Il libro di Rolando d’Alessandro, uscito a Barcellona, in catalano, circa 3 anni fa, è uno schiaffo vero e proprio in faccia a quei settori di “sinistra” (o meglio “progressisti”) che hanno scelto da tempo di abdicare almeno al primo termine del famoso slogan anarchico “Né dio, né stato, né servi, né padroni”. In realtà anche gli altri tre sembrano piuttosto appannati, a dir la verità. Rolando mette a nudo, con un linguaggio semplice e diretto, i progressivi cedimenti di certa “sinistra” (il riferimento è a settori di quella catalana e spagnola, ma si può tranquillamente estendere a quella italiana, francese, britannica, ecc.) ad una delle tante ideologie della destra, quella dell’islamismo politico (e, in diversa misura, anche ad altre ideologie influenzate dal pensiero mistico-religioso). Il libro non è ancora stato tradotto in italiano, e mi ripropongo di farlo su questo blog poco a poco, vista l’importanza del dibattito che attraversa un po’ tutta la sinistra (sia quella che ha più o meno mantenuto la bussola, sia, ovviamente, quella che l’ha perduta da tempo) su questa questione, resa ancor più bruciante dai fatti dell’ultimo mese in Palestina. Alternando l’ironia e le puntualizzazioni argomentate, il compagno italo-catalano (che tra l’altro è stato il punto di riferimento per la causa penale contro lo stato italiano per i bombardamenti su Barcellona e la Catalogna del 1937-38), senza mai scadere nell’insulto o nella gratuita caricaturizzazione (anche in questo diversamente dai suoi interlocutori ex antagonisti), fa i conti con uno degli scivoloni più eclatanti degli ex incendiari divenuti pompieri (che spesso condividono con i pompieri di sempre queste semplificazioni e banalizzazioni).

Flavio Guidi

INTRODUZIONE

Il 17 agosto 2017 una squadra composta da una dozzina di persone organizza un attentato a Barcellona. Sembra che si considerino combattenti dello Stato Islamico e il loro scopo sia provocare un massacro di civili. Durante la preparazione dell’attentato, un’esplosione provoca la morte di alcuni membri del gruppo. I sopravvissuti “improvvisano”. Uno di loro lancia un furgone contro i pedoni che passeggiano sulle Ramblas: 16 morti. L’autista scappa a piedi e accoltella a morte un ragazzo sulla Diagonal per rubargli l’auto. I suoi compagni, nel frattempo, si dirigono a Cambrils, dove uccidono una donna di mezza età con un coltello. La polizia spara e li uccide. L’assassino di Les Rambles cadrà poi, in mezzo a un vigneto, sotto una pioggia di proiettili di una pattuglia della polizia.
La città reagisce con forza riempiendo le strade al grido di “non abbiamo paura”, espellendo i gruppi fascisti che cercano di criminalizzare la comunità musulmana e rimproverando il re, procacciatore di armamenti di una delle dittature più feroci del pianeta.
A sinistra, soprattutto quella “radicale”, nessuno o quasi si chiede chi fossero i protagonisti dell’azione, cosa volessero e perché. Il progetto politico a cui si ispiravano non viene analizzato. Né la complicità o la sinergia che questo progetto e i suoi promotori mantengono con i nostri oppressori planetari, con i nostri nemici di classe, i servizi segreti, la polizia, le istituzioni che sfruttano l’esistenza di questo pericolo (un nemico senza volto, imprevedibile e crudele) per giustificare un’operazione di drastico taglio dei diritti e delle libertà qui e su scala globale.
Si impone una lettura che parla di “poveri ragazzi razzializzati” che “a causa dei nostri errori hanno commesso atti illeciti (sic)”, “manipolati da poteri oscuri e da un’entità (il sedicente Stato islamico – nome politicamente corretto -) che è la creazione delle potenze occidentali o sioniste”.
In breve, ancora una volta, con il pretesto di combattere l’islamofobia o l’imperialismo, si adotta un approccio che non criminalizza ma infantilizza l’“altro”. Considerato una vittima e non un carnefice, ma comunque “soggetto di”, un essere che non ha parole né pensieri. Qualcuno che non ha la possibilità (o la capacità) di scegliere, di decidere consapevolmente e in autonomia. Un buon selvaggio.
È l’altra faccia del colonialismo.

Questo pamphlet non si propone in alcun modo di fornire analisi rigorose di “fenomeni” socio-politici, tanto meno della realtà di paesi e società che non conosco. Si tratta semplicemente di una raccolta di riflessioni, commenti e opinioni su una delle manifestazioni più sorprendenti (in senso metaforico e anche stretto) di conformismo di gruppo che stanno sostituendo, in una sinistra in piena crisi d’identità, l’assetto dei valori, idee, referenti che fino a poco tempo fa definivano il quadro comune.

Si tratta di una critica al concetto, e ancor più all’uso che se ne fa e alla portata che gli viene attribuita, di “islamofobia”. In effetti, il fatto che la xenofobia assuma per ogni gruppo etnico o religioso o nazionale determinate e specifiche caratteristiche è una prova, e il rifiuto di gruppi volontariamente o con la forza posti sotto l’etichetta “Islam” non sfugge alla regola generale. Ora, combattiamo o rafforziamo lo stigma quando accettiamo di utilizzare le categorie usate dallo stigmatizzatore? Noi rivoluzionari non dovremmo abbandonare i parametri curiosamente condivisi dalle potenze neocoloniali e dai settori dell’Islam politico (Occidente contro Oriente, ragione contro spiritualità, società oppressive (in blocco) e società (oppresse) (in blocco), noi e loro…. e stabilire nuove linee di separazione (come quella di classe, per esempio), nuovi filtri e approcci che respingano frontalmente la “guerra di civiltà”?
E non dovremmo privilegiare, nella ricerca di questi nuovi approcci alla realtà, il riferimento ai valori della giustizia sociale, della solidarietà, del rispetto dell’ambiente, della libertà, dell’uguaglianza? Per alcuni, è vero, si tratta di concetti generati in “Occidente” e come tali discutibili o addirittura da cancellare. Operazione legittima che ci lascerebbe tuttavia senza identità, né corpo…
Un nuovo fantasma che questa volta vagherebbe per l’Europa trascinando catene.