruttamento capitalistico irrazionale e crudele degli animali non umani, agli allevamenti intensivi, che tra l’altro sono una delle principali fonti di produzione e immissione nell’ambiente di CO2 e di altri agenti inquinanti. Il consumo e lo spreco di carne nei paesi del Nord globale è arrivato a livelli insostenibili per il pianeta. La nostra proposta ecosocialista di pianificazione democratica dell’economia va nella direzione di instaurare nuovi e migliori rapporti tra l’essere umano e le altre specie viventi sul pianeta. Vogliamo interloquire su queste basi con l’antispecismo politico che ha sviluppato in questi anni una conflittualità sociale per la difesa degli animali non umani.
Tesi 4. Nelle lotte femministe per un movimento internazionale contro patriarcato e capitalismo
L’ultimo decennio ha visto una nuova ondata di lotte femministe in tutti i continenti. Dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America Latina al Medio Oriente, un movimento transfemminista che ha attraversato per un decennio i paesi del mondo per contrastare la violenza maschile contro le donne. La dimensione inter-nazionalista rende questo movimento diverso, restituisce un quadro globale del vissuto delle donne, ne disegna gli spazi aperti ma anche la contemporaneità delle vertenze radicate nei territori. Questa dimen-sione internazionale lo arricchisce senza renderlo astratto. Le lotte delle donne nei diversi paesi del globo assumono un’eco ed immagini assolutamente concrete che visualizzano e richiamano lotte tra loro lontane eppure assai vicine.
La bella sensazione di essere ovunque restituisce potere.
Questo potente movimento non ha soltanto parlato di violenza contro le donne in modalità generica, ma delle diverse forme violenza da quella fisica, alle violazioni delle libertà, dalla violenza economica alle varie forme di discriminazioni nei luoghi di lavoro nei luoghi di non lavoro, nei luoghi di studio e di elabora-zione scientifica e di ricerca.
I movimenti femministi e transfemministi in questi anni ha riempito le piazze non solo per contrastare la violenza di genere ma anche in difesa del diritto di aborto libero e gratuito e più in generale per rivendicare percorsi di autodeterminazione delle donne e delle persone LGBTQIA+.
Questo movimento riesce a riconnettere temi e ambiti soltanto apparentemente diversi, ma in realtà collegati. Un movimento plurale e diversificato ma con obiettivi comuni: Un femminismo che liberi tutte, un femminismo del 99percento non astratto e formale. Un femminismo intersezionale capace di cogliere i nessi fra tutti i piani della crisi globale che stiamo attraversando. Un femminismo che è stato in grado di riappropriarsi e di reinventare lo sciopero. Lo sciopero dell’8 marzo ha una dimensione globale e fa emergere la condizione di oppressione delle donne a livello internazionale, diventa conflitto perché attraversa luoghi di lavoro e di non lavoro, riconnette conflitti ed esperienze. Si estende in luoghi mai toccati dallo sciopero perché luoghi di lavoro riproduttivo non pagato, i luoghi domestici, dove il lavoro di cura diventa invisibile. La rivendicazione di lavoro e reddito diventa uno strumento fondamentale per la libertà e l’autonomia delle donne, un reddito che abbia la dimensione dell’autodeterminazione per donne
che non possiedono un lavoro e che non possono garantirsi l’autonomia da uomini violenti o da contesti releganti, un reddito che restituisca dignità e libertà. Che sia un reddito destinato alle donne non economicamente autonome e non ai nuclei familiari. Un reddito contro il patriarcato. Rivendicare lavoro significa ripensarne i tempi e i modi: una campagna per la riduzione dell’orario e per contrastare tutte le forme di lavoro precario. Uscire dal mercato del lavoro per una donna che lo lascia per dedicare un periodo medio lungo alla cura spesso vuol dire non rientrarci più oppure rientrarci in condizioni di precarietà assoluta e sfruttamento. È ancora più difficile rientrarci dopo anni dedicati alla cura, perché la cura non fa curriculum. Secondo l’INPS l’80% dei congedi per accudire minori sono stati richiesti dalle donne. Fondamentale allora restituire la cura in ambito sociale come principio fondante. Il paradigma
sociale della cura, oltre a sostituire il predominio del profitto, ristabilisce il primato assoluto della
riproduzione fisica e sociale della vita sulla terra rispetto alla produzione di merci. Rimette al centro l’accudimento di tutta la vita e delle relazioni che la legano al posto del dominio. Abbatte le gerarchie e ricostruisce unità e interdipendenza tra il destino degli umani, di tutti gli esseri viventi, del territorio e del pianeta. Salva le donne dalla condanna della cura, perché tutta la società si occupa di curare e di accudire noi stesse e noi stessi, gli altri e le altre e il pianeta. È rivoluzionario, il paradigma della cura e quindi non si affermerà senza conflitto, ma ne varrebbe veramente la pena.
