Commissaria per gli affari religiosi
Atei di Catalogna organizza un incontro con i partiti di sinistra del consiglio comunale di Barcellona per parlare di laicità e delle misure concrete da adottare per rendere la città di Barcellona un po’ meno confessionale. Hanno invitato, come rappresentante del consiglio per il cambiamento, la commissaria agli affari religiosi, Lola Lòpez.
Che, nel suo intervento, sembra proporre un cambiamento importante: passare definitivamente a un modello multiconfessionale. Non lo dice con queste parole, ovviamente, ma con statistiche che mostrano che la maggioranza della popolazione di Barcellona si considera praticante di una religione o di un’altra, sottolineando l’importanza delle religioni e delle loro autorità nell’articolazione delle comunità dei nuovi arrivati, annunciando proposte di misure di discriminazione positiva nei confronti delle religioni minoritarie, difendendo il riconoscimento del loro diritto ad occupare lo spazio pubblico con le loro manifestazioni, o dei leader “spirituali” delle varie comunità, promettendo un timido tentativo di revocare alcuni privilegi nella Chiesa cattolica e, ovviamente citando lo studio commissionato dal consiglio comunale sull’islamofobia…
Lo studio non spiega il perché, lo dà per scontato, dimostrando ancora una volta l’esistenza di un atteggiamento, tra le nuove e meno nuove sinistre, che consiste nel definire agende e priorità politiche attraverso la ripetizione di luoghi comuni che fabbricano letteralmente la “cosa” “…Non è necessario spiegare in base a quali elementi empirici, e non postulati indiscutibili, si ritiene che a Barcellona i musulmani siano più stigmatizzati degli evangelisti zingari, dei cattolici peruviani, degli animisti africani o degli indù o degli ebrei…poveri e non troppo bianchi: è così evidente!
Nel suo intervento la signora allude più volte al concetto di comunità musulmana come qualcosa di omogeneo, la umma dei fedeli. Nel suo discorso non c’è spazio per l’esistenza di persone o gruppi laici marocchini, algerini o pakistani, atei, agnostici o semplicemente poco praticanti, indifferenti ai minareti e alle moschee. Si lancia in una spiegazione entusiasta di come va letto il Corano e delle differenze tra cattolicesimo (gerarchico e autoritario) e islam (orizzontale, senza gerarchie), e conclude dicendo che il problema è che i giovani delle banlieue parigine non hanno avuto imam abbastanza bravi, che conoscessero fino in fondo il messaggio autentico del Libro della Pace e dell’Amore (la commissaria non chiarisce, perché le élite di paesi come Arabia Saudita, Qatar, Iran, i salafiti, i Fratelli Musulmani, hanno, più o meno, la stessa lettura dei testi sacri dei ragazzi radicalizzati dello Stato francese, degli infedeli dello Stato islamico e dei pazzi che si immolano ovunque… e sì che possono pagarsi i migliori esperti in materie teologiche).
Insomma: un festival di tutti i luoghi comuni che un’accademica bianca paternalistica può generare – la donna è un’antropologa -, conditi con l’inevitabile dose di arroganza intellettuale tipica della sua casta, insieme a una sorprendente ignoranza che la spinge a negare, in risposta ad un commento del pubblico, che il capo della democratica e assemblearia umma marocchina sia il re.
E mi chiedo: non è la prova di un’arroganza squisitamente neocoloniale la distribuzione della tessera di “buoni musulmani” o “non musulmani” a cui si dedicano questi “esperti”, che producono centinaia di articoli, dichiarazioni, comunicati, in cui viene negata l’appartenenza all’Islam di terroristi o impresentabili vari?
Ma quale autorità o legittimazione hanno i nostri antropologi per “autenticare” o negare la musulmanità dei petroemiri, dei banditi somali o nigeriani, degli schiavisti della Mauritania, dei lapidatori di adultere, degli assassini dei cristiani egiziani, dei macellai dello Stato islamico, dei carnefici di ebrei nello Stato francese, dei linciatori di suore in Pakistan, dei giudici forcaioli dell’Iran?