Il femminismo come lo vogliamo declinare è intersezionale incontra quindi una lettura ecosocialista della società, perché si occupa del mondo e del pianeta, incontra la crisi generale. La lotta contro la dominazione di genere incontra, legge e reinterpreta la crisi ambientale che a sua volta deve incontrare l’insicurezza dei mezzi di sostentamento, i diritti negati delle lavoratrici, il disinvestimento pubblico dalla riproduzione sociale, l’oppressione imperialista etnorazziale, l’espulsione delle e dei migranti. Il femminismo che pensiamo rivela queste interconnessioni ed è protagonista attraversando ed innervando queste lotte. Compito arduo, certo, ma più la dimensione delle lotte femministe diventa mondiale più l’intersezionalitá diviene valore moltiplicato, solido e concreto.
È un femminismo Anticapitalista, nella consapevolezza che l’anticapitalismo non sempre lo contempla, consapevole che il solo superamento del capitalismo non garantisce libertà delle donne se non si abbatte il patriarcato. È un femminismo che cerca di intrecciare la contraddizione di classe e il conflitto di genere, che ha bisogno e da valore ai propri spazi di elaborazione autodeterminazione e autorganizzazione, per poter porre le proprie condizioni al mondo senza che la cultura dominante maschile le traduca in elementi compatibili con la sopravvivenza del patriarcato.
Tesi 5. La classe lavoratrice unita e indipendente deve riconquistare diritti e salario e tornare protagonista per rovesciare i rapporti di forza sociali
Molti degli aspetti della crisi globale multidimensionale sono dovuti alla sconfitta storica del
movimento delle lavoratrici e dei lavoratori del secolo scorso. Il rovesciamento dei rapporti di
forza tra le classi sociali a partire dai luoghi di lavoro è una necessità non rinviabile per rendere
credibile un progetto rivoluzionario ecosocialista.
Se la sconfitta della classe lavoratrice è di rilevanza mondiale – quasi ovunque la quota dei profitti sul nuovo valore prodotto è aumentata a discapito dei salari – in Italia è ancora più evidente.
Siamo l’unico trai Paesi OCSE in cui il potere d’acquisto dei salari è addirittura diminuito negli
ultimi trent’anni. Il salario reale diretto e differito oggi è talmente basso che tante e tanti sono sotto la soglia di povertà, o a rischio di finirci, pur lavorando o percependo una pensione, e la situazione è
destinata a peggiorare con la generalizzazione del sistema di calcolo contributivo per chi oggi
lavora con salari già al minimo storico e in condizioni di precarietà.
I gruppi dirigenti dei maggiori sindacati hanno pesanti responsabilità nella situazione che si è determinata e il governo di destra non esita oggi a riprendere le argomentazioni degli stessi sindacalisti che per anni si sono opposti all’introduzione di un salario minimo legale con il pretesto che indebolirebbe la contratta-zione, rovesciando tutta la responsabilità dei salari bassi sulle stesse forze sindacali. Un sindacato debole, arrendevole e concertativo è esposto oggi all’atteggiamento apertamente antisindacale delle forze di destra. Quella per l’introduzione di un salario minimo legale non inferiore a 10€ l’ora è una giusta battaglia che continueremo a sostenere, ma non è sufficiente da sola a risollevare le sorti del lavoro
salariato. E’ fondamentale una ripresa del conflitto sindacale ricusando le regole sulla contrattazione attualmente vigenti e puntando ad ottenere aumenti salariali anche maggiori del recupero dell’inflazione, che dovrebbe essere invece garantito da un sistema automatico di adeguamento delle retribuzioni (scala mobile dei salari e delle pensioni).