Ebbene, la stessa che si autoattribuiscono per difendere e promuovere il ritorno al riconoscimento di un’implicita (o esplicita) superiorità (etica e non solo) del fatto religioso rispetto alle altre manifestazioni della vita sociale.
E anche la laicità (definita “laicismo”) diventa un bersaglio.
La diffusione del concetto di “fondamentalismo laico”, da sempre utilizzato dalla Chiesa cattolica (in Spagna è stato diffuso dall’Opus Dei) quando pressioni sociali o tendenze storiche mettevano in discussione la preminenza della sua autorità nella vita sociale, attacca le basi di un visione liberatrice che cercava di limitare l’influenza delle diverse confessioni – storicamente pretesto per guerre e conflitti di ogni genere – nella sfera privata.
Si intende equiparare questa volontà (di espellere l’approccio confessionale dallo spazio comune) ai fondamentalismi settari (che d’altronde non vengono mai denunciati), dimenticando che ben poco ha a che fare con la difesa di un modello di convivenza secondo parità di diritti, regole per tutti, con la pretesa di superiorità di gruppi che si credono custodi di verità assolute e che chiedono un trattamento differenziato.
Multiconfessionalismo nello spazio pubblico… Nel mondo parallelo in cui vivono i relativisti culturali, la società perfetta è quella in cui tutte le comunità religiose vivono in armonia e rispetto, contribuendo all’insieme con i propri valori spirituali, artistici e intellettuali. Non è chiaro quale posto in questo Eden sia riservato agli infedeli, ma i toni delle accuse che ci vengono mosse non suscitano molte speranze. Ciononostante non nego un certo fascino a questo dipinto bucolico.
È un peccato che, per quanto mi sforzi, quando mi guardo intorno, leggo giornali o libri di storia, ascolto le dichiarazioni degli uni e degli altri, il film che vedo è abbastanza diverso: le tre religioni e le loro numerose sette che sono state e sono al centro di guerre, persecuzioni, uccisioni, discriminazioni. Coincidenza? Sempre e solo coincidenza?
L’approccio multiconfessionale è già stato adottato nei Paesi anglosassoni e in altri del Nord Europa. Si gemella con quello del comunitarismo, cioè di una forma di società in cui i vari gruppi etnici o religiosi presenti in un Paese si strutturano sotto il controllo di molteplici cleri, scelti come rappresentanti di comunità interclassiste e interlocutori di governi e poteri di fatto . Si tratta di un modello che ha l’innegabile merito – per i governi – di assicurare il controllo sociale attraverso gerarchie che disciplinano i diversi gruppi e, allo stesso tempo, di frammentare la società in compartimenti sufficientemente differenziati a cui ricorrere in caso di necessità (cioè di acuto conflitto sociale e politico), alla politica del “divide et impera”. I suoi difensori si oppongono al “cittadinismo” di origine francese che, a loro avviso, con la sua aspirazione ad annullare le identità religiose e culturali, ispira l’islamofobia.
Di fronte alla crisi dei rifugiati, ci sono intellettuali che chiedono che l’accoglienza avvenga rispettando i diritti dei singoli e riconoscendoli come comunità (“Gli si devono garantire diritti come agli occidentali e devono esser considerati come comunità” ho letto in una pagina) …nel caso dei siriani, dove esistono diverse comunità, e affrontatesi in una guerra che ha ucciso 250.000 persone, di quale comunità stiamo parlando?: cristiana, yazida, sunnita, sciita, assira, caldea? Oppure li riuniamo tutti e lasciamo che “tra loro” risolvano le cose? Ma tutte queste considerazioni sono irrilevanti per il cacciatore di islamofobi.
Islamofascismo
Siamo arrivati al punto in cui è islamofobico non solo dire che il niqab sembra una prigione mobile, dare una visione satirica degli elementi religiosi utilizzati dai settori oscurantisti, difendere la laicità, ma anche associare alla parola Islam qualsiasi concetto negativo . Possiamo quindi parlare di cultura islamica, arte islamica, femminismo islamico, letteratura islamica, cucina islamica, sistema bancario islamico, ma non di “brutta cosa” islamica.
Erdogan, questo famigerato democratico, si lamenta dell’uso da parte dell’Occidente del termine terrorismo islamico. È vero che potrebbe anche lamentarsi dell’uso della parola Islam da parte dei terroristi di Daesh, Boko Haram e, per dire qualcosa, smettere di dargli armi, ma comunque diamogli il diritto e ammettiamo che i criminali che uccidono e bombardano mercati, chiese e moschee in nome dell’Islam non sono musulmani, come dicono, definendosi addirittura i veri difensori di questa religione. Va bene, chiamiamoli rettiliani.
Ma cosa succede a quei soggetti che abitualmente non consideriamo terroristi, come lo stesso Erdogan, e che tuttavia sono portatori di un progetto politico in cui la religione gioca un ruolo di primo piano e che si traduce anche in uccisioni, oppressioni, repressioni e persecuzioni (religiose tra le altre)? Trovo opportuno applicare a tutto questo conglomerato la definizione di islamofascismo, poiché, oltre a descrivere adeguatamente questi regimi e correnti politiche, è molto utile stabilire una linea netta di separazione tra un movimento tanto vario quanto totalitario e la stragrande maggioranza di persone di religione o cultura musulmana.
Alcuni sostengono che non sia corretto applicare un termine che si riferisce a un movimento specifico, proveniente da determinati paesi, sorto in un determinato momento storico, a una realtà culturale, sociale e politica così diversa come quella del mondo islamico oggi. Neppure a una parte di esso.
Vediamo: per il DIEC* (fascismo) si tratta di “un movimento politico, caratterizzato dalla sottomissione totale a un leader che concentra tutti i poteri, dall’esaltazione del nazionalismo e dalla violenta repressione dell’opposizione politica e sociale”.
Secondo la RAE**, può essere definito fascista un “atteggiamento autoritario e antidemocratico socialmente considerato correlato al fascismo“.
Robert Paxton, nel suo libro Anatomy of Fascism, lo definisce come:
[…] forma di comportamento politico caratterizzato da una preoccupazione ossessiva per il declino, l’umiliazione o la vittimizzazione della comunità, nonché da culti compensativi dell’unità, dell’energia e della purezza, con cui un partito di massa o un insieme di militanti impegnati, lavorando in una difficile ma efficace collaborazione con le élite tradizionali, abbandonano le libertà democratiche e perseguono, con violenza redentrice e senza restrizioni etiche o legali, gli obiettivi di pulizia interna ed espansione esterna.
Secondo Emilio Gentile
Il fascismo è un fenomeno politico moderno, nazionalista e rivoluzionario, antiliberale e antimarxista, organizzato in un “partito miliziano”, con una concezione totalitaria della politica e dello Stato, con un’ideologia mitica, virilistica e antiedonista, sacralizzata come religione laica.
Come è evidente nell’uso comune, anche le definizioni accademiche riconoscono che il campo semantico del termine fascismo non è affatto limitato alla sua espressione originaria, descrittiva del movimento guidato da Mussolini negli anni ’20 in Italia.
Ma è… “un insulto”! dicono…
Naturalmente è offensivo associare la parola fascismo all’Islam. Ed è anche offensivo associare i termini “inquisizione”, “caccia alle streghe” e “nazional-cattolicesimo” alla religione cristiana. E quindi? Che logica c’è nel chiedere di non usare la qualificazione che i fondamentalisti usano per riferirsi a se stessi? È più scomodo mettere insieme fascismo e Islam nella stessa frase piuttosto che rimanere cinicamente in silenzio sulle atrocità perpetrate in nome della religione? Come definire un movimento – perché è un movimento – che ha soggetti e realtà così disparate e un unico legame comune: la religione e la volontà di espandersi espandendola?