Se le crisi economiche degli ultimi anni hanno prodotto sempre maggiore disoccupazione, la ripresa modesta che ne è seguita ha recuperato solo in parte i posti di lavoro perduti e ha precarizzato ulte-riormente i rapporti di lavoro, aumentando la massa di lavoratori e soprattutto lavoratrici giovani e meno giovani in condizioni sempre più precarie e ricattabili. Una parte sempre più consistente della forza lavoro sostanzialmente subordinata è formalmente inquadrata come autonoma, senza neanche i pochi diritti contrattuali rimasti ai lavoratori dipendenti.
La disoccupazione colpisce in modo particolare le donne e il Sud: secondo l’ultimo rapporto annuale Istat la metà delle donne nel nostro paese non lavora, le occupate in Italia nel 2022 sono il 53% rispetto ad una media europea del 69,3. Per Eurostat l’Italia è in Europa il paese con il tasso di occupazione femminile più basso. In Europa il divario occupazionale tra uomini e donne ammonta a 11 punti percentuali, in Italia al 19,7 punti percentuali. Se oltre ad essere donna sei nata al sud i problemi aumentano. Se facciamo una disaggregazione dei dati non per paese europeo ma per regione tra le 5 regioni peggiori per l’occupazione femminile le prime 4 sono in Italia, la Campania e la Sicilia con un tasso di occupazione femminile del 29,1 segue la Calabria con il 30,5. In media il sud Italia registra un tasso femminile pari al 32,9%. L’attacco ai poveri da parte del governo Meloni con la cancellazione del reddito di cittadinanza ha
reso ancor più evidente quali sono gli interessi delle classi dominanti in Italia: tutte e tutti devono essere sottomessi al ricatto del lavoro salariato, e chi non vuole accettare qualsiasi condizione di lavoro in un luogo qualsiasi può anche morire di fame.
Un obiettivo centrale è l’abolizione del lavoro precario e la redistribuzione del lavoro attraverso la
riduzione del tempo di lavoro, fino ad un massimo di 30 ore settimanali, senza perdita di salario e per un massimo di anzianità lavorativa di 35 anni di servizio o 60 anni di età, oltre il quale si deve poter andare in pensione con almeno l’80% della media degli ultimi salari percepiti. Allo stesso modo un salario sociale non inferiore all’80% del salario minimo legale va riconosciuto anche a chi è disoccupato, a chi è in cerca della prima occupazione o si sta formando.
In tutta l’UE vige un razzismo istituzionale, con la costruzione di confini fortificati e militarizzati per il respingimento di migranti e rifugiati politici, i centri di detenzione all’interno e fuori dai confini europei, la negazione sistematica di diritti umani fondamentali, insomma una barbarie che la “civilissima” Europa sta mettendo in atto senza una significativa opposizione. Queste politiche sono mirate a dividere la classe lavoratrice tra cittadini e migranti, peggiorando le condizioni su entrambi i fronti. I migranti che riescono ad entrare vengono tenuti in condizioni di ancora maggiore ricatto, visto che la loro possibilità di risiedere nella UE è condizionata al mantenimento del posto di lavoro, e la disponibilità di un esercito industriale di riserva ancora più massiccio è utilizzata per comprimere i diritti e i salari di tutti i lavoratori e le lavoratrici. Noi sosteniamo l’apertura dei confini e il riconoscimento di tutti i diritti civili sociali e politici per i le migranti e i migranti, che vanno accolti e integrati nel movimento delle lavoratrici e dei lavoratori per costruire insieme una forza di classe anticapitalista. Il modello Riace di Mimmo Lucano, ingiustamente
criminalizzato, insieme alle tante esperienze di accoglienza dal basso portate avanti da associazioni come Baobab, dimostrano che questa strada è praticabile e virtuosa. Lo strapotere dei padroni sui luoghi di lavoro e la sempre maggiore ricattabilità dei dipendenti rende inefficace la normativa attualmente vigente sulla sicurezza e produce un aumento degli infortuni, compresi quelli mortali. Dopo la ripresa della produzione post Covid, assistiamo in Italia a una media di tre omicidi sul lavoro al giorno, tutti dovuti allo stesso motivo di fondo: il taglio dei costi sulla sicurezza per l’avidità del profitto. Durante il Covid abbiamo visto una ripresa delle lotte operaie per bloccare le produzioni che non potevano svolgersi in sicurezza: è necessaria oggi una ripresa dell’azione sindacale in questo senso.