Per me la verità, i tratti distintivi che avvicinano le correnti islamiste radicali al fascismo storico originario mi sembrano ogni giorno più evidenti.
– Il culto del leader. Mussolini e Hitler, o il divino imperatore Hiro Hito, con il loro entourage di gerarchi furono un pilastro fondamentale dell’ideologia fascista, grazie alla sottomissione quasi erotica del corpo sociale a una figura sovrumana. Un Maometto considerato intoccabile anche dall’ultima rivista satirica dell’emisfero occidentale non svolge forse abbondantemente la stessa funzione?
– Imposizione di obbedienza cieca. “Credere, obbedire, combattere!” era uno degli slogan che formavano lo spirito fascista. E non è proprio questo ciò che deve fare ogni fedele delle correnti fondamentaliste?
– Fanatismo Hai mai provato a discutere con un fascista? Per capirne le ragioni? (Riconosco che questo non è esclusivo delle ideologie totalitarie: lo stesso esercizio darebbe risultati abbastanza simili con molti dei nostri socialdemocratici o costituzionalisti).
– Culto della violenza e della guerra. Molti filoislamofascisti vi diranno con fervore che in realtà i termini arabi a cui attribuiamo significati bellicosi sono metafore che indicano fatica e superamento spirituale. Curiosamente è lo stesso argomento che usano i sionisti a proposito del “popolo eletto” e i cristiani quando parlano di “soldati di Cristo” o di crociate… purtroppo nel corso della storia e ai giorni nostri non manca gente che d’altronde interpreta questi termini alla lettera (cosa che, per inciso, dovrebbe far riflettere sulla qualità didattica dei testi sacri).
– “Guerra igiene dei popoli“, famosa frase del Duce, non si sposa perfettamente con le aspirazioni di pulizia etnica e religiosa di vari gruppi islamici? E “libro e moschetto, fascista perfetto”, motto dei Balilla (i giovani mussoliniani) non evoca immagini di uomini barbuti con il Corano in una mano e kalashnikov o coltelli nell’altra? E la passione che tanti di questi individui nutrono per l’autoimmolazione non rimanda forse alla figura dei kamikaze giapponesi della Seconda Guerra Mondiale?
– Riti collettivi: la fedeltà al leader, al movimento e all’ideale fu riaffermata, nel fascismo, con le “adunate”, momenti di catarsi collettiva e di indottrinamento di massa: le preghiere del venerdì non svolgono per i settori islamofascisti la stessa funzione?
– Identificazione del gruppo attraverso una simbologia comune: il saluto romano, una divisa specifica che serve a distinguerti dagli “altri”, formule ritualizzate. Che coincidenza: uniformi, segni ritualizzati…
– Altro pilastro della dottrina fascista è sempre stata la tradizione, opportunamente mitizzata e adattata alla propria retorica, come tratto distintivo rispetto all’“altro”.
– Conversione all’ideologia statale. La separazione tra religione e organizzazione politica della società non rientra nei parametri dei nostri islamofascisti, che aspirano piuttosto a imporre le norme derivate dal loro credo/ideologia alla società nel suo complesso. La stessa identificazione degli hitleriani.
– Razzismo. Il fascismo, e ancor più il suo primogenito, il nazismo, divisero il mondo tra razze superiori e razze inferiori. E prima che qualcuno inizi la litania dell’Islam come fede egualitaria e interetnica, consiglio una rapida recensione su Wikipedia (Afghanistan: Pashtun e Hazara / Ciad: arabi e neri / Baggara e Fur in Sudan / trattamento delle minoranze o dei migranti in Nigeria, Senegal, Libia, Marocco, Algeria e molti altri), oppure alle informazioni sul trattamento dei lavoratori stranieri nei Paesi del Golfo.
Può essere vero che l’Islam come religione – proprio come il Cristianesimo – non è razzista, tuttavia è innegabile che non sia riuscito molto a seminare tolleranza tra i suoi seguaci. Se si può parlare di tolleranza in un sistema che considera che solo i praticanti delle due precedenti religioni monoteistiche abbiano il diritto di mantenere la propria identità, pur pagando un tributo speciale e sempre in una posizione subordinata.
– Persecuzione delle minoranze religiose, etniche, sessuali… Dal genocidio armeno all’attuale genocidio yazida, c’è stata una progressiva standardizzazione in Medio Oriente guidata in vari momenti storici dalle fazioni più aggressive e violente. Sfortunatamente, come spesso accade in tutti i settori, queste frange tendono ad essere brutalmente efficaci. Per dimensioni, portata, radicalità del loro progetto, i “depuratori” dello Stato islamico e simili non possono essere paragonati al regime fascista, se non piuttosto al delirio nazista.
– Repressione del dissenso interno. Anche i combattimenti tra fazioni islamiste armate, le uccisioni di massa di credenti ed esponenti religiosi dell’opposizione (come gli imam sufi di Mosul, giustiziati a decine per aver difeso le minoranze religiose all’arrivo dello Stato islamico) hanno un collegamento diretto con l’mmaginario nazista o inquisitorio.
…A questo punto è difficile ignorare che l’islamofascismo, dai governi delle potenze economiche e militari mondiali, alle bande di sicari attivi in molti paesi, ha come nobile obiettivo quello di convertire la marmaglia di infedeli, semi-infedeli o fedeli malvagi che ancora insistono ad abitare il pianeta, basando questa aspirazione su un’altra caratteristica dei fascismi storici:
– Vendetta. Chi ha letto quattro libri di storia sa che Mussolini introduceva molti elementi di chiacchiere socialiste nella sua peculiare visione della missione e dei diritti storici dell’Italia fascista… (“La grande proletaria si è mossa… contro le potenze plutocratiche” ).
Si trattava, in sostanza, di rivendicare una continuità con il ruolo imperiale dell’Antica Roma, strappato ai suoi legittimi eredi dai degenerati nuovi ricchi (“le potenze capitaliste”). Non sorprende la somiglianza con il desiderio, alimentato dall’Islamofascismo, di recuperare Al-Andalus e i tempi della grande espansione della mezzaluna attraverso Africa, Asia ed Europa?
Ovviamente per entrambi i movimenti l’essere stati privati di quel potere che era retaggio di un passato mitizzato costituisce una fonte inesauribile di rancore e di odio contro gli autori del “furto”, i nuovi poteri dominanti e a loro volta invasori o oppressori: i poteri plutocratici per Mussolini e Hitler (ovvero i paesi occidentali più Russia), le potenze capitaliste corrotte (cioè i paesi occidentali più Russia) per le varie correnti islamiste radicali. Sia nel caso dell’Italia fascista che degli islamisti, bisogna ammettere che c’erano e ci sono molti argomenti fondati sull’arroganza, la malvagità e la bassezza del nemico capitalista. Ciò che non si capisce del tutto, ancora una volta, è che per combatterli i primi si sono dedicati a bombardare Barcellona e Gernika o villaggi dell’Eritrea e i secondi a tagliare il collo dei contadini o ad impiccare gli omosessuali.
– La retorica antiborghese era un’altra caratteristica distintiva del discorso fascista. La classe capitalista veniva presentata, in opposizione al popolo fascista e ai suoi dirigenti, come un compendio di vizi e depravazioni. Decadente e corruttrice. Che differenza c’è con il moralismo antioccidentale dello Stato Islamico, del Qatar, dell’Arabia Saudita e compagnia? che non hanno nulla da obiettare al consumo eccessivo, meglio se tecnologico, o alla divisione in classi della società, pur denunciando e condannando il degrado dei costumi (sesso, alcol e rock’n’roll… anche se paradossalmente il loro paradiso è fatto di fiumi di vino e di orge con squadroni di vergini)?