La contraddizione tra le lotte per il lavoro e quelle per l’ambiente è creata e fomentata ad arte dai
capitalisti per contrapporre gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici a quelli della cittadinanza, come se la maggior parte della cittadinanza non fosse costituita da chi lavora e dalle famiglie di chi lavora. Il rispetto dell’ambiente è un interesse primario della classe lavoratrice e delle sue lotte in prospettiva ecosocialista. Per questo il nostro intervento sindacale è caratterizzato in senso ecoscocialista, indipendentemente dalla collocazione dei nostri militanti e delle nostre militanti nei diversi sindacati. Vogliamo lavorare in un ambiente salubre e in sicurezza, vogliamo che le produzioni inquinanti siano riconvertite in funzione della tutela del territorio e dell’ambiente, le produzioni mortifere e di armi siano trasformate in produzioni utili all’aumento del benessere sociale, vogliamo che si creino tanti posti di lavoro per la riqualificazione del territorio e per riparare i danni della depredazione capitalistica dell’ambiente.
Gli scioperi dello scorso dicembre, ma anche il dibattito sui bassi salari, hanno riacceso la luce una questione centrale: la democrazia sindacale. La precettazione dei lavoratori e delle lavoratrici dei trasporti da parte del ministro Salvini ha rivelato che lo sciopero è un diritto solo sulla carta, ma nei fatti è calpestato in nome della garanzia dei servizi essenziali. Il movimento sindacale deve chiedere l’abrogazione della legge antisciopero n. 146 del 1990, che ha prodotto già troppi danni nei settori pubblici e privati.
E’ necessaria una legge sulla democrazia sindacale, che impedisca ai padroni di stipulare contratti farloc-chi con sindacati di comodo, ma anche che impedisca alle burocrazie dei maggiori sindacati di operare in barba agli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. Per ottenere la libertà e la democrazia sindacale non c’è che un solo modo: quello di vincolare al voto delle lavoratrici e dei lavoratori l’elezione dei propri rappresentanti sindacali e la loro revoca, nonché la sottoscrizione di contratti collettivi; di rendere effet-tivo il diritto di associazione sindacale per tutte e tutti così come quello di poter convocare assemblee sui luoghi di lavoro.
Tesi 6. Partecipiamo alla costruzione di movimenti sociali indipendenti e radicali
La costruzione e la partecipazione della nostra organizzazione ai movimenti sociali è il nostro principale terreno di intervento politico. In tutti i movimenti a cui prendiamo parte promuoviamo l’autorganiz-zazione dei soggetti sociali, la politicizzazione delle rivendicazioni in senso anticapitalista e il loro collegamento con gli altri settori di mobilitazione sociale in campo, presentiamo la nostra proposta politica complessiva ed invitiamo i militanti e le militanti sociali più coscienti ad organizzarsi stabilmente con noi per far avanzare il progetto ecosocialista.
I nostri militanti e le nostre militanti sono presenti nel movimento sindacale nelle organizzazioni dove è possibile praticare e far avanzare pratiche sindacali classiste e radicali, puntando a rappresentare i propri colleghi e le proprie colleghe sul piano sindacale nei posti di lavoro ed a costruire le battaglie per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Il lavoro sindacale è il nostro strumento principale di radicamento sociale tra le lavoratrici e i lavoratori, per far crescere nella classe un progetto anticapitalista ed ecosocialista. Siamo nei sindacati di base dove ci battiamo per una corretta dialettica democratica interna ed in cui esprimiamo il nostro punto di vista anticapitalista e spingiamo perché si costruiscano battaglie unitarie insieme agli altri settori del sindacalismo combattivo. Siamo in Cgil, impegnati a costruire l’area di alternativa “Le radici del sindacato”, non solo nella polemica interna agli organismi dirigenti di quel sindacato a tutti i livelli, ma anche nella costruzione di battaglie sindacali più avanzate e unitarie con gli altri settori sindacali combattivi e con gli altri movimenti sociali.
Interveniamo nei movimenti in difesa dell’ambiente e per la giustizia climatica e nell’ambito di questi movimenti promuoviamo una rete tra i militanti e le militanti ambientalisti e le loro organizzazioni che vogliono schierarsi sulla prospettiva ecoscocialista. Nei movimenti ambientalisti e nella Rete ecosocialista (RES) promuoviamo la connessione tra le battaglie in difesa del territorio con quelle sociali, quelle femministe e internazionaliste, poiché sarà solo con il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo che il problema dello sfruttamento della natura potrà essere risolto in modo democratico.
La mobilitazione contro la deriva razzista delle istituzioni italiane e in difesa del diritto di migrare è ancora debole ma segnali di ripresa sono oramai visibili in tutto il paese. In particolare l’indignazione a seguito della strage di Cutro, a cui il governo Meloni ha risposto con una ulteriore stretta repressiva contro gli immigrati e le immigrate e il movimento solidale, ha messo in moto una ripresa di iniziativa che crea le condizioni per rispondere alle politiche disumane del mondo capitalista di fronte al fenomeno dell’immi-grazione che, anche a causa della crisi climatica, andrà ad aumentare nei prossimi anni. In particolare siamo impegnati per costruire una risposta nazionale ad una delle peggiori conseguenze dalle politiche sull’immigrazione che tutti i governi del nostro paese, a partire dal 1998 e dalle legge Turco-Napolitano, hanno seguito. Infatti la battaglia contro la detenzione amministrativa (esemplificazione del razzismo istituzionale) e per la chiusura dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), veri e propri lager e centri di tortura, è al centro della nostra iniziativa.
Tesi 7. Difendiamo e rilanciamo la sanità pubblica e lo stato sociale, finanziato con la tassazione di profitti e grandi patrimoni
L’attacco al lavoro degli ultimi decenni è passato anche attraverso l’erosione e la privatizzazione dello stato sociale, in particolare di quei diritti che dovrebbero garantire diritti fondamentali e universali come la scuola e la sanità pubblica. Il dramma della sanità pubblica si è mostrato in tutta la sua evidenza duran-te la pandemia di Covid19, ma è nell’esperienza quotidiana di tutte le famiglie che sono costrette a subire tempi di attesa biblici per le visite specialistiche e per gli interventi in ospedale ed a pagare ticket esorbitanti. Ormai nei grandi centri urbani è diventato difficoltoso anche solo consultare un medico di base. Contestiamo fortemente gli accordi sindacali in cui si spostano elementi del salario sulla sanità e pensioni integrative, che indeboliscono ulteriormente lo stato sociale conquistato con le lotte.
E’ necessario un forte investimento sulla sanità, a partire dalla formazione di nuovi medici, eliminando il numero chiuso nelle facoltà di medicina; la nazionalizzazione e ripubblicizzazione delle strutture private e il divieto per i medici di operare sia nel pubblico che nel privato.
Gli interventi fiscali del governo – a lungo richiesti anche dai maggiori sindacati – per la riduzione del cuneo fiscale, sono uno specchietto per le allodole. Se da una parte danno l’illusione di un aumento della retribuzione netta per via dei modesti tagli sulle trattenute fiscali o contributive, dall’altra parte comportano una riduzione del finanziamento dello stato sociale e del sistema pensionistico, riducendo il il salario indiretto degli stessi lavoratori e lavoratrici che si pretende di beneficiare. Ottenendo peraltro di calmierare la pressione sull’aumento dei salari e avvantaggiando così doppiamente i padroni, che già si arricchiscono grazie alle privatizzazioni dei servizi pubblici.
E’ ora di avanzare una proposta complessiva di riforma fiscale dal basso, colpendo l’evasione e l’elusione fiscale, imponendo una tassazione fortemente progressiva dei redditi, con sgravi per i redditi da lavoro e pensioni e aggravi per i redditi da capitale, sui quali oggi si pagano aliquote ridicole. CI vuole un’imposta sui grandi patrimoni, che prelevi le ricchezze dove si trovano e le metta a disposizione di interventi a beneficio di tutta la società.