– E a proposito di classi… Il fascismo nasce come contrappunto e nemico dei grandi movimenti del proletariato: il socialismo, l’anarchismo, che ebbero un ruolo di primo piano nella vita politica europea all’inizio del XX secolo. Si trattava di un movimento finanziato e sostenuto dai grandi proprietari terrieri e dalle grandi fortune industriali e che era alimentato dalla frustrazione di ampi settori popolari, soprattutto della piccola borghesia, dei contadini e dei sottoproletari. Il parallelismo con l’emergere e l’estendersi di correnti fondamentaliste che si irradiano da potenze economiche come l’Arabia Saudita e si impadroniscono di ampi settori sociali che trovano una via di fuga per incanalare la loro rabbia, il loro rancore o la loro speranza di salvataggio sociale? La propaganda fascista ha fatto largo uso, così come quella islamista, di sentimenti di rifiuto, di reazione contro la corruzione della politica, l’aggressione militare, l’umiliazione dei trattati internazionali imposti dai più forti, mescolati a sentimenti di inferiorità e di rabbia che abbondano tra i più svantaggiati strati sociali.
– Ci sono persone che lodano, dell’Islam politico, il lavoro sociale di organizzazioni come i Fratelli Musulmani nel fornire cibo, servizi sanitari, ordine pubblico, istruzione, ad ampie fasce della popolazione povera. Una sorta di Caritas nei paesi in cui i governi corrotti intendono i servizi sociali come beneficenza, non come un diritto. Questa è sempre stata chiamata demagogia populista e va tenuto presente che le politiche redistributive volte a conquistare il favore di ampi settori sociali e a ridurre il potenziale di conflitto tra classi sono state una delle chiavi del trionfo nelle urne sia dei Fascisti che dei nazisti tedeschi.
– Ruolo della donna: per il fascismo era madre e moglie (e/o amante) e, quando si trattava di donne provenienti dai villaggi colonizzati e occupati, prigioniere di guerra o oggetti sessuali. Per l’islamofascismo, invece…
– Cultura. È noto che cultura e fascismo hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. L’incendio dei libri, la distruzione delle opere d’arte “decadenti”, le grida di “morte all’intelligenza”, la censura furono le costanti dell’esistenza di quei regimi. La distruzione del patrimonio archeologico da parte dei Talebani o dello Stato Islamico (che, del resto, si aggiunge a quelle causate dai bombardamenti indiscriminati dei loro “nemici”), la censura delle manifestazioni culturali “occidentali” rientrano nello stesso odio verso ciò che non può sottomettersi alla sua visione totalitaria del mondo.
– Odio e disprezzo per l’avversario politico o per il diverso: il rosso, il massone, l’ebreo, lo zingaro. Ora sono gli infedeli, gli ebrei, i degenerati occidentali.
– E un ultimo grande elemento comune a queste due grandi famiglie ideologiche: la negazione della libertà come valore superiore. Imposizione di regole rigide, divieti, disciplina, obbedienza, rinuncia alla capacità critica, sostituzione dell’idea di diritto con quella di privilegio sono le sue caratteristiche distintive.
– E per finire: i fascismi furono movimenti che fin dai loro inizi fecero un uso terribilmente efficace delle tecnologie della comunicazione. La radio era uno strumento formidabile per la mobilitazione e l’indottrinamento di massa. I diversi settori islamofascisti sono veri maestri anche nell’uso delle nuove tecnologie, muovendosi fluidi nel web, evocando messaggi efficaci che indottrinano e mobilitano grandi masse di persone.