Tesi 8. Per una nuova istruzione e ricerca pubblica indipendente dalle esigenze del capitale
L’istruzione pubblica è stata investita negli ultimi decenni da riforme che ne hanno snaturato il carattere pubblico, laico, pluralista e gratuito. Le università sono state messe in competizione le une con le altre sul mercato, sono diventate sempre più costose ed escludenti e si sono trasformate in una fabbrica di titoli sempre più differenziati tra loro in modo da soddisfare la domanda del mercato, al costo di squalificare sempre più il sapere critico di base. La ricerca, sia nelle università che negli istituti pubblici, è sempre più subordinata al finanziamento anche privato di progetti sempre più specialistici e le condizioni dei lavoratori, oltre a peggiorare dal punto di vista economico, sono andate in direzione di comprimere sempre di più l’autonomia e la libertà di ricerca e di insegnamento. Le responsabilità dei governi degli ultimi trent’anni, di centro sinistra, di centrodestra e tecnici sono enormi, e rendono oggi possibile l’ulteriore attacco delle destre all’istruzione pubblica. Oggi la scuola, l’università e la ricerca sono terreno di incursione della propaganda militarista del Governo, delle aziende del settore della produzione bellica, del reclutamento militare anche attraverso l’alternanza scuola lavoro, che va fermata con il contributo
delle lavoratrici e dei lavoratori di questi settori e delle studentesse e studenti.
Nella scuola, dopo il fallimento di molti aspetti della riforma della “Buona scuola” del 2015, grazie alle imponenti mobilitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, la borghesia è tornata all’attacco con le stringenti condizioni collegate all’erogazione dei fondi per i progetti del PNRR. Mentre mancano sempre di più i fondi per garantire una didattica di qualità per tutte e tutti, si finanziano i produttori privati di hardware e software, i progetti che prevedono l’ingresso nelle scuole di soggetti privati, l’alter-nanza scuola lavoro e la digitalizzazione della didattica. La scuola pubblica viene trasformata in una gigantesca agenzia di formazione professionale e collocamento, da cui far uscire studenti e studentesse addestrati/e ad obbedire e ad accettare qualsiasi condizione di lavoro.
La riforma dell’orientamento cancella il valore dei titoli di studio uguali per tutte/i e li sostituisce nei fatti con dei curriculum digitali, differenziati individualmente con le esperienze extra che ciascuno/a si può permettere durante il periodo scolastico. La selezione di classe torna prepotentemente nelle scuole anche con la riforma dell’istruzione tecnica e professionale, tagliando un anno scolastico da questi istituti, in cui percorsi di studio sarebbero ancora più finalizzati all’inserimento professionale o all’accesso agli istituti tecnici superiori, gestiti da fondazioni miste pubblico-private, in cui le aziende scelgono direttamente i docenti da mettere in cattedra. Anche il liceo viene asservito al mercato, con l’introduzione del nuovo Liceo del Made in Italy, finalizzato alla promozione delle merci italiane sul mercato.
Occorre rivitalizzare gli organi collegiali della scuola come garanzia della libertà di insegnamento, che vengono sempre più svuotati nei fatti di ogni potere decisionale e sono in balia dei dirigenti scolastici chiamati ad eseguire le controriforme emanate dall’alto da un ministero che contraddice nella sua stessa denominazione: “del merito” qualsiasi aspirazione di egualitarismo nei percorsi scolastici.
Sosteniamo i movimenti studenteschi che stanno ripartendo in questi anni dopo la pandemia, a partire dalle giuste proteste contro l’alternanza scuola-lavoro, così come le avanguardie di chi lavora in questo settore contro le riforme imposte dal PNRR. Nella scuola sono forti le sensibilità per la democrazia, contro la devastazione ambientale, contro la violenza patriarcale sulle donne e sulle persone LGBTQIA+, per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nella società.
Vogliamo riaprire il dibattito su una vera riforma della scuola che superi la vecchia e nuova impostazione classista delle classi dominanti. Avanziamo la proposta di una scuola superiore unica fino al termine dell’obbligo scolastico, che va innalzato da subito a 18 anni, con la possibilità di scegliere al suo interno una parte dei piani di studio, a seconda delle inclinazioni di ciascuno. Una scuola di qualità incentrata sull’istruzione di base, sullo sviluppo delle capacità critiche delle studentesse e degli studenti, che possono maturare solo attraverso l’approfondimento delle conoscenze teoriche e pratiche. Una scuola che garantisca il diritto all’istruzione uniformemente sul territorio nazionale, contro ogni progetto di autonomia differenziata. Una scuola democratica anche nelle sue modalità di funzionamento, con il
coinvolgimento attivo di chi ci lavora e ci studia. Una scuola laica e aperta ai cambiamenti culturali e alle scelte di vita delle giovani e dei giovani, all’interculturalità e all’inclusione di ciascuno/a, che insegni la cooperazione anziché la competizione, che formi persone capaci di criticare le ingiustizie che permeano la società e di attivarsi per il cambiamento necessario.
Tesi 9. Inauguriamo l’università ecosocialista d’estate
L’università ecosocialista d’estate dovrebbe sostituire già da quest’anno il consueto seminario nazionale dell’organizzazione, puntando ad essere una occasione di incontro e di scambio di idee ed esperienze tra i militanti e le militanti, di arricchimento dell’elaborazione della linea politica, di presentazione della proposta politico-strategjca all’esterno dell’organizzazione, di formazione dei militanti politici e sociali che simpatizzano o sono già iscritti all’organizzazione, di coinvolgimento di settori giovanili e di militanti sociali attualmente non iscritti. Questo presuppone un lavoro dell’organizzazione verso i settori giovanili nei movimenti ambientalisti, femministi e studenteschi che cominci immediatamente, in modo da arrivare all’appuntamento estivo con la credibilità della nostra proposta e con un primo gruppo giovanile che possa cominciare un lavoro di coinvolgimento di giovani militanti.
Il programma dovrebbe essere articolato inizialmente su un periodo di 4 giorni, con percorsi paralleli che includano momenti di formazione (seminari), di confronto e dibattito (laboratori e riunioni di gruppi di lavoro), di presentazione delle proposte politiche (conferenze e assemblee) e di tipo ludico-culturale (cineforum, feste a tema, concerti, minitornei sportivi ecc.). Sul modello dei campi internazionali giovanili, si individueranno alcune tematiche portanti per ciascuna giornata, su cui caratterizzare le conferenze e i laboratori, e dei percorsi trasversali alle giornate per quanto riguarda i seminari di formazione ed i gruppi di lavoro. L’iniziativa dovrebbe essere costruita congiuntamente con la Biblioteca Livio Maitan e puntare a coinvolgere soggetti esterni all’organizzazione con cui ci relazioniamo, pensiamo in primo luogo alla Rete ecosocialista, all’area sindacale in Cgil, alla campagna Riprendiamoci il Comune e al collettivo di fabbrica GKN, ma anche altri soggetti con cui approfondire le relazioni: sindacati di base, collettivi e organizzazioni studentesche, collettivi femministi e NUDM, Fridays for Future, Ultima generazione ecc. Nell’ultima giornata potrebbe sarà realizzata un’assemblea finale in cui presentare e discutere la proposta politica di Sinistra Anticapitalista per l’autunno.
Tesi 10. Una comunicazione efficace, partecipata e controcorrente
Per un’organizzazione politica l’aspetto comunicativo è essenziale. Far arrivare la nostra posizione politica all’esterno serve innanzitutto a farci conoscere e riconoscere, è utile ai rapporti con altri soggetti organiz-zati e, nello stesso tempo, è uno degli spazi in cui si forma la consapevolezza soggettiva. Un giornale – e per estensione, il sistema della comunicazione – è un’intellettuale collettivo. Per questo l’attività di comunicazione non deve essere concepita come ausiliaria a funzioni di elaborazione che si svolgono all’esterno ma è parte integrante di esse. Il lavoro di ricerca sul linguaggio è permanente e fondamentale per interloquire con una classe ormai polverizzata dai processi del neoliberismo e dunque disorientata, preda spesso di un senso comune sciovinista e razzista e che ha interiorizzato, da tempo, valori e argomenti delle classi dominanti. Un punto essenziale della comunicazione è la diversificazione degli strumenti, dunque dei codici, e la flessibilità: non esiste uno strumento risolutivo su cui puntare tutto, ma occorre viaggiare su più binari per raggiungere persone disperse dentro un sistema sempre più articolato di mass e social media. Il giornale cartaceo e telematico, un’eventuale rivista teorica, la produzione di
articoli, manifesti e volantini devono essere correlati ai profili e alle pagine social dell’organizzazione a tutti i suoi livelli, nazionale, locale e tematico. Ciascun militante dovrebbe sentirsi coinvolto nelle attività di elaborazione e diffusione, sia nelle modalità tradizionali, sia nella sfera dei social ormai esperienza irrinun-ciabile nella socialità delle persone.
Il coordinamento dell’azione comunicativa verrà gestito da una redazione con il compito di mettere a sistema gli strumenti di comunicazione interna ed esterna della nostra organizzazione.