Si potrebbe continuare, ma chiunque può verificare l’esistenza di questa corrente di pensiero totalitario, portatrice di un progetto politico perfettamente paragonabile a quello nazifascista. Così come la necessità e l’urgenza di definizioni che lo isolino dall’insieme delle società musulmane, alla cui rappresentatività aspirano i fondamentalisti e che spesso viene loro data dai nostri relativisti.
Relativisti che anche in questo caso danno prova di un mal dissimulato paternalismo padronale bianco: negano, malgrado le esplicite affermazioni dei protagonisti dell’Islam politico, l’esistenza di una strategia espansiva, elaborata e complessa, che non può che essere dovuta all’intima convinzione che i “mori” sono incapaci di costruire strategie ambiziose per la conquista del potere, di fare piani di vasta portata? Il buon selvaggio deve essere ingenuo e semplice!
In questo pantano intellettuale causato dalla diffusione di forme liquide di pensiero politico, viene offuscato anche il principio dell’antifascismo. Viviamo in un Paese dove gli eredi di Franco continuano ad avere in mano quasi tutte le leve del potere, dove il confessionalismo reazionario non rinuncia a svolgere un ruolo attivo nella vita pubblica, dove sono tenuti di riserva (e di tanto in tanto vengono scatenati) gruppi di delinquenti neonazisti e dove ci sono anche giovani che aspirano, come migliaia di altri in tutta Europa, ad arruolarsi in un’organizzazione che domina e terrorizza intere popolazioni in Siria e Iraq o che sponsorizza massacri di civili in tutto il mondo. … e in questo contesto organizzazioni pomposamente chiamate Piattaforme Unitarie contro il fascismo si dedicano a focalizzare l’attenzione su gruppi di pagliacci come Plataforma per Catalunya, e a seminare discordia nella sinistra rivoluzionaria, o in ciò che ne resta, con accuse di razzismo contro coloro che osano mantenere posizioni coerenti nei campi del femminismo, del secolarismo, dell’internazionalismo e dei diritti umani.
In una fase storica in cui i non valori del totalitarismo politico, economico, militare e ideologico stanno prendendo piede in molte società, questa irresponsabilità ha delle conseguenze.
Infatti, oltre ad attaccare atei, femministe, antifascisti, difensori dei diritti umani, animalisti, gli anti-islamofobi devastano anche il campo della solidarietà internazionalista: accusano i curdi del Rojava (considerati terroristi dalle potenze occidentali) di ricevere aiuti dagli americani, accusano gli americani di non dare abbastanza aiuti ai ribelli anti-Assad, attribuiscono all’islamofobia la difesa che alcuni gruppi fanno del regime dittatoriale siriano (quando è notorio che la loro motivazione è l’antiimperialismo yankee vecchio stile), arrivano a giustificare un regime come quello turco, a mettere a tacere gli interessi geostrategici che alimentano un conflitto che ha provocato 250.000 morti.
Particolarmente vergognoso è il loro comportamento nei confronti del progetto di confederazione democratica dell’area curda della Siria, un esperimento politico e sociale di grande potere emancipatore sotto la perenne minaccia dell’annientamento militare.
Decine, centinaia di migliaia di donne e uomini, in maggioranza musulmani, lottano per creare una società basata sui principi dell’uguaglianza di genere, della pluralità religiosa ed etnica e della sostenibilità ambientale. Contro di loro, colpevoli di non allinearsi con la coalizione dei gruppi siriani, condizionati dalla presenza determinante di diverse tendenze islamiste, la sinistra relativista utilizza ogni tipo di argomenti inebrianti (false accuse, insinuazioni, analisi parziali). Il risultato è che una delle pochissime forze che si batte sul terreno contro i totalitarismi della regione difendendo valori universali di giustizia e fraternità e una visione originale e moderna del rapporto società/Stato suscita nel nostro Paese….. indifferenza e sospetto.
[continua]
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