Tesi 11. Per una organizzazione che valorizzi la partecipazione e il contributo di tutte e tutti nella costruzione dell’alternativa politica e sociale
Anche sui nostri strumenti organizzativi è necessario aprire una riflessione rifondativa, per costruire una organizzazione politica al passo con i tempi e che incontri i bisogni e le modalità di militanza delle nuove generazioni di attiviste e attivisti, che sappia includere e far sentire protagonisti i soggetti sociali con le proprie specificità, le donne, le/i giovani, le lavoratrici e i lavoratori, le studentesse e gli studenti.
Vogliamo cominciare a rinnovare la nostra organizzazione dalla modalità stessa con cui conduciamo il nostro congresso: dopo una prima fase di ascolto e di discussione approfondita nelle riunioni tematiche online nazionali e nelle assemblee dei circoli territoriali, mettiamo a disposizione la nostra proposta politica ed organizzativa a tutte le militanti e i militanti sociali e politici che vogliono conoscere e contribuire a costruire la sinistra anticapitalista di cui c’è bisogno. Perché tutte e tutti possano sentirsi protagonisti e incidere c’è bisogno di organizzarsi in maniera trasparente, di costruire la possibilità che tutte e tutti i militanti siano in grado di prendersi la responsabilità di dirigere l’organizzazione, ciascuno con il proprio contributo che può dare in un determinato momento della propria vita, della propria situazione lavorativa, degli altri impegni familiari e sociali. L’idea della rotazione delle responsabilità viene dalla nostra storia migliore, ma perseguirla concretamente non significa semplicemente enunciarla.
Proponiamo la costruzione di collettivi tematici che coinvolgano nell’intervento politico sui singoli settori sia gli iscritti che i simpatizzanti dell’organizzazione, con la possibilità di un confronto continuativo su quanto viene realizzato sui territori anche attraverso riunioni periodiche in videoconferenza.
Vogliamo potenziare le occasioni di formazione politica e di autoformazione, non solo tramite l’appunta-mento annuale dell’università estiva, ma anche socializzando i seminari organizzati dai circoli, utilizzando le scuole internazionali organizzate dalla Quarta internazionale e, per i giovani e le giovani, i campi internazionali della gioventù socialista e rivoluzionaria.
Vogliamo costruire il nostro principale organismo di direzione politica tra un congresso e l’altro, il comitato politico nazionale, in modo che possa raccogliere le disponibilità di lavoro delle compagne e compagni, che sia rappresentativo della discussione e dell’orientamento dei circoli e dei militanti nei collettivi tematici, che possa anche essere cambiato in corso d’opera riconvocando l’assemblea congressuale tenendo conto delle indicazioni dei circoli e della disponibilità dei militanti e delle militanti. Il comitato politico nazionale deve essere riunito con maggiore cadenza, anche utilizzando la video-conferenza, quando sia necessario prendere decisioni importanti per l’organizzazione o fare degli approfondimenti politici collettivi, che vanno poi riportati e discussi nei circoli territoriali e nei gruppi tematici. La direzione nazionale deve coordinare il lavoro delle varie strutture dell’organizzazione e lavorare quotidianamente come redazione del sito internet, principale strumento di informazione e di comunicazione a nostra disposizione, nonché stimolare la produzione diffusa di materiali e di articoli da parte dei circoli e dei singoli militanti.
Le nostre sedi, oltre ad essere luogo di incontro, discussione e socializzazione degli iscritti e delle iscritte, devono essere vissute dai movimenti sociali, dalle iniziative di associazioni, dai migranti e dalle migranti, giovani uomini e donne che possono trovare non solo un’offerta di approfondimento e militanza politica, ma anche spazi culturali, di svago fuori mercato.
Infine non va trascurata la dimensione finanziaria. Siamo un’organizzazione indipendente dai potentati economici piccoli e grandi, siamo fuori dalle istituzioni e comunque non vogliamo contare sulle istituzioni per il nostro finanziamento. Siamo libere e liberi fino a che saremo in grado di autofinanziarci, con i contributi degli iscritti e delle iscritte, ciascuno secondo le proprie possibilità, con campagne specifiche di autofinanziamento per realizzare le nostre iniziative politiche, con una sottoscrizione straordinaria per rendere possibile l’organizzazione. Sosteniamo le iniziative culturali e l’attività della Biblioteca Livio Maitan contribuendo alla campagna per la devoluzione del 5 per mille
